Il 6 novembre si svolgeranno le elezioni mid-term negli Stati Uniti.
Sono un test importante per l’amministrazione Trump in vista delle presidenziali del 2020.
Questa tornata elettorale è generalmente sfavorevole all’amministrazione in carica, e risultano un test per capire la capacità di tenuta del consenso attorno a come ha operato il Presidente ed il suo staff.
Può cambiare infatti il profilo della Camera di cui 435 membri saranno “rinnovati” completamente, come avviene ogni due anni, e del Senato in cui cambieranno 35 membri, cioè quel terzo che viene eletto sempre ogni due anni.
Il partito Democratico può sperare di riprendere i 23 seggi che gli mancano per avere il controllo della Camera, mentre al Senato le elezioni potrebbero portare ad un controllo “totale” dei repubblicani considerando che i senatori repubblicani uscenti sono solo 9 contro i 26 democratici, che devono però fare i conti con 10 stati dove Trump ha vinto “a mani basse” nelle precedenti elezioni presidenziali.
Già dalle “primarie” del Partito Repubblicano Trump si è speso non poco per sostenere i suoi candidati nei vari collegi nei differenti stati in cu si voterà, mentre per i democratici questo appuntamento elettorale è vitale per comprendere le chances per battere Orange Man alle presidenziali che si svolgeranno tra due anni.
Potremmo considerare le elezioni nord-americane “business as usual” tra due competitor che ridefiniscono i rapporti di forza tra le varie componenti dentro l’establishment a Stelle e a Strisce, se l’ascesa dei candidati sostenuti dai DSA, che hanno sfidato, e talvolta vinto, alle primarie del Partito Democratico, pezzi dei corporate democrats, non fosse avvenuta in continuità con la sfida lanciata da Bernie Sanders ad Hillary Clinton alle primarie per le elezioni presidenziali.
A queste elezioni si aggiungono quelle di governatore di alcuni importanti stati in cui candidati democratici sostenuti dai DSA sfidano i repubblicani dopo avere vinto le primarie.
Sembrano lontani i tempi in cui un commentatore chiosava in questo modo l’effetto spiazzante del “vecchietto” del Vermont: candidarsi alla carica di Presidente degli Stati Uniti definendosi socialista è come chiedere di lavorare a scuola dichiarandosi pedofilo.
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La parabola delle primarie “vincenti” ed in generale della sfida elettorale dei DSA va dalla “inaspettata” vittoria della ventottenne Alexandria Ocasio Cortez, il 26 giugno di quest’anno, nel 14° Distretto di New York per la Camera a quella ventisettene di Julia Salazar in un altro distretto della Grande Mela per il Senato.
Come ogni osservatore minimamente attento della politica nord-americana sa, a New York le vere elezioni sono le primarie democratiche, e quindi sia per Alexandria che per Julia ci sono ottime chances di essere elette.
È interessante osservare che mentre la Cortez è stata ignorata – fino alla vittoria – dai media mainstream, la Salazar è stata sottoposta ad una sistematica campagna di disinformazione (bashing per usare un termine più appropriato), segno che non essendo riusciti a neutralizzare lo sviluppo dei DSA e delle tematiche che portano avanti con la censura, i corporate media sono ricorsi ai ben oliati mezzi del linciaggio giornalistico.
Questi mezzi non hanno riscosso successo, perché il consenso rispetto alle tematiche portate avanti è stato più impattante del discredito che voleva produrre la macchina del fango.
Ma come si diceva poc’anzi i DSA sono un fenomeno “esteso” a livello nazionale ed in rapida crescita, mentre le loro campagne sono già in grado d’impattare il discorso politico mainstream.
Come avevamo riportato in un articolo che faceva la panoramica delle vari sfide elettorali dopo la vittoria della Cortez a metà agosto, in cui erano impegnati i DSA, citando Theo Anderson del “In these times” le elezioni: “hanno dato una risposta netta alla narrazione di Trump e sono servite per smentire l’affermazione che politiche di sinistra non possono vincere nel Midwest”.
Avevamo brevemente parlato delle varie campagne dei DSA nei contributi precedenti: dal controllo dei prezzi degli affitti, all’assistenza medica gratuita familiare, dall’introduzione di lavori federali per colmare la disoccupazione, alla riforma radicale del sistema penale, soffermandoci in particolare sull’abolizione dell’agenzia di sicurezza incaricata di “deportare” i migranti.
La recente notizia dell’innalzamento del salario minimo a 15 dollari, da parte di Amazon per i suoi operai, è stata generalmente data senza approfondire cosa stesse dietro questa importante vittoria – che non era una “concessione” del management della leader degli acquisti online – nascondendo che tale richiesta è una dei punti di forza delle varie campagne che stanno portando avanti i socialisti americani, insieme al diritto ad organizzarsi sindacalmente e rafforzare l’attività sindacale.
E proprio il tasso di sindacalizzazione dei millenials che sta invertendo una tendenza, specie in quei settori sviluppatisi con le più o meno recenti trasformazioni capitalistiche, come la ristorazione di massa o i settori della “new economy”.
Ad un anno dal movimento “#MeToo”, pochi ricordano che furono proprio le lavoratrici del McDonald’s ad aprire la breccia, denunciano le violenze sessuali subite al lavoro e chiedendo che l’azienda si responsabilizzasse rispetto a questo fenomeno; mettendo anche in evidenza l’apparente contraddizione tra un’organizzazione scientifica del lavoro in grado di controllare capillarmente e nei dettagli l’opera dei loro sottoposti, ma non incapace di prevenire i continui abusi sessuali sui propri dipendenti.
La vibrante campagna #BelieveSurvivors ha preso come spunto la mobilitazione contro Kavanaugh, per portare alla luce la questione della violenza sessuale come un problema strutturalmente connesso con il sistema del capitalismo nord-americano.
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Lo stile di lavoro e l’approccio dei DSA è chiarito in maniera molto netta in una recente intervista alla direttrice nazionale Maria Svart, attivista di “lungo corso”, realizzata da Mike Pesca per Slate, di cui riportiamo alcuni stralci piuttosto significativi.
Prima di tutto l’espansione numerica e l’ingrossarsi delle file degli attivisti:
“Nel 2015, quando abbiamo avuto la nostra convention nazionale e abbiamo avuto 125 persone, siamo rimasti entusiasti. Le riunioni del DSA erano molto più piccole di adesso. Il DSA di New York City ha ora più di 4.000 membri e centinaia di persone partecipano alle riunioni generali. Nel 2011, potevamo contare su 20 persone per venire ad una riunione”.
Il rapporto dei DSA con il partito democratico e il ruolo che hanno le elezioni:
“DSA ha un piede nel Partito Democratico e un piede fuori dal Partito Democratico. Non vediamo le elezioni come una questione di purezza politica; le consideriamo come una questione di strategia e tattica, e sappiamo che il sistema politico è truccato contro chiunque altro che i democratici e i repubblicani. Quindi, piuttosto che oliare il sistema, stiamo facendo degli esperimenti.”
Cosa intendono per “socialismo democratico”:
“Crediamo che le persone dovrebbero avere la capacità di vivere una vita dignitosa e che è possibile nel paese più ricco della storia del mondo. Il socialismo democratico è l’idea che facciamo funzionare l’economia, e quindi dovremmo anche controllarla. Dovremmo possedere e controllare i nostri luoghi di lavoro. Dovremmo effettivamente avere un reale controllo democratico sulle decisioni di investimento pubblico. Altri aspetti della nostra società dovrebbero essere gestiti democraticamente. … I dipendenti dovrebbero possedere i luoghi di lavoro. Perché non dovremmo avere una voce su come gestiamo le cose? Quindi, se avessimo un sindacato, potremmo dire: “Ci paghi circa il 10 percento di ciò che produciamo. Vogliamo il 20 percento”. “Con il socialismo, diremmo: In realtà, dovremmo gestire il negozio di biciclette. Dovremmo possedere il negozio di biciclette. Noi facciamo il lavoro. Sappiamo come funziona. Dovremmo essere effettivamente noi a controllarlo”. “Quando parlo di investimenti pubblici, ci sono alcune cose che non dovrebbero essere lasciate al mercato e devono essere controllate democraticamente”.
“Nazionalizzate?”, chiede il giornalista.
“Esattamente”, risponde l’intervistata.
Rispetto ai leader – e qui la risposta è molto interessante, perché aiuta a capire la differenza tra la “rappresentazione pubblica” e ciò che c’è dietro – e la cifra di una scelta:
“Sono la versione più moderata di ciò che noi, in quanto organizzazione, pensiamo come socialismo democratico, ma rispetto al sistema politico americano, sono iper-estrema sinistra. Uno dei ruoli dei socialisti democratici è riportare il dibattito politico dove deve essere, perché i repubblicani – e sono stati aiutati dai democratici nel corso degli anni – hanno tirato e tirato e trascinato il dibattito verso l’estrema destra, al punto in cui anche le idee socialdemocratiche di base erano demodé. E’ incredibilmente importante come Ocasio-Cortez prende di petto – in modo molto simile a quello di Bernie Sanders – questo luogo comune capitalista neoliberale, secondo cui il mercato era una soluzione a tutti i problemi. Mostra che un altro mondo è possibile. Parla con un linguaggio visionario che giunge a milioni di persone nello stesso modo di Bernie Sanders. Cioè, in un paese dove, come ho detto, viene fatta bere con il latte materno questa idea che la competizione senza fine tra noi è l’unico modo in cui possiamo vivere, l’isolamento senza fine l’uno dall’altro e la solitudine. Non c’è alternativa. Questo è incredibilmente importante.”
E sul ruolo dell’organizzazione rispetto alla percezione del blocco sociale:
“Crediamo veramente nelle persone e crediamo veramente che molte persone in questo paese siano molto più insoddisfatte dello status quo di quanto si possa pensare dal modo in cui i media mainstream, anche i liberal e i progressisti, ne parlano. Non siamo preoccupati, perché in realtà crediano che molte persone sappiano che qualcosa è terribilmente sbagliato. Sanno che stiamo andando fuori dal selciato. Sanno che ci sono alcuni vincitori e un sacco di perdenti nella nostra economia. Se si approcciano ad una serie di idee politiche che aiutano a cristallizzare il perché questo sta accadendo, allora va bene, ed è effettivamente una buona cosa, e questo è il ruolo di un’organizzazione socialista, introdurre idee che sono state estromesse dalla discussione mainstream”
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I DSA stanno creando un movimento politico di massa che tiene insieme una dimensione mainstream, di cui la rappresentazione plastica è la copertina di Vanity Fair con Alexandria Ocasio Cortez, contenuti radicali per un Paese che è la culla del neo-liberismo, e una tensione militante e una pratica “di strada” attraverso campagne mirate che aggredisce le contraddizioni interconnesse di classe, razza e genere del sistema nord-americano.
La forza politica nel Vecchio Continente che forse ha maggiormente valorizzato questa esperienza è stata “Momentum”, l’organizzazione di base che sostiene la leadership di Corbyn nel Labour e che ha invitato i DSA, tra cui Julia Salazar, al più grande festival politico in Gran Bretagna che si è tenuto in contemporanea al congresso del Labour quest’anno a Liverpool.
Occorre ricordare che furono tre statunitensi che ci hanno fornito la cifra per comprendere tre degli avvenimenti storici più importanti del Novecento popolarizzandoli ad un grande pubblico: John Reed scrisse “I dieci giorni che sconvolsero il mondo”, Edgar Show – che era un giornalista progressista – “Stella Rossa sulla Cina” e E.Hemingway, che era un grande scrittore schierato, “Per chi suona la Campana?”.
Il socialismo negli States non è nato ieri: siamo veramente sicuri che non ha niente da insegnarci?
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