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Siria. Erdogan e Trump giocano con l’Isis

Le acque tornano a farsi agitate in Siria. Il fronte più importante, ovvero quello fra esercito siriano e l’alleanza fra qaedisti e altri ribelli islamisti presenti nella provincia di Idlib sta attraversando settimane di relativa calma grazie all’accordo raggiunto fra Russia (a garanzia del Governo Siriano) e Turchia (a garanzia dei jihadisti) per la creazione di un’aera demilitarizzata (almeno per quanto riguarda l’artiglieria pesante) di 20 km a cavallo della linea del fronte.

Al momento non si capisce se tale misura sia stata completamente implementata, tuttavia, da parte siriana non sembrano esserci velleità di rompere la tregua: più volte sia esponenti diplomatici russi, sia esponenti diplomatici siriani hanno ripetuto che per il momento la priorità è supportare la popolazione civile di Idlib, evitando di cominciare una sanguinosa battaglia.

Più complessa è la situazione dalla parte dei ribelli, dove Hayat Tahrir al-Sham e altri gruppi legati ad Al-Qaeda, considerati terroristi formalmente da tutte le parti in causa, pur beneficiando di fatto anch’essi dell’accordo, stanno comunque mettendo in atto pesanti azioni di disturbo e sabotaggio, colpendo con colpi di mortaio la città di Aleppo in mano al Governo e le truppe dei propri fratelli/coltelli costituiti dai jihadisti filo-turchi. Inoltre si segnalano anche tentativi di colpire con droni la base aerea russa di Kmeimim.

Al momento l’accordo sembra reggere, ma non è detto che tale situazione possa reggere a medio termine: le aree controllate dai ribelli, infatti, rimangono fortemente instabili a causa dei conflitti interni e gli abitanti vi subiscono ogni sorta di vessazione a beneficio dei combattenti e delle proprie famiglie, concentrate lì in decine di migliaia dopo esservi state trasferite a seguito di diversi accordi di resa con l’esercito siriano su altri fronti: gli espropri arbitrari sono all’ordine del giorno, così come arresti ed omicidi fra coloro che sono sospettati di sostenere il Governo di Damasco o anche solo di volere la pace con esso; per non parlare del regime imposto, fortemente reazionario e basato su un’interpretazione letterale della Sharia.

Si alza di nuovo, invece, la tensione fra la Turchia e le truppe curde Ypg/Ypj, alleate del Pkk, che, contemporaneamente, costituiscono la parte più importante delle Forze Democratiche Siriane (SDF), appoggiate dagli USA nei propri sforzi, più o meno incoerenti, di combattere l’Isis. L’esercito turco, infatti, negli ultimi giorni sta bombardando la città di confine di Ain-al-Arab/Kobane, assurta, 4 anni fa, a simbolo della resistenza curda contro il Califfato in quanto quest’ultimo vi subì il primo stop dopo un periodo di inarrestabili avanzate.

In risposta, le SDF hanno chiesto alla comunità internazionale di fare pressioni su Ankara affinché tali azioni militari abbiano termine e hanno minacciato di cessare la battaglia contro l’Isis nell’unica enclave ancora in mano agli uomini del Califfato, ovvero una fascia di terra di pochi km quadrati intorno alla città di Haijin, posta sulla riva orientale dell’Eufrate, nei pressi del confine con l’Iraq.

Già il fatto che nei mesi scorsi le SDF non siano riuscite ad espugnare tale roccaforte, oramai completamente circondata, è sembrato indice della volontà degli USA di tenervi in vita l’Isis per tenere in piedi il principale pretesto con il quale giustifica la propria presenza militare in Siria. Negli ultimi giorni poi, in coincidenza con la possibile recrudescenza del conflitto Ypg-Turchia, gli uomini del Califfato sono addirittura passati all’offensiva riconquistando alcuni villaggi verso il confine con l’Iraq.

Gli USA, da parte loro, tacciono ermeticamente su tali eventi, non rispondendo né alle contumelie della Turchia, né alle richieste di aiuto degli “alleati” delle SDF. Ankara ha più volte accusato la controparte americana di non aver ottemperato all’accordo di costringere le Ypg ad andare via da Manbij e sta rilanciando, anche attraverso una serie di dichiarazioni, oltre che con i bombardamenti su Ain-al-Arab/Kobane, il proposito di chiudere i conti una volta e per sempre con la presenza “degli affiliati del Pkk” sui propri confini. Al momento, la ripetizione uno scenario simile a quello di Afrin, ovvero un’offensiva su larga scala dell’esercito turco per eliminare la presenza curda a favore di quella dei propri “proxies”, sembra fortemente improbabile, poiché nell’area in questione gli USA hanno una forte presenza militare diretta.

Tuttavia l’esperienza insegna che quando da parte turca parte un’escalation così forte di dichiarazioni, prima o poi, almeno in parte, seguono i fatti. E con gli USA nel mezzo non si può mai dire come andrà a finire.

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