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Gilets Jaunes: un primo bilancio e ulteriori sviluppi

Nel suo discorso domenicale al Bundestag a Berlino, il presidente francese Emmanuelle Macron ha detto che l’Europa e il suo motore franco-tedesco si trovano investiti dell’”obbligo di non lasciare il mondo scivolare verso il caos”.

Una affermazione nettamente fuori luogo, considerando ciò che stava succedendo nell’Esagono.

Le mobilitazioni dei Gillet Jaunes contro l’incremento delle accise sul carburante previste da gennaio prossimo – e che aumenteranno ogni anno fino alla fine del quinquennat –, e il carovita in generale, hanno coinvolto nella sola giornata di sabato 287.710 persone, che hanno vita a 2034 blocchi/rallentamenti del traffico, con momenti di tensione con la polizia che hanno prodotto più di 400 feriti – di cui 14 gravi – e la morte di una manifestante di sessantatré anni, travolta da un’automobilista colta dal panico nel blocco a Pont-de-Beauvoisin, nella Savoia.

Queste sono le cifre ufficiali fornite dal governo, ma i manifestanti e le forze politiche che sostengono la mobilitazione ritengono che si tratti di numeri al ribasso, specie per ciò che concerne i partecipanti.

Mentre nella giornata di domenica sono stati recensiti altri 150 blocchi, con la partecipazione che sarebbe scemata tra i 30.000 e i 50.000.

Altre iniziative sono continuate lunedì, tra cui il blocco di punti nevralgici per l’accesso a depositi petroliferi, a importanti snodi del traffico e a centri commerciali.

Secondo il Consiglio del Commercio, nel Week End il volume d’affari sarebbe stato inferiore di circa un terzo, provocando la reazione di alcune associazioni imprenditoriali: “la protesta non danneggi l’economia”.

Sempre secondo le cifre fornite dal Ministero degli interni, “In totale, le forze dell’ordine hanno interrogato 282 persone, e 157 sono state poste in stato di fermo. Inoltre sono state recensite delle aggressioni razziste e omofobe”, come riporta il quotidiano Libération di questo lunedì.

Si sa che il governo, che aveva mobilitato 3.000 agenti per sabato, aveva sottostimato il numero dei blocchi e dei partecipanti, anche a causa del mancato preavviso alle Prefetture di numerose iniziative.

Nello stesso articolo di Ismaël Halissat viene chiarito che non è stato però fornito il numero degli assembramenti dichiarati in Prefettura.

L’orientamento del governo, per voce del premier Eduard Philippe, che ha parlato domenica sera in una intervista a France 2, è quello di proseguire il percorso intrapreso, e allo stesso modo si sono espressi successivamente tutti i ministri che sono intervenuti in differenti occasioni. Nonostante il tentativo di adeguare la propria narrazione, cercando di invertire l’impressione di agire come un “rullo compressore” indifferente al malessere popolare, iniziata già il 9 luglio durante il suo discorso al Congresso – in cui ha parlato di “République Contractuelle” – non ha però fatto partire alcuna politica di condivisione delle scelte con i corpi intermedi, sia che si tratti di istituzioni locali, organizzazioni sindacali o associazioni.

Eric Drouet, autore della proposta di blocco del 17 novembre contro il caro carburante, diventata virale sui social dopo essersi consultato con altri organizzatori, ha rilanciato per questo sabato un “secondo atto” della protesta a Parigi; un appello che ha avuto già da domenica il “parteciperò” di 20.000 persone e l’interesse di ben 140.000, e che continua a girare costantemente su FB.

In genere, quello che traspare è la volontà di non retrocedere, ma soprattutto – da come si può leggere nell’appello – una maggiore chiarificazione delle richieste, che vanno a comporre una rivendicazione più organica, che di fatto acquisisce ciò che era emerso già prima dello scoppio della protesta.

Possiamo pienamente condividere il giudizio del politologo J. Sainte-Marie, citato da Le Monde in un articolo di Aline Leclerc di questo martedì: “Per un movimento così spontaneo, orizzontale, senza base categoriale, politica o regionale, si può parlare di successo. Non c’era nessuna evidenza che questo sfogo su internet avesse come sbocco una iniziativa reale, coordinata. È eclatante e inquietante per il governo Perché questo 17 novembre, le persone hanno preso coscienza della loro forza. Hanno scoperto la loro capacità d’agire

Una interpretazione molto simile a quella data dal leader di France Insoumise, che ha sostenuto il movimento, partecipando con i suoi deputati ed i suoi aderenti alle iniziative.

Sul fronte sindacale ci sono posizioni alquanto differenziate, sebbene non ci sia stata nessuna partecipazione formale alla protesta, nonostante la scelta di partecipazione di singoli appartenenti a queste organizzazioni.

Il leader della CFDT Laurent Berger – ricevendo un diniego da parte governativa – che sabato aveva perorato l’apertura di un “dialogo sociale”, di cui la sua organizzazione potrebbe essere il perno, ha poi denunciato il carattere “totalitario” dei Gilets Jaunes, esprimendo un giudizio negativo sulla forma data alla mobilitazione.

La Federazione dei trasporti e della logistica di Force Ouvriere ha invitato i propri aderenti alla partecipazione e alla continuazione della protesta, dicendosi disponibile a proclamare lo sciopero nei settori in questione.

Solidaires ha dato un giudizio positivo alla mobilitazione e la sostiene.

La CGT, dopo non avere partecipato alla protesta ed averne sottolineato i limiti, pur comprendendone le ragioni, ha deciso – per bocca del suo segretario, senza però citare i GJ – di fare un appello per una mobilitazione il Primo Dicembre su una ampia base rivendicativa: aumento del salario minimo intercategoriale a 1.800 euro (contro i poco meno di 1.500 attuali), abbassamento dell’IVA per i prodotti di prima necessità (tra cui il gas e l’elettricità) allo 5,5%, una politica fiscale più equa, ecc…

Il leader del maggiore sindacato critica il governo per avere ignorato i sindacati e lo accusa di “avere giocato con il fuoco”.

Chiaramente la situazione è in continua evoluzione, e a livello continentale la Francia sembra ora il teatro del più alto livello di divaricazione tra le élites e i normali cittadini. Cosa che non si era verificata neppure dopo i tentativi di coagulare “un fronte popolare” contro le politiche governative attorno alle singole vertenze, come nel caso dei ferrovieri, o su piattaforme politico-sindacali più ampie (come nel caso delle manifestazioni del Primo Maggio); neanche la “Marea Popolare”, insomma, aveva mai messo sinora in difficoltà il governo, e neanche le partecipate mobilitazioni ecologiste.

Non sappiamo se ci troviamo sul punto di un ulteriore accelerazione del movimento sociale, dopo questa prima riuscita prova di forza dei Giltes Jaunes che sta impensierendo l’esecutivo e parte dell’establishment economico, mettendo anche alla prova la capacità delle organizzazioni tradizionali di interazione, di fronte a un blocco sociale molto differenziato al suo interno, che va dal ceto medio impoverito alle fasce di precariato sociale della Francia “peri-urbana” e “rurale”.

Certamente il suo carattere interclassista, proteiforme ed eterogeneo – non alieno in alcuni casi (ma non così impregnato) da riferimenti negativi, come lo descrivono i suoi detrattori – e il suo retroterra organizzativo nullo, lo rendono un oggetto politico non facilmente classificabile e foriero di diversi sviluppi, in cui l’intervento diretto sia delle organizzazioni sindacali che delle forze politiche può svolgere un ruolo.

Questa funzione non sta solo nella maniera di interagire con questo movimento, ma nel sapere aggredire le contraddizioni sociali reali che pone, offrendo un orizzonte politico più ampio.

In questo senso, l’interpretazione di Chloé Morin, direttrice dei progetti internazionali dell’Ipsos, offre alcuni spunti interessanti., sebbene confonda “la rappresentazione” che i partecipanti ai blocchi vogliono dare di sé con la realtà in quanto tale, dove le culture politiche pregresse e le esperienza di lotta precedenti hanno un peso, anche influenzando direttamente i propri ambiti organizzativi sia politici che sindacali, quando esistono.

Questo movimento è forse il primo movimento ampio di una nuova era dove non c’è più alcuna struttura collettiva suscettibile di canalizzare e di moderare i dibattiti politici, dove partiti e sindacati non sono solamente ignorati, ma rigettati, e dove il potere si trova da solo di fronte alla collera vulcanica dalle molte facce. Questo genere di movimento non può essere giudicato dal numero dei manifestanti, come i movimenti passati organizzati dai sindacati. Può essere giudicato secondo la sua capacità di durare, di suscitare l’empatia generale e dalla sua radicalità”.

Sabato 24 novembre a Parigi, sarà l’ennesimo banco di prova: “è là che si trovano quelli che governano, questo avrà ancora più impatto”, recita l’appello.

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