Quando mancano due giorni al secondo turno delle elezioni presidenziali ucraine del 21 aprile – al primo turno, su 39 candidati, l’attuale Presidente Petro Porošenko aveva avuto il 15,95%, contro il 30,24% dello showman Vladimir Zelenskij, pedina dell’oligarca Igor Kolomojskij – a Mosca si parla di alte possibilità di provocazioni antirusse.
L’allarme è indirettamente confermato da Ukraïnska Pravda, che ovviamente scrive di gruppi di sabotatori russi presenti a Kiev; di contro, l’ex membro della frazione parlamentare “Blocco Porošenko”, il deputato della Rada Evgenij Rybčinskij, parla di “preparazione di colpo di stato” da parte dell’attuale Presidente ucraino. “Alcuni gruppi di forze speciali sono arrivati a Kiev in borghese”.
L’obiettivo è quello di “fermare le elezioni e introdurre la dittatura militare”, scrive Rybčinskij e aggiunge che “gli aeroporti di Borispol e Žuljany si stanno preparando a decolli di massa dell’élite corrotta”. E Mosca, come si dice, “per non saper né legger né scrivere”, ha ieri decretato che dal 1 giugno, petrolio e suoi derivati possano essere forniti a Kiev solo sulla base di un permesso speciale ministeriale. Il politologo Maksim Žarov osserva che “l’embargo petrolifero, due giorni prima del voto, è un avvertimento molto serio a Kiev; soprattutto a Kolomojskij e a tutti coloro che stanno dietro a Zelenskij”.
Per parte loro, gli USA hanno cominciato a braccare gli uomini di Porošenko: il Comitato investigativo ucraino ha aperto un’inchiesta nei confronti del Procuratore generale, l’elettrotecnico Jurij Lutsenko. Il fatto è che, secondo il canale “Razvedčik”, tanto il Comitato investigativo, quanto l’Ufficio anticorruzione (NABU), sarebbero sotto il diretto controllo dell’ambasciata USA, anche se sulla scelta di Washington e di Bruxelles, a favore di uno o l’latro dei candidati, c’è tutt’ora abbastanza ambiguità.
Comunque, in vista del tracollo di Porošenko, che in molti danno per scontato, si assiste alle prime fughe dal paese di funzionari di primissimo piano, come è il caso del Procuratore militare, Anatolij Matios. Altri sono invece attesi davanti ai giudici. Ukraina.ru scrive che l’Ufficio investigativo di Stato avrebbe aperto un procedimento penale nientemeno che per deliberata cessione della Crimea, violenta presa del potere, tradimento e organizzazione di massacri in Majdan, nei confronti di: l’ex Primo ministro Arsenij Jatsenjuk, il Segretario del Consiglio di sicurezza Aleksandr Turčinov, lo speaker della Rada Andrej Parubij, l’ex capo del Servizio di sicurezza (SBU) Valentin Nalivajčenko, il capo del Comitato parlamentare per la sicurezza Sergej Pašinskij, l’ex plenipotenziario all’ONU Jurij Sergeev, il sindaco di Kiev Vitalij Kličkò, il leader di “Svoboda” Oleg Tjagnibok, l’attuale ed ex Ministri della difesa, Stepan Poltorak e Igor Tenjukh, il Procuratore generale Jurij Lutsenko, e altri alti funzionari.
In pratica, l’intero blocco di comando golpista. E l’ex deputato della frazione “Patria” di Julija Timošenko, Dmitrij Krjučkov, estradato (proprio ora!) dalla Germania, dove era rifugiato, ha tirato in ballo persino il direttore del NABU, Artem Sytnik, accusandolo di aver ricevuto una tangente di mezzo milione di dollari per l’affare della compagnia elettrica “Energoset”, indicando quali ulteriori beneficiari della mazzetta il Procuratore Lutsenko e lo stesso Porošenko.
Ma, nonostante la tremenda libecciata che gli si sta abbattendo contro, molti indizi stanno però a indicare che il presidente-golpista non ha alcuna intenzione di mollare così facilmente, anche a dispetto dei sondaggi che, quando mancano poche ore al duello dibattimentale di stasera allo stadio “Olimpijskij” di Kiev – in vista del quale i due contendenti avevano fatto pubbliche analisi del sangue, in cerca di tracce di alcool e droga – accreditano Porošenko della metà o addirittura 1/3 (dipende da chi commissiona il sondaggio!) dei voti di Zelenskij, il quale è dato tra il 51% e il 73%.
In questo scenario da “si salvi chi può”, il 16 aprile sono stati persino rimessi in libertà (in attesa della prossima udienza, a maggio) Nadežda Savčenko e il leader del Centro per lo scambio di prigionieri in Donbass, Vladimir Ruban, arrestati un anno fa con l’accusa di tentato omicidio di deputati e prime cariche dello Stato; in realtà, per impedire all’ex “Jeanne d’Arc” del battaglione “Ajdar” di candidarsi alle presidenziali.
Dopo la grazia concessale da Putin e il rientro in Ucraina nel 2016, la Savčenko aveva osato dire che nel 2014 in Ucraina era stato fatto un golpe e che Kiev avrebbe dovuto chiedere scusa a DNR e LNR; nel novembre 2017, lei e Ruban si erano addirittura incontrati a Donetsk con Aleksandr Zakharčenko. Appena qualche mese dopo, quando Porošenko già avvertiva il sorpasso nei sondaggi da parte di Julija Timošenko (Savčenko era deputata per il partito della bionda del gas), ecco che scoppia il caso degli “attentati su ordine di Donetsk e Lugansk” orditi da Savčenko e Ruban e i due vengono arrestati, con accuse cui nessuno crede.
Allo stesso modo, vengono ora rimessi in libertà, perché, dice l’elettrotecnico Lutsenko, i giudici che seguivano il procedimento “si sono ammalati”; o piuttosto, tentano di affrancarsi da un “moribondo” Porošenko, al pari dei loro colleghi che ieri hanno dichiarato illegale la nazionalizzazione di “PrivatBank” (proprietà di Igor Kolomojskij) decisa nel dicembre 2016 allorché l’oligarca era entrato definitivamente in guerra con Porošenko. Comunque, appena liberata, la Savčenko si è affrettata a predire una fine infelice di Zelenskij, in caso di vittoria e la “guerra e l’insurrezione del popolo”, nel caso vinca Porošenko.
Effettivamente, per quanto riguarda il primo, già in questi giorni si scoprono finti (o scongiurati appena in tempo) attentati contro di lui e del resto nessuno nega che il SBU ipotizzi da tempo la sua eliminazione. Per il secondo, si parla di preparativi per la fuga dall’Ucraina, sua e della sua famiglia, e sembra che a poco siano serviti gli incontri accordatigli in Europa.
Lo scorso 12 aprile, Emmanuel Macron aveva ricevuto prima Zelenskij e dopo Porošenko, che si era prima incontrato con Angela Merkel. Da Macron, Zelenskij potrebbe aver avuto l’assicurazione della “non interferenza” francese nelle elezioni. Secondo Sovetskaja Rossija, il Presidente francese opterebbe per Zelenskij e, dato che “Merkel ha annunciato la propria uscita dalla politica attiva, ecco che la scelta di Macron sembra decisiva”; dunque, scrive il giornale, probabilmente Porošenko è ora alle prese col dilemma: “la libertà all’estero, o la prigione in patria”.
Secondo il politologo ucraino Rostislav Iščenko, l’incontro della Merkel con Porošenko pare significare un appoggio, anche perché l’Europa non ha interesse a un epilogo sanguinoso e dunque chiede garanzie per il perdente, chiunque sia dei due. Nel caso perda Porošenko, si farà in modo che non venga arrestato e non lo ripuliscano completamente dei suoi patrimoni. Ma l’unica garanzia che non gli venga sottratto tutto il suo avere, non sarà certo la promessa degli oligarchi concorrenti – Kolomojskij in testa – pur se fatta di fronte a Merkel e Macron, ma sarà quella di conservargli un qualche peso politico, ad esempio nella sua frazione alla Rada, o l’inserimento di qualcuno dei suoi nel nuovo governo.
Gli osservatori sono abbastanza concordi nel rilevare che, se al secondo turno non fosse andato Zelenskij, ma la Timošenko, forse gli occidentali avrebbero finto la neutralità. Invece ora il rappresentante speciale USA per l’Ucraina, quel Kurt Volker che è succeduto a Victoria Nuland, ha dichiarato pubblicamente che Porošenko è “il male minore” e un “grande riformatore”.
Volker, d’altronde, ex analista della CIA, ex rappresentante USA presso la NATO, ex direttore del “John McCain Institute for International Leadership”, è un chiaro lobbista di Porošenko, dal momento che opera nella struttura del BGR Group di Ed Rogers (uno dei leader del movimento “Never Trump”), lo stesso scelto da Porošenko – che tifava per la Clinton – per promuovere i propri interessi a Washington dopo l’elezione di Donald Trump.
Tanto per intendersi, a Bruxelles probabilmente preferirebbero veder Presidente quello dei due da cui ci sia da attendersi meno problemi: Porošenko lo conoscono bene e hanno invitato Zelenskij, per cercare di capire se sarebbe peggio dell’altro; obiettivo di Zelenskij medesimo era quello di mostrarsi come parte integrante dell’establishment ucraina, tra l’altro, si dice, ben visto anche da Israele, in quanto ebreo.
Il fatto è che, a sentire il politologo Mikhail Pogrebenskij, dopo la vittoria di Zelenskij inizierà un periodo conflittuale con la Rada – attualmente controllata dalla corrente pro Porošenko e dallo speaker, il nazista Andrej Parubij – con relativa paralisi legislativa, almeno fino alle elezioni parlamentari d’autunno. Parubij ha definito Zelenskij “un volto non nuovo della politica”, una “versione moderna di Viktor Janukovič”, per il fatto di voler entrare “nella NATO passando per un referendum, mentre la lingua, la cultura e il territorio devono essere messi tra parentesi” e lo ha accusato di voler muovere guerra alla Rada.
Sull’altro versante, però, il Ministro degli interni Arsen Avakov, vero ago della bilancia in questo confronto, garantisce che non vi saranno brogli da parte dell’entourage di Porošenko, con ciò stesso schierandosi per Zelenskij. A favore di quest’ultimo, praticamente la maggioranza della frazione parlamentare del “Fronte del popolo”, che fa capo all’ex primo ministro Arsenij Jatsenjuk; apparentemente neutrale quella del capo del Consiglio di sicurezza e difesa Aleksandr Turčinov.
Cosa deve fare dunque Porošenko? A Kiev si parla di un piano B per il primo golpista d’Ucraina, consistente in un effettivo astenersi da evidenti brogli e una sconfitta “pacifica”, e incolumità garantita da USA e UE; quindi, ingresso in Parlamento, rafforzamento della propria frazione e conquista del posto di speaker. In cambio, lui assicurerà all’Occidente il controllo sul “pro-Cremlino” Zelenskij, assicurando il corso di Kiev verso NATO e UE, oltre alla crescente pressione sulla Russia.
Può darsi che proprio di questo Porošenko abbia discusso con Macron e Merkel il 12 aprile, sapendo di aver le spalle coperte da Kurt Volker, dal capo del Consiglio d’Europa, Donald Tusk e dal Segretario generale della NATO Jens Stoltenberg.
Ma, in sostanza, per chi è Washington? Gli osservatori ucraini non sono del tutto unanimi. Da un lato, si dà per assodato che funzionari USA stiano già collaborando con il quartier generale di Zelenskij; dall’altro, per Washington, l’Ucraina non è che uno strumento di pressione sulla Russia, e in questo senso Porošenko è più affidabile, perché già sperimentato. E, però, il politologo Ruslan Bortnik dubita che si possa parlare di un consolidato sostegno USA e UE a Porošenko. Bortnik pensa che le élite occidentali abbiano iniziato il loro gioco con Zelenskij, ma con cautela: anche “se non credono pienamente in lui, lo stanno ricattando, per renderlo più accomodante”. Tant’è che “ora Zelenskij, nelle sue critiche a Porošenko, avanza molti punti su cui insistono FMI e ambasciate occidentali”. Cioè: i veri manovratori dei golpisti di Kiev.
Come sostiene Maksim Sokolov su RT, Petro Porošenko ha stancato tutti (su questo, ucraini e osservatori occidentali sono unanimi), ma l’Occidente è ancora indeciso se considerare o no Zelenskij, con Kolomojskij, un “prezioso dono del destino”.
Stando a iarex.ru, al secondo turno avrebbe dovuto andare Julija Timošenko, ma l’ambasciatrice statunitense Mari Jovanovič le avrebbe imposto di non fare ricorso per brogli. Secondo fonti anonime all’interno della Commissione elettorale, i veri risultati del primo turno sarebbero stati: Vladimir Zelenskij, oltre il 33%, Julija Timošenko, circa il 16%, Petro Porošenko, circa l’11%. Resta un enigma cosa abbia promesso la Jovanovič alla Timošenko in cambio del silenzio e se il gioco yankee significhi un diretto intervento a favore di Porošenko.
In definitiva, come scriveva giorni fa ROT Front, i “circoli dominanti ucraini se ne infischiano delle norme elementari della democrazia borghese: non hanno ammesso la candidatura del rappresentante del PCU, hanno privato del diritto di voto non solo gli ucraini residenti in Russia e in DNR e LNR, ma anche coloro che chiedono la libertà dell’Ucraina dai diktat USA e NATO e sono contrari a trasformare il popolo ucraino in ostaggio della lotta di USA e NATO contro gli imperialisti di Russia, in uno scontro tra popoli fraterni per gli interessi dei circoli dominanti.
La vera scelta non è tra Porošenko e Zelenskij, ma è quella a favore delle forze che sono per l’unità internazionale dei lavoratori, nella lotta contro i propri e gli altri poli imperialisti e per la reale sovranità politica dei popoli fratelli”.
In concreto, ieri l’altro, erano state segnalate colonne di carri armati in movimento verso il Donbass: chiunque prenda il potere a Kiev, nessuno ha serie intenzioni di mettere fine all’aggressione alle Repubbliche popolari.
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