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Missili nordcoreani e strategia USA nel Pacifico

La Repubblica popolare democratica di Corea ha salutato a modo suo l’insediamento a Tokyo del nuovo imperatore Naruhito, il primo monarca giapponese nato dopo la capitolazione nipponica del 1945: l’agenzia sudcoreana Yonhap ha dato notizia del lancio sperimentale di alcuni missili a corto raggio (da 70 a 200 km) da Parte di Pyongyang, in direzione del mar del Giappone.

Il lancio sarebbe stato effettuato intorno alle 2 di stamani (ora italiana) dal poligono di Wŏnsan, sulla costa orientale nordcoreana. Secondo lo Stato maggiore giapponese, i missili non sarebbero stati balistici e non hanno raggiunto la zona economica esclusiva giapponese.

La Tass ricorda come gli ultimi lanci sperimentali nordcoreani, prima di stanotte, risalgano al novembre 2017; in quell’occasione, era stato testato il nuovo “Hwason-15”, che aveva raggiunto un’altitudine di 4.475 km e coperto una distanza di 950 km: Pyongyang aveva allora dichiarato che il razzo era in grado di portare una testata nucleare e tenere sotto tiro l’intero territorio degli Stati Uniti.

Tra il 2016 e il 2017, la RPDC aveva effettuato una quarantina di lanci di missili balistici. Poi, nell’aprile 2018, la rinuncia a condurre test di armi nucleari e missili balistici di diversa gittata e, un mese più tardi, Pyongyang liquidava il poligono di Punggye-ri, in cui aveva condotto sei test nucleari sotterranei.

Secondo il Ministero della difesa giapponese, i nuovi lanci nordcoreani costituirebbero una sorta di “sprone”, a fronte dello stallo in cui sono finiti i colloqui tra Pyongyang e Washington sulla questione della denuclearizzazione. Non di poco conto il fatto che – nonostante alcune fonti sudcoreane abbiano parlato del lancio di “alcuni missili, anche a medio raggio, fino a 700 km” – la RPDC non abbia testato missili balistici a lungo raggio, considerati “una minaccia” da Giappone e Stati Uniti.

Proprio ieri si era avuto un lungo colloquio telefonico tra Donald Trump e Vladimir Putin e uno degli argomenti era stato proprio quello nordcoreano. Tra gli altri temi: Turchia, Afghanistan, Iraq e Iran, trattato INF (la cui denuncia da parte USA, secondo Mosca, rigetta il mondo indietro di 30 anni), situazione ucraina e soprattutto la questione venezuelana, in vista del prossimo incontro tra il Ministro degli esteri Sergej Lavròv e il Segretario di stato Mike Pompeo.

Sulla questione della denuclearizzazione della Penisola coreana, rileva ancora la Tass, Mosca e Washington seguono “percorsi paralleli. Mosca, ovviamente, non è l’interlocutore principale nel processo negoziale, ma, al tempo stesso, è un soggetto in grado di promuovere il dialogo tra Kim Jong Un e Shinzo Abe.

Da parte americana, Daniel R. DePetris sostiene – peraltro, tacciando tutti leader mondiali da “dittatori”, di contro alla “democrazia” a stelle e strisce – su The National Interest che “Putin può definire il summit con il giovane dittatore nordcoreano un successo; la realtà è che i colloqui sulla denuclearizzazione sono bloccati, oggi come lo erano prima dell’incontro di Vladivostok”. E tuttavia, Putin “ha dato un contributo positivo alla discussione generale” e ha rilevato come “la denuclearizzazione sia ancora possibile se gli Stati Uniti evolvessero il loro approccio diplomatico dal “grosso problema” della Boltonite a un processo più progressivo, del dare e avere”.

Secondo Putin, la denuclearizzazione è ancora all’ordine del giorno, “se avanziamo gradualmente e rispettando gli interessi degli altri”. Il fatto che questa ovvia banalità, chiosa DePetris debba “esser ricordata ai funzionari degli Stati Uniti da migliaia di miglia di distanza, è un’accusa sulla strategia diplomatica che l’amministrazione Trump ha scelto finora”.

Nel febbraio scorso, al secondo vertice tra USA e RPDC, Trump aveva presentato a Kim una “ridicola proposta all-for-all”, ricorda DePetris, chiedendo ai nordcoreani “di consegnare su un piatto d’argento i propri programmi nucleari, chimici, biologici e missilistici agli Stati Uniti, in cambio di promesse.

Non è necessario avere un dottorato in storia coreana per riconoscere che un tale ultimatum sarebbe stato respinto; il leader nordcoreano sarebbe stato davvero pazzo a prendere seriamente in considerazione la proposta. Il dittatore libico Muammar el-Gheddafi commise questo errore di giudizio quando permise ai negoziatori statunitensi e britannici di trasportare il suo rozzo programma nucleare a Oak Ridge, nel Tennessee, per la distruzione”: poco più di sette anni dopo, Gheddafi fu assassinato.

Su molte questioni, osserva DePetris, “Putin è un concorrente degli USA, ma sul tema della Corea del Nord, Washington e Mosca condividono un obiettivo simile. Entrambi i paesi vogliono una penisola coreana in pace e integrata con il resto della regione – e un regime di Kim forse un po’ meno nuclearizzato”.

Ovviamente, queste sono le parole di DePetris: difficile dire se lo pensi davvero; di sicuro, nessun elemento sta a indicare che tale sia veramente l’approccio della Casa Bianca, anche solo considerando il ruolo strategico, nel confronto con Cina e Russia, assegnato dal Pentagono a piazzeforti militari quali le isole del Gippone, Guam e Corea del Sud.

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