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L’Algeria sul tetto dell’Africa: il calcio è del popolo!

La finale della CAN tra Algeria e Senegal non sarà certo ricordata come il miglior match giocato dalla compagine nord-africana ma “les fennecs” vincono con un gol al 2° minuto (in realtà una sfortunata auto-rete), mentre sono i Leoni di Terranga a dominare la gara.

I numeri parlano chiaro: un solo tiro in porta per l’Algeria – quello del “gollonzo” di Baghdad Bounedjah deviato dallo sfortunato Salif Sané – contro i 12 dei senegalesi che hanno avuto un possesso di palla del 62%, un maggior numero di passaggi riusciti e di corner, ed hanno visto un rigore primo concesso e poi annullato nella parte finale del secondo tempo…

Ma alla fine, per la seconda volta nella storia, la più prestigiosa competizione africana è degli eredi degli “Undici dell’Indipendenza”, ovvero “l’equipe FLN” che dal ’58 fino alla vittoria della lotta di liberazione furono tra le punte di lancia della propaganda internazionale della nascente nazione algerina.

Con 13 gol segnati, ed Ismaël 

(futuro milanista per la cronaca) designato miglior giocatore del torneo l’Algeria sale sul tetto d’africa

Djamel Belmadi – l’unica “B” veramente amata dagli algerini – allenatore della compagine nord-africana, che per la gara decisiva ha schierato la stessa formazione della vittoriosa semifinale con la Nigeria vinta per 2-1, ha dichiarato di essere “molto felice per il popolo”.

Arrivato l’agosto del 2018, dopo la defenestrazione “a furor di popolo” del precedente coach, designato per la sua vicinanza alla sistema di potere di Bouteflika che per i suoi meriti da allenatore ha così dichiarato: Ho recuperato una squadra in difficoltà, essere riuscito a realizzare questa impresa in poco tempo è straordinario. Quando avevo detto che saremmo andati in Egitto per vincere la CAN, mi hanno preso per folle”.

Più o meno la stessa follia di cui sarebbe stato tacciato chiunque avesse detto che l’ottuagenario ormai ex presidente avrebbe rinunciato al suo quinto mandato su spinta di un inedito movimento popolare che non sembra arrestarsi dal 22 febbraio…

29 anni fa, l’Algeria finse la prima e l’unica volta questa competizione, proprio agli albori di quel “decennio nero” in cui la guerra civile tra l’esercito (ANP) e le formazioni islamiche – tra cui i GIA – insanguinò il paese e coinvolse l’esagono, isolandolo e costringendo all’esilio una parte importante della popolazione costretta a fuggire dal terrore jihadista di cui questo popolo tra le prime vittime nella storia.

Un precedente che ha lasciato ferite profonde nella società algerina – così come i 130 di dominazione francese – e che come è una cappa è pesata in tutti questi anni con un potere che ha identificato ogni spinta popolare – che aveva preceduto con il movimento dell’88 la guerra civile – come foriero di instabilità.

L’Algeria finisce imbattuta questa splendida competizione che ha suscitato una notevole empatia, sia per motivi prettamente calcistici che maggiormente per ragioni politiche in un arco che va dai campi profughi saharawi nell’est algerino alla striscia di Gaza, passando per Marocco e Tunisia (entrambe eleminate a CAN 2019 – la Tunisia in semifinale proprio contro il Senegal, il Marocco prima con tanto di “crisi politica” legata ai cattivi risultati calcistici) e financo all’Egitto, cui il regime aveva scommesso non poco sulla competizione, ma la squadra degli padroni di casa è stata eliminata ben prima di arrivare alle fasi finali.

Un empatia popolare tra popolo egiziano ed algerino che ha azzerato una “storica rivalità” accresciuta a causa degli avvenimenti relativi alla partita tra le due squadre del 18 novembre del 2009 per la qualificazione dei Mondiali giocata allo stadio della città gemella della capitale sudanese Omdurman, in cui 10.000 tifosi algerini gridavano vendetta contro l’aggressione da parte dei supporter dei “Faraoni” dei giocatori algerini avvenuta qualche giorno prima al Cairo.

Così dichiara uno studente algerino a “Le Monde”: è Maghreb United! È troppo bello! Da forza, marocchini, tunisini, algerini, tutti insieme. Oh la la! Se vinciamo farà caldo agli Champs-Elysées da voi. Sarà la bouillabaisse maghrebina.”

Poco prima dell’inizio era morto l’unico presidente democraticamente eletto nella storia egiziana – Morsi – in detenzione dopo il colpo di stato di Al Sisi, mentre 60.000 detenuti politici affollano ancora le carceri egiziane e il paese mostra tutta la sua aggressività ed ingerenza nei confronti del teatro libico (sostenendo Haftar) e nel Sudan, dove è un grande sponsor della TMC, ovvero la giunta militare che ha preso il potere dopo il colpo di stato dell’11 aprile che ha defenestrato Al Bashir e che continua a vivere un complicato processo di transizione pieno di incognite.

Uno degli slogan dell’Hirak algerino suonava più o meno – contro il protagonismo dell’esercito e le ingerenze del Capo di Stato Maggiore dell’ANP Gaïd Salah: “non siamo l’Egitto”.

L’accesso allo stadio egiziano è stato “preso d’assalto” da 20.000 tifosi algerini – che potevano entrare gratuitamente mostrando il passaporto – di fatto rendendo inoperanti i meccanismi di acquisto dei biglietti e l’apparato securitario precedentemente disposto: si potevano comprare i biglietti tramite una piattaforma informatica e solo se in possesso di una sorta di “tessera del tifoso”, mentre era teoricamente bandito l’uso di fumogeni e altre amenità varie che caratterizzano “il calcio moderno” anche nella sponda sud del Mediterraneo…

È stata una festa che ha riguardato anche la Francia, che per l’occasione è diventata “territorio d’Oltre Mare” algerino, con un ingerente apparato securitario (2.500 poliziotti nella sola Parigi impiegati) e disposizioni precise sul divieto di vendita di alcol e fumogeni che hanno riguardato in particolare Marsiglia, Lione e Parigi: le città dove vivono i circa 750.000 abitanti dell’Esagono che hanno origini nord-africane.

282 erano state “interrogate” dopo i festeggiamenti della semi-finale il 14 luglio che avevano scatenato le polemiche della destra francese dall’ex FN ora RN alla FD che aveva recentemente invitato chi ama così calorosamente l’Algeria a tornare al loro paese.

Ma il neo-colonialismo sportivo si era espresso in maniera anche più sfumata definendo la compagnie nord-africana “made in France” visto il numero cospicuo di bi-nazionali.

A Marsiglia, soprannominata la “49° Wilaya”, cioè il 49° della dipartimento dell’amministrazione algerina, dove vivono circa 300.000 cittadini di origine algerina (più di un terzo della popolazione) e 6.000 senegalesi i festeggiamenti sono stati particolarmente calorosi, e la vittoria è stata percepita come una occasione di riscatto per un popolo e una metropoli che dal novembre scorso ha conosciuto un frangente politico-sociale particolare.

Le scene di giubilo in Algeria entreranno nella storia, ed anche il significato di questa vittoria sarà un terreno di battaglia per il movimento che si contrappone al “sistema” da più di 5 mesi.

Ad una cronaca sportiva distratta dell’Italia pallonara settata sul calcio moderno come strumento mercanti-spettacolare di ipnosi di massa e di speculazione economica, e terreno di imposizione dei valori egemonici di un capitalismo morente è sfuggito che in altre latitudini: il calcio è del popolo!

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