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Francia. Il “nuovo” governo già puzza di vecchia austerità sociale

Tre settimane dopo la sua “vittoria” al ballottaggio delle elezioni presidenziali contro Marine Le Pen, Emmanuel Macron ha nominato Élisabeth Borne come primo ministro del prossimo governo francese, la quale andrà a prendere il posto di Jean Castex, dimessosi formalmente lunedì 16 maggio.

Il presidente Macron ha optato per una delle opzioni più papabili circolate negli ultimi giorni: una figura istituzionale e tecnica di fiducia per portare avanti il suo programma di smantellamento dello Stato sociale in Francia.

Inizia una nuova stagione di maltrattamenti sociali ed ecologici. Élisabeth Borne incarna la continuità della politica del Presidente. È una delle figure più dure del massacro sociale macronista”, ha commentato a caldo il leader de La France insoumise, Jean-Luc Mélenchon in conferenza stampa, annunciando una nuova “guerra sociale” senza limiti voluta da Macron per il suo secondo quinquennato.

Élisabeth Borne: l’artefice delle liberalizzazioni in continui conflitti d’interesse

Formatasi alla Grande École Polytechnique degli ingegneri francesi, dal 2014 al 2015 è stata direttrice del gabinetto di Ségolène Royal al Ministero dell’Ecologia; in questi anni, lavorando insieme a Alexis Kohler, al tempo direttore del gabinetto di Emmanuel Macron quando quest’ultimo presiedeva il Ministero dell’Economia sotto François Hollande, è stata autrice della privatizzazione delle autostrade francesi.

Sotto la loro guida, è stato concluso un protocollo d’intesa con le sette concessionarie autostradali storiche – controllate da Vinci, Eiffage o Abertis, le quali gestiscono la maggior parte della rete autostradale. Nel corso degli anni sono emersi anche i sospetti di un potenziale conflitto di interessi, in quanto la stessa Élisabeth Borne è stata nel 2007 direttrice delle concessioni proprio presso la società Eiffage.

Al contrario degli annunci fatti nel dicembre 2014 dalla ministra Ségolène Royal su un congelamento dei pedaggi, l’accordo, firmato nell’aprile 2015 e rimasto segreto fino alla rivelazione di alcuni suoi estratti nel settembre 2017 ad opera di un giornalista di France 2, prevedeva aumenti delle tariffe fino al 2023.

Lo Stato si era impegnato a compensare completamente il congelamento delle tariffe deciso nel 2015 con “ulteriori aumenti tariffari il 1° febbraio di ogni anno dal 2019 al 2023”, comportando un costo aggiuntivo di 500 milioni di euro per gli utenti, secondo le stime della Autorità francese di regolamentazione dei trasporti ferroviari e stradali (Arafer).

Al di là dell’aumento delle tariffe e della durata delle concessioni (da due a cinque anni, in cambio di 3,2 miliardi di euro di lavori aggiuntivi in dieci anni), è soprattutto la benevolenza dello Stato nei confronti delle imprese concessionarie che colpisce in questo accordo: per le società concessionaria si è trattato di una garanzia di profitti perpetui e privi di rischi.

Dal 2015 al 2017, Élisabeth Borne è stata presidente della RATP, l’azienda che gestisce la stragrande maggioranza dei trasporti pubblici di Parigi e della sua banlieue. È stata l’artefice del piano strategico di “apertura alla concorrenza” della RATP, non tanto per le linee di tram e metro già esistenti – per le quali la RATP gode di un monopolio di gestione rispettivamente fino al 2029 e al 2039 –, quanto per le nuove linee di tram e metro che integreranno la rete dei trasporti nel progetto urbano di “Grand Paris”.

L’apertura alla concorrenza della RATP è stata il cavallo di battaglia che Élisabeth Borne ha portato avanti quando, dal 2017 al 2019, ha ricoperto la carica di ministra dei Trasporti. Questo è stato il primo incarico governativo, raggiunto dopo aver integrato La République en marche (LREM), il partito politico creato da Macron per la sua prima campagna presidenziale nel 2016.

Spingendo per una concertazione sul “quadro sociale”, l’apertura alla concorrenza della RATP è stata approvata lo scorso febbraio dal suo Consiglio di Amministrazione. Il piano prevede di “spacchettare” in 12 lotti la rete di bus di Parigi e della sua cintura limitrofa, i quali potranno essere privatizzati e concessi al miglior offerente, senza alcuna garanzia sul mantenimento dei posti di lavoro, sulla qualità del servizio né sul prezzo del titolo di trasporto.

Il piano elaborato per la RATP è diventato così il “modello” da seguire pedissequamente per un’altra azienda pubblica: la SNCF, ovvero la società ferroviaria pubblica nazionale. Nel 2018, all’apertura alla concorrenza della SNCF e all’attacco allo “statuto dei ferrovieri” portato avanti da Élisabeth Borne all’inizio del primo quinquennato di Macron si oppose un movimento sindacale e sociale innestatosi sullo “sciopero intermittente” dei ferrovieri portato avanti per tre mesi. Sanzioni e licenziamenti colpirono i sindacalisti della CGT e di Sud-Rail una volta terminata la protesta.

Nonostante la grande mobilitazione, l’apertura alla concorrenza è diventata effettiva dal 1° gennaio 2020 con la trasformazione dello statuto della SNCF (ora diventata società per azioni a capitale pubblico) e la fine delle assunzioni con lo “statuto dei ferrovieri”. Questa è stata una misura voluta dall’Unione Europea per la liberalizzazione del settore ferroviario francese.

A proseguire questo “capolavoro” avviato da Élisabeth Borne è stato Jean-Baptiste Djebbari, suo successore al Ministero del Trasporti e portavoce del gruppo LREM all’Assemblée Nationale. Qualche ora prima delle dimissioni del governo guidato da Jean Castex, l’azienda francese Hopium, specializzata in auto ad idrogeno di alta gamma, ha annunciato l’integrazione di Djebbari nel suo CdA, scatenando i dubbi per l’ennesimo conflitto di interessi durante la presidenza di Macron.

Dal luglio 2019 al luglio 2020, Élisabeth Borne viene nominata ministro della Transizione ecologica, dopo le dimissioni di François de Rugy, travolto dallo scandalo rivelato da Mediapart sull’utilizzo di fondi pubblici per cene a base di champagne e aragoste e per la ristrutturazione del suo appartamento ministeriale con l’istallazione di uno spogliatoio da 17mila euro.

In questo breve periodo, Élisabeth Borne riesce a distinguersi per le sue dichiarazioni “poco ecologiste”, dichiarandosi favorevole ai viaggi con piccoli aerei piuttosto che alla costruzione di grandi linee ferroviarie e contraria ad una maggior tassazione dei carburanti marittimi.

Il settimanale Marianne rivelò un suo potenziale conflitto di interessi nell’aver “omesso” di dichiarare la sua attività nel Consiglio di Amministrazione dell’Institut pour la gestion déléguée (IGD) tra il 2015 e 2016, le cui sedute sono presiedute da Hubert de Mesnil, al tempo stesso presidente del CdA di TELT, la società incaricata di costruire il TAV Torino-Lione.

Durante il suo mandato, quattro ONG, raggruppate sotto l’insegna “Affaire du siècle” sostenuta da una petizione di oltre 2,3 milioni di cittadini, avevano fatto ricorso al Tribunale amministrativo di Parigi contro l’inazione climatica da parte del governo. Nel febbraio 2021, i giudici hanno ritenuto lo Stato francese “responsabile di una parte dei danni ecologici osservati, alla luce degli impegni assunti e non rispettati nell’ambito del primo bilancio sull’emissioni di gas serra”.

Inoltre, ha portato a compimento la “Loi Énergie-climat”, approvata a novembre 2019, in cui, nonostante venga dichiarato di mirare al raggiungimento della neutralità delle emissioni di carbonio entro il 2050 attraverso la riduzione del 40% del consumo di combustibili fossili entro il 2030, si stabilisce il rinvio dal 2025 al 2035 della riduzione al 50% della quota di energia nucleare nella produzione di elettricità.

Con la nomina di Jean Castex come primo ministro nel luglio 2020 e il rimpasto di governo dopo le ultime elezioni comunali, Élisabeth Borne è passata al Ministero del Lavoro dove si è messa subito all’opera su due “controriforme”: quella delle pensioni e quella della “assurance chômage”, ovvero l’indennizzo di disoccupazione. Entrambe sono state posticipate, rispetto al timing originale dell’agenda neoliberista, a causa dalla pandemia di Covid-19.

Dallo scorso luglio, è entrata in vigore la riforma della “assurance chômage”, la quale ha comportato un innalzamento dei requisiti per aver accesso alla disoccupazione (prima era sufficiente aver lavorato 4 mesi sui 28 trascorsi, ora è necessario aver lavorato 6 mesi sugli ultimi 24) e una riduzione media del 17% dell’importo del sussidio versato per una platea di 1 milione di disoccupati (con circa 365.000 di questi che hanno visto un calo di oltre il 35%).

La riforma ha colpito duramente chi (soprav)vive grazie a contratti precari, interinali o a tempo parziale. Questa massa crescente di persone, tra cui principalmente i giovani, non solo è costretta a subire una condizione di perenne precarietà economica fatta di ricatto e sfruttamento, ma viene ulteriormente penalizzata appena il contratto di lavoro terminerà.

Resta ancora da completare l’opera sulla riforma delle pensioni, voluta dalla Commissione Europea, e che sarà il primo punto dell’agenda del secondo quinquennato di Macron all’Eliseo. Quando la riforma è stata presentata all’Assemblée Nationale, nel dicembre 2019, le organizzazioni sindacali convocarono uno sciopero ad oltranza che, in diverse forme ed intensità, è andato avanti fino allo scoppio dell’emergenza sanitaria.

All’indomani del ballottaggio delle presidenziali, Élisabeth Borne ha dichiarato a in un’intervista a RTL che è “necessario innalzare a 65 anni l’età in cui i francesi avranno diritto ad andare in pensione”.

Le prossime scadenza politiche in vista delle legislative

Nei prossimi giorni, sarà chiamata a costituire il governo e dovrà decidere se confermare o meno alcuni ministri, già coinvolti in scandali e contestati dall’opinione pubblica per il loro operato: in primis, Gérald Darmanin, ex ministro degli Interni, accusato di stupro e molestie sessuali, e poi Éric Dupond-Moretti, ex ministro della Giustizia, accusato di aver usato i poteri disciplinari del suo ministero per regolare i conti con i magistrati anticorruzione con i quali era in aperto conflitto quando era avvocato.

Nel frattempo, dovrà anche occuparsi della campagna elettorale per le legislative del prossimo 12 e 19 giugno. La Nouvelle Union Populaire Écologique et Sociale (NUPES), nata dall’alleanza tra La France insoumise, i verdi di EELV, il PCF e il PS. Jean-Luc Mélenchon ha chiesto ai francesi di votare in massa la coalizione NUPES per costituire un blocco d’opposizione a Macron all’Assemblée Nationale e costringere quest’ultimo a nominare il leader insoumis nuovo primo ministro.

La speranza è che il soggiorno di Élisabeth Borne a Matignon (sede del governo francese) duri poco, come ironizzato dallo stesso Mélenchon sul suo profilo Twitter, affermando che si tratta di un “incarico provvisorio a tempo determinato”.

Nell’ultimo sondaggio di Harris Interactive, i candidati sostenuti dalla NUPES sono in testa con il 29% delle intenzioni di voto, con una progressione di un punto in una settimana, davanti a quelli della maggioranza presidenziale al 26%. Secondo queste proiezioni, La France insoumise otterrebbe tra i 62 e gli 88 deputati (contro gli attuali 17) e potrebbe diventare il primo gruppo di opposizione. Inoltre, potrebbe quindi rivendicare, secondo una regola messa in atto da Nicolas Sarkozy, la presidenza del potente Comitato delle Finanze.

Il “terzo turno delle presidenziali”, ovvero le elezioni legislative secondo le dichiarazioni degli insoumis, è una partita aperta e tutta da giocare.

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1 Commento


  • carlo corbellari

    è assolutamente vero ed incontrovertibile che quando una donna entra nel potere alto o cmq nel potere, diventa sempre più realista del re e non solo per compiacere chi l’ha “assunta”, ma proprio per inclinazione naturale. durezza conservazione revanscismo imposizione di genere classismo restaurazione …dal 1980 c’è un esempio da studiare

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