Torno a casa per un tempo di restituzione dopo tre anni vissuti nel Paese di Sabbia, il Niger. Per alcuni il viaggio dal Sud al Nord del mondo è facile. Denaro e documenti in regola che, come l’identità ormai assodata e riconosciuta, permettono di trasgredire le frontiere senza problemi. In questi anni ho incontrato soprattutto ‘persone non grate’ e cioè persone alle quali è stato imposto di capire che non sarebbero state le benvenute nel Paese che io sto per raggiungere.
Persona non grata è un titolo giuridico che suona come un’offesa al primo patrimonio comune dell’umanità che è la dignità. Esclusi dall’ingresso in un Paese prima ancora di farne parte non è che la conferma del sistema di esclusione globale che caratterizza il nostro tempo. C’è una porzione del mondo, numericamente insignificante, che dichiara ‘persone non grate’ chi non risponde alla definizione di ‘buon consumatore’, e cioè la maggior parte abitata del pianeta terra.
Torno con la grati-tudine di quanto vissuto e condiviso in un Paese che mai mi ha considerato ‘persona non grata’ malgrado la diversità di opinioni, di religione, di colore e di cultura. Mi ha reso ancora più consapevole che, in ultimo, è la sabbia che salverà il mondo. Quella di cui siamo fatti e che ci accompagna, fedelmente, ad ogni tappa della nostra vita. Parole, scritti, programmi, sogni, incontri, promesse, religioni, amicizie, accordi e ideologie non sono altro che sabbia che il vento si diverte a cucire assieme.
La sabbia è paziente, rende servizio, non è gelosa, non si vanta e non si gonfia di orgoglio. Non cerca il proprio interesse, non si mette in collera e non si ricorda del male subito. Non si rallegra per l’ingiustizia ma della verità. La sabbia scusa tutto, crede tutto e sopporta tutto. La sabbia è paziente e ha imparato come resistere alle dittature, ai colpi di stato e alla democrazia tropicale. Alla fine è lei che avrà l’ultima parola.
Torno con una borsa piena di volti. Sono coloro che hanno attraversato la grande prova e hanno dato un nome e una storia al rischio di vivere da un’altra parte come ‘persone non grate’. Una borsa piena di frontiere disegnate a forma di fili spinati, barche affondate e detenzioni preventive. Volti scolpiti da attese mai pervenute a destinazione e espulsioni senza motivo apparente. Anni di lavoro buttati via dalle forze dell’ordine che, col pretesto di eseguire ordini, rubano quanto era stato messo da parte per una vita decente al proprio Paese.
Torno con la tenacia dei contadini che ogni giorno scrutano il cielo per indovinare dov’è andato a nascondersi il dio della pioggia. Loro che sanno come contemplare la pianta di miglio che cresce e portano dietro le spalle il granaio vuoto della stagione passata. Torno coi crocevia arredati per la festa e i carri tirati da asini che passano trionfalmente poco lontano dal Palazzo dei Congressi di Niamey.
Torno con le mani libere perchè piene di assenze. Quella di Pierluigi Maccalli, scomparso una notte di settembre e da allora prigioniero del nulla. Da oltre dieci mesi ormai è il silenzio che attraversa questa porzione armata del Sahel. Un’ingiustizia che rivela la crudele insipienza del male e di cui lui, ingenuo e incauto seminatore di pace, è solitaria vittima.
Come se tra lui, assente, e chi ha il privilegio di tornare, ci fosse una complicità di destino. Portarne la voce e l’eredità mai scritta è come assumerne il rischio di portarla a compimento. L’altra assenza è costituita proprio da loro, le ‘persone non grate’ all’altre parte del mondo che si impegnano a disegnare passerelle sulla sabbia che, subito, il vento si porta via.
Niamey, luglio 2019
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