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Il Vietnam vince la nuova “campagna di primavera” contro il Covid-19

Secondo i dati del Ministero della Salute vietnamita, nel Paese del Sud-est asiatico, con una popolazione di quasi 100 milioni di abitanti, ci sarebbero solo 270 persone contagiate dal Covid-19, – di cui 225 guarite – e nessun decesso.

Insieme a Laos e Cambogia condivide il primato dei “zero morti” per la pandemia globale.

Un innegabile successo che è stato paragonato, dal primo ministro Nguyen Xuan Phuc, alla vittoriosa “campagna di primavera” lanciata alla fine degli Anni Sessanta contro l’esercito nord-americano e sud-vietnamita durante la lotta all’aggressione statunitense al Paese.

Il Vietnam era stato il primo paese del 2003 a “sconfiggere” la Sars, grazie ad un mix di prontezza nell’affrontare la prima pandemia di questo secolo, la stretta collaborazione con l’Organizzazione Mondiale della Sanità e una predisposizione organizzativo-sanitaria “a tappeto”, per affrontare la diffusione della malattia una volta compresa la sua pericolosità.

L’impatto dell’epidemia, grazie alle misure intraprese, fu anche allora estremamente limitato con 63 contagiati e 5 – solo 5 – morti.

Proprio un nostro connazionale: Carlo Urbani, più ricordato all’estero che in patria, medico dell’OMS, fu uno degli autori e purtroppo vittima di quella nuova malattia, come ricorda in una recente intervista un altro operatore francese al tempo in Vietnam per l’Oms, Pascale Brudon, anche lui trovatosi in prima fila per gestire quell’emergenza.

Il Paese asiatico non si è caratterizzato solo per una performance positiva nell’affrontare la pandemia, ma sta materialmente aiutando con proprie forniture sia i paesi vicini della ex-Indocina (Laos e Cambogia), sia 5 Paesi europei, tra cui l’Italia, e perfino gli Stati Uniti.

Come riporta, il 12 aprile, la versione inglese del network latino-americano “Telesur”, il Vietnam sta inviando negli Stati Uniti 450 mila indumenti protettivi prodotti nel Paese dall’americana Dupont.

Ma come ha fatto uno dei Paesi confinanti con la Cina, con cui intrattiene stretti e talvolta complicati rapporti, a marcare un successo così significativo? Considerando anche le relativamente scarse “ricchezze” materiali del Paese, maggiore esportatore di riso a livello mondiale, connesso alle filiere produttive del tessile e della micro-elettronica.

I due elementi base sono la leadership socialista e la capacità di mobilitazione dei corpi statali (come l’esercito) e dei suoi corpi sociali intermedi a livello capillare.

Un ex ambasciatore francese ad Hanoi, quindi funzionario di uno Stato che fu una potenza coloniale “cacciata” dalla resistenza vietnamita nel dopoguerra, ci dà una interessante chiave di lettura.

L’ex diplomatico ha contratto lui stesso il virus in loco ed ha spiegato al quotidiano “Le Monde” la visione del mondo che forgia il popolo vietnamita: «un gruppo saldo, disciplinato, e possibilmente ben diretto ha la meglio rispetto ad una massa di individui autonomi».

La rapidità e la risolutezza nella risposta, la tutela della salute dei propri cittadini e l’aiuto materiale rispetto alle conseguenze del fermo economico e alle misure restrittive, oltre alle cure mediche gratuite e alla distribuzione di cibo a chi era messo in quarantena, sono state alcune caratteristiche più rilevanti.

Le parole dell’attuale rappresentante dell’Organizzazione Mondiale della Sanità Kidong Park ci danno la cifra della reattività di chi governa il Paese: «la prima valutazione del rischio è stata fatta ad inizio di gennaio, poco dopo l’annuncio della Cina dell’apparizione dei primi casi di contagio».

A fine gennaio il primo ministro era stato assertivo nel comunicare ai propri concittadini a cosa andavano di fronte e come doveva essere affrontato: «combattere l’epidemia è combattere il nemico».

Ed ancora più chiaramente: «dobbiamo mobilitare tutta la società al meglio delle nostre possibilità per combattere il contagio insieme, è importante scoprire i casi e isolarli presto».

E così è stato fatto, mobilitando l’esercito, il personale medico-infermieristico (anche chi era in pensione) e gli studenti di medicina, la gioventù comunista, la ricerca scientifica – che ha “sfornato” un kit di test del costo di produzione di 15$ (ma gratuito per i cittadini), che dà risultati in un’ora, poi esportato in tutto il mondo -, fino all’ultima unità della “vita collettiva” vietnamita.

Il terminale di questa è il “To dan pho”, cioè un pensionato ex membro del PCV o del settore pubblico – designato da 200 persone della stessa unità abitativa/territoriale – che funge da “mediatore-propulsore” tra le istanze “più alte” e “più basse” della società.

Le scuole nelle due città principalim Hanoi e Ho Chi Min City, sono state chiuse, come in altre province, non riaprendo dopo le festività. I voli da e per la Cina sono stati cancellati già dal 1 febbraio, sono stati messi in quarantena per 21 giorni 5 mila lavoratori migranti, provenienti da Wuhan, in un villaggio di 10 mila abitanti, a nord di Hanoi.

Il 13 febbraio il Vietnam è stato il secondo Paese, dopo la Cina, ad isolare una vasta area residenziale.

La seconda ondata è stata affrontata mettendo “in quarantena” tutte le persone di ritorno dall’estero.

Viste le iniziali limitate risorse non si sono fatti “test di massa”, ma si è proceduto all’isolamento dei contagiati e ad una meticolosa tracciatura delle persone che sono state in contatto con loro, oppure ritornate da aree pandemiche. Come ha dichiarato un esponente di punta del Vietnam’s Emergency Operation Centre, Tran Dac Phu: «il test di massa sono buoni, ma dipende dalle risorse di ogni Paese».

Al 20 marzo erano stati effettuati in Vietnam 15.637 test contro i 338.000 effettuati in Corea del sud come riporta il “Financial Times”.

Il divieto di assembramenti e varie altre misure di distanziamento sociale sono state scrupolosamente rispettate.

Quando in un quartiere appariva un contagio veniva messo due settimane in quarantena e venivano sanificate le strade.

Un aspetto molto importante è stata la comunicazione, avvenuta anche attraverso l’uso virtuoso della comunicazione digitale, tenendo conto che il 90% della popolazione possiede uno smartphone.

Il governo usa una app e altri canali per mettere le persone a conoscenza dei nuovi casi e delle aree di trasmissione potenziale, per aiutare le persone bisognose a fare i test e provvedere con informazioni scientifiche accurate e aggiornate sulle pratiche migliori per ridurre il rischio.

Sullo stesso sentiero tracciato da Ho Chi Min e Giap, questo Paese sta conducendo una guerra vittoriosa contro un nuovo nemico che ha sta mettendo in ginocchio tutte le ex potenze colonialiste che hanno cercato di schiacciarlo: Francia, Giappone e Stati Uniti.

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