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“Guillem”: i Països Catalans contro il fascismo

Fondatrice dell’organizzazione giovanile dell’esquerra independentista Maulets, militante del Partit Socialista d’Alliberament Nacional, quattro anni di carcere per la propria militanza politica che tra fine degli anni ’80 e l’inizio dei ’90 ne fecero un simbolo generazionale, Núria Cadenes ha appena dato alle stampe un’opera tra il racconto giornalistico e la letteratura che mette a nudo meglio di qualsiasi saggio storico la gran menzogna della transizione spagnola, la narrazione secondo la quale il passaggio dal franchismo alla democrazia sarebbe stato esemplare.

E lo fa raccontando la tragica vicenda di Guillem Agulló, assassinato nel 1993 da un manipolo di fascisti rimasti praticamente inpuniti. “Guillem” è inafatti prima di tutto un contributo alla memoria antifascista e alla coscienza politica di un popolo sulla via dell’emancipazione nazionale.

Giovane SHARP (SkinHeads Against Racials Prejudices) che milita nei Maulets, Guillem è un nuotatore, ha 18 anni e non si tira mai indietro se c’è da proteggere un compagno minacciato dai fascisti. Si sta ancora formando politicamente, ma ha già ben chiaro da che parte stare; così che a Valencia e nei dintorni è già molto conosciuto nel movimento.

Mentre viaggia in autobus con degli amici per raggiungere Montanejos e trascorrervi le vacanze di pasqua, viene riconosciuto da un fascista che lo addita ai camerati. La sera stessa viene aggredito dal gruppuscolo dentro un bar del paese, portato fuori e trascinato in un vicolo dove, nonostante la sua autodifesa, viene sopraffatto dal gruppo e ucciso, dopo una lunga colluttazione, con una sola e micidiale pugnalata al cuore. Un dettaglio che secondo Núria Cadenes sarebbe già sufficiente per certificare la volontà consapevole di uccidere, ma che non è tenuto nella dovuta considerazione dal tribunale.

Gli assassini se ne vanno alternando il saluto romano all’inno fascista Cara al sol e passano tranquilli la notte, mentre nelle stesse ore la polizia si dedica a interrogare in caserma gli amici di Guillem, da subito etichettato come lo “SHARP violento” che si sarebbe reso protagonista di una rissa per futili motivi.

È il mantra ripetuto dai giornali locali, che per riferirsi al manipolo dei fascisti parlano di un gruppo di amici, di giovani senza alcuna connotazione politica: un’operazione che fin dal principio è volta a fare di Guillem l’attaccabrighe, l’antifascista violento, il separatista avvezzo a mettersi nei guai, in definitiva il colpevole.

Una lettura assai interessata della realtà, che non stupisce in giornali locali come Las Provincias, che arriva in quegli anni a additare con nome, cognome e recapito i giovani protagonisti delle prime occupazioni degli anni ’90 a Valencia o i militanti antifascisti, come nel caso di Davide Ribalta, segnalato dal quotidiano come una sorta di pericolo pubblico, amico di Guillem, anche lui assassinato in circostanze non chiarite dopo essere stato minacciato di morte dai fascisti di Azione Radicale.

Nelle pagine di “Guillem”, sono proprio i protagonisti delle le istituzioni e della società civile, appena sorte dalla transizione (dall’ispettore della Guardia Civil al giudice, dal giornalista all’avvocato), a mettere in mostra senza alcuna vergogna una cultura politica e un habitus personale assolutamente fedeli al passato, così come risulta dai documenti dell’epoca che Nuria Cadenes raccoglie nel libro (verbali d’interrogatorio, articoli di giornale, dichiarazioni processuali…). Un materiale documentario fondamentale per ricostruire la vicenda.

Che non rappresenta un episodio isolato e si inquadra invece in un preciso contesto storico, quello aperto dalla cosiddetta “battaglia di Valencia”, un’etichetta con la quale si suole indicare il periodo tra la metà degli anni’70 e l’inizio degli ’80 in cui le bande fasciste, con la benedizione dei poteri forti e dei partiti spagnolisti, si dedicano al lavoro sporco contro l’esquerra independentista e il catalanismo del País Valencià, “per evitare che i valenziani guardassero al Nord“, come dice Cadenes, per scongiurare cioè la realizzazione del progetto politico dei Països Catalans, un paese repubblicano che si estende dal País Valencià fino a Perpignan.

Una battaglia, i cui strascichi si protraggono nei decenni successivi, fatta soprattutto di bombe e aggressioni fasciste: dai due attentati esplosivi contro la libreria Tres i quatre (centro di attività clandestina durante il franchismo e di diffusione della cultura catalana negli anni seguenti) alla bomba alla casa di Joan Fuster, lo scrittore catalano probabilmente più importante per la diffusione del termine Països Catalans, dall’omicidio per mano di un fascista di Miquel Grau alle decine di aggressioni davanti alle quali la polizia e la magistratura mostrano un evidente lassismo, se non una vera e propria complicità nella protezione dei gruppi dell’estrema destra.

Episodi che si ripetono ben oltre gli anni ’90 e si chiudono abitualmente con l’impunità dei fascisti. Così anche nel caso di Pedro Cuevas, l’autore confesso della pugnalata mortale a Guillem, che sconta solo 4 dei 14 anni di condanna, mentre gli altri protagonisti dell’aggressione vengono assolti. Per tutti quanti il tribunale esclude l’appartenenza a qualsiasi gruppo neofascista.

Pedro Cuevas è così sicuro dell’impunità che appena uscito dal carcere riprende la frequentazione degli ambienti dell’estrema destra, per i quali inizia a vendere pugni di ferro marcati con la sigla panzer. E nel 2005 finisce un’altra volta al centro della cronaca giudiziaria: indagato come appartenente a un gruppo autonominato “Fronte Antisistema”, responsabile di varie aggressioni, gli vengono sequestrati una scacciacani, una daga, due coltelli a farfalla, un coltello a serramanico, un mirino di precisione, un pugno di ferro, un machete, una mazza, una grossa ascia con doppia lama, una sfera con le punte di ferro, un busto di Hitler, sei quadri con simbologia nazista, inni paramilitari e materiale sul terzo reich.

Ad un altro membro del gruppo neonazi, un militare dell’esercito spagnolo, vengono sequestrate una pistola, due fucili, due carabine, due caricatori, due visori, un coltello, tre mirini di precisione, un giubbotto antiproiettile, tre baionette, tre spade (una delle quali in dotazione all’esercito), 400 proiettili, una daga delle SS, varie croci uncinate e medaglie naziste.

L’intero arsenale, custodito in una caserma della Guardia Civil di Valencia, viene distrutto “per errore” alla vigilia del processo e non può essere esibito come prova. Gli indagati, tutti assolti, arrivano a chiedere una indennizzazione di 16.531 euro per il materiale sequestratogli e sparito nel nulla: un epilogo surreale, che riassume alla perfezione la speciale immunità che le istituzioni suppostamente “democratiche” riservano ai neofascisti al País Valencià. Una tolleranza che permette a Pedro Cuevas perfino di partecipare come capolista del partito di setrema destra Alianza Nacional alle elezioni municipali del 2007.

Per tutto ciò è necessario ricordare Guillem, per disinnescare un meccanismo di riscrittura della storia  e di distorsione della realtà che ancora si avvale di molti zelanti “servitori dello  Stato”. E per non lasciare spazio al fascismo (si tratti della versione nostalgica così come di quella aggiornata alla Vox) e sbarrargli il passo nelle piazze come nelle istituzioni.

“11 aprile 1993” si doveva intitolare il libro di Núria Cadenes, per ricordare il giorno dell’omicidio, ma alla madre di Guillem non è sembrato corretto: “quella data l’hanno decisa loro, meglio intitolarlo Guillem“. Nel pensiero della madre, che con la famiglia non ha mai smesso di lottare per la memoria del figlio, c’è la dignità di chi rivendica nessuna concessione, nessuno spazio, per i fascisti. Che, a giudicare dall’anonimato dietro il quale si è trincerata l’artista autrice del graffito di copertina di “Guillem”, rappresentano ancora una minaccia.

Oggi ricordare Guillem Agulló vuol dire prima di tutto non dimenticare l’impunità dei gruppi di estrema destra, liberi di compiere le loro scorribande nel regime sorto dalla transizione. Ma non solo. Vuol dire anche costruire dei legami politico-culturali tra i lavoratori, le classi popolari e i popoli dell’europa meridionale (senza dimenticare la sponda africana) all’insegna della solidarietà e dell’antifascismo, che rendano finalmente possibile la nascita di un’opposizione di classe e internazionalista in grado di rompere la gabbia dell’Unione Europea.

Anche perciò dobbiamo ringraziare Núria Cadenes.

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