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Affinché la democrazia ritorni in Bolivia, contro la violenza. Oggi le elezioni

In occasione delle elezioni in Bolivia, a seguito del golpe dello scorso anno, pubblichiamo una serie di contributi utili (REDH, L. Vasapollo, V. Zapata, R. Elizarde, F.Bacchetta) per avere un quadro politico del contesto di questa drammatica scadenza elettorale e delle sue possibili conseguenze per il ritorno della democrazia in Bolivia e nell’insieme dell’America Latina.

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Il documento della Rete di intellettuali, artisti e movimenti sociali

Le elezioni generali del 18 ottobre in Bolivia stanno attraversando un momento estremamente difficile e delicato. Le sistematiche minacce e le dichiarazioni di odio dei funzionari del governo de facto di Jeanine Áñez ci costringono ad essere vigili”. Lo afferma una nota della “Rete di intellettuali, artisti e movimenti sociali” (REDH).

Non c’è giorno – si legge – in cui i portavoce del governo non invochino, apertamente e velatamente, l’uso della violenza poliziesca e di quella paramilitare contro i movimenti sociali, la leadership e la militanza del Movimento verso il socialismo (MAS) e dei suoi candidati presidenziali e vicepresidenziali, Luis Arce e David Choquehuanca.

Oggigiorno sono pochi i Paesi della regione in cui l’avvicinarsi al momento elettorale sia segnato, come in Bolivia, dalla minaccia dell’uso della forza e da una pressione per nulla dissimulata sulla Procura della Repubblica per far arrestare i leader sindacali e politici. Anche in Paesi con conflitti armati interni di lunga data, in momenti come questi sono state dichiarate delle tregue.

Non è il caso della Bolivia, dove il Ministro del Governo [attualmente è Arturo Murillo, ndr], vero detentore del potere, dopo l’incontro col Dipartimento di Stato e con il segretario generale dell’OSA, si è dedicato ad intimidire e minacciare i movimenti sociali e in particolare il MAS, rivelando di essere andato a comprare armi dagli Stati Uniti per “difendere la democrazia a qualsiasi costo” o affermando che il governo sarà consegnato a chi vincerà le elezioni generali, “tranne il MAS”, operando dunque una proscrizione selvaggia e preannunciando un nuovo colpo di stato in vista della vittoria del MAS alle urne.

Preoccupano anche alcuni resoconti di giornali e agenzie note per la loro serietà, che svelano piani per scatenare violenza prima, durante e dopo le elezioni, la cui paternità verrebbe in seguito attribuita al MAS al solo scopo di annullare le elezioni e scatenare un’incessante persecuzione della maggioranza popolare.

Il ritorno della democrazia è seriamente minacciato e siamo in grado di garantire che qualsiasi grave atto commesso dalla polizia, dalle forze militari o paramilitari sarà di competenza del governo de facto, dell’OSA e dell’UE, e dei media egemonici che manipolano e nascondono i grandi abusi che vengono commessi.

Da parte della Rete di intellettuali, artisti e movimenti sociali in difesa dell’umanità (REDH) chiediamo alle forze democratiche del mondo e in particolare dell’America Latina e dei Caraibi di seguire quotidianamente gli eventi in Bolivia, denunciare le intenzioni dittatoriali del governo de facto e chiedere che nulla interrompa il ritorno della Bolivia alla democrazia, che è l’aspirazione della stragrande maggioranza dei boliviani”.

* da Il Faro di Roma

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Intervista a Luciano Vasapollo

 

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Bolivia. Alla vigilia delle elezioni si riproduce lo scenario di violenza del golpe nel 2019

Verónica Zapata

Il 13 agosto, l’Assemblea legislativa, la presidentessa de facto Jeanine Áñez e il Tribunale Supremo Elettorale (TSE) avevano di comune accordo approvato la legge sulle elezioni “definitive, non rinviabili e inamovibili”. A condizione che fossero levati i 150 posti di bloccaggio nel Paese, i più massicci degli ultimi 35 anni, che hanno segnato il momento di maggiore debolezza del governo de facto. Il Pacto de Unidad e la Central Obrera Boliviana (COB) avevano accusato l’Assemblea di “tradimento” per aver deliberato “alle spalle del popolo”, pur adeguandosi alla decisione e levando i blocchi stradali. Il giorno seguente, Wilson Cáceres, leader di Interculturales, è stato arrestato, dando inizio così ad una nuova offensiva contro le elezioni per distruggere l’organizzazione del movimento indigeno.

L’attacco mediatico ha creato un clima identico a quello del 2019, per cui “se il MAS vincerà le elezioni, sarà per frode”. Come può il MAS commettere una frode? Salvador Romero, presidente del TSE, è stato nominato da Áñez ed è amico personale di Carlos Mesa della Comunidad Ciudadana (CC). Questo risulta dai dossier rivelati da WikiLeaks, i quali evidenziano il suo legame con il Dipartimento di Stato americano e l’Agenzia degli Stati Uniti per lo sviluppo internazionale (USAID), già in servizio in Honduras per legittimare la frode post-golpe contro Manuel Zelaya nel 2009.

D’altra parte, il Movimiento al Socialismo (MAS) non controlla l’apparato statale, né il potere giuridico che persegue i suoi dirigenti attraverso il cosiddetto “lawfare”. Inoltre, il TSE ha annunciato che la custodia e il trasferimento delle schede e dei registri elettorali saranno nelle mani della polizia e dei militari che hanno effettuato il colpo di Stato. Essi trasferiranno il materiale dal TSE alle circoscrizioni elettorali e le urne ai centri di calcolo, compito che era dei funzionari elettorali.

I sondaggi servono a manipolare il voto e a posizionare l’idea che si passerà ad un secondo turno perché al MAS mancano i voti. Per vincere al primo turno, si deve raccogliere il 50% dei voti più uno o si deve ottenere un minimo del 40% con una differenza superiore al 10% con il secondo candidato.

Il funzionamento di sondaggisti come quelli del CIESMORI è esemplare: presentando Luis Arce del MAS con il 42,2% e Carlos Mesa della Comunidad Ciudadana con il 33,1%, a Luis Arce mancherebbe solo lo 0,9% per la vittoria al primo turno dopo il ritiro della candidatura di Áñez. Tuttavia, José Luis Gálvez, direttore del CIESMORI, è stato sorpreso in un incontro con la direzione del fronte Juntos di Áñez, che aveva suggellato un’alleanza con Carlos Mesa. La società autorizzata a presentare i sondaggi per il TSE ha un contratto di non concorrenza con l’impresa Yacimientos Petrolíferos Fiscales Bolivianos (YPFB) per un milione di dollari, quindi in cambio restituisce favori gonfiando la cifra di Carlos Mesa.

Cosa ha detto il CIESMORI sul MAS nelle elezioni 2009, 2014 e 2019? Che il MAS nel 2019 avrebbe ottenuto il 36% dei voti e ha ottenuto il 47%, nel 2014 ha detto che avrebbe ottenuto il 56% e ha ottenuto il 63%, nel 2009 ha detto che avrebbe ottenuto il 54% e ha ottenuto il 64%. In media, hanno tolto 10 punti al MAS in ogni previsione.

Le vere percentuali di sostegno al MAS si ottengono considerando ciò che non viene mai preso in considerazione: il “voto rurale” del MAS, che viene sottovalutato e proviene dai luoghi più remoti; il “voto dall’estero” massiccio a favore del MAS; il “voto nascosto” che rappresenta coloro che non rivelano la loro preferenza politica in questa dittatura e che sarà per lo più del MAS; la percentuale di indecisi, che Luis Arce è riuscito a capitalizzare. A sua volta, il MAS vince in 6 dei 9 dipartimenti, quindi la vittoria potrebbe essere superiore al 45%.

Cosa dice il vero sondaggio, quello fatto nelle strade? La Bolivia si tinge di blu, il colore che rappresenta il MAS. Ogni giorno ci sono massicce mobilitazioni nei nove dipartimenti del Paese, mentre i leader del colpo di Stato raccolgono poco attivismo.

I leader del golpe sanno della loro sconfitta alle urne e per questo: hanno fatto appello al voto utile “tutti contro il MAS” come nel 2019; la Áñez ha rinunciato alla corsa elettorale; Acción Demócrata Nacionalista (ADN) si è ritirata con lo 0,8% dei voti, avvertendo che è in corso una “frode” da parte del MAS e invitando i candidati a ritirarsi; Tuto Quiroga di Libre21 con il 2,8% dei voti si è fatto da parte. Camacho con il 16,7% dei voti è sotto pressione, con proposte economiche incluse, perché questa sarebbe la carta che potrebbe cambiare il panorama politico del Paese.

La violenza come strategia per sospendere o annullare le elezioni

Numerosi atti di violenza contro il MAS sono stati registrati durante la campagna elettorale da parte degli attivisti del golpe. Le forze dello “shock” protette e finanziate dal governo de facto sono i gruppi paramilitari della Resistencia Juvenil Cochala, della Resistencia KM Cero e della Unión Juvenil Cruceñista convocati dalle piattaforme, dai comitati civici e dai leader del colpo di Stato, come la senatrice Carmen Eva Gonzales, che hanno confermato sui social l’obiettivo di ottenere la sospensione delle elezioni. D’altra parte, i sotto-ufficiali hanno denunciato la consegna di armamenti e l’“ordine di uccidere” dato ai gruppi paramilitari, alla polizia e alle forze armate.

Gli obiettivi degli attacchi sono i militanti, i candidati, i leader del MAS, le loro case di campagna e i loro caravan. E anche istituzioni statali come la Corte di giustizia di La Paz, che si è occupata dell’annullamento dello status giuridico del MAS, attualmente in sospeso; il La Procura Generale, affinché il procuratore generale di Sucre, Juan Lanchipa, si ritirasse per non aver perseguito i militanti del MAS per “frode” e per i blocchi; la casa di Saúl Paniagua, presidente del Tribunale Elettorale Dipartimentale (TED) di Santa Cruz perché l’indagine sul “caso di frode elettorale” è stata respinta; l’Ufficio del Mediatore; il TSE che è stato oggetto di pressione con l’intento di sospendere le elezioni. Va notato che il 17 agosto alcuni capi dei tribunali dipartimentali hanno minacciato di dimettersi per ostacolare le elezioni.

La militarizzazione del Paese è un dato di fatto con l’annunciato “coprifuoco” per sei giorni. La strategia è quella di generalizzare la violenza per sospendere il processo elettorale e rinviarlo al 2021 con il pretesto che “non ci le sono garanzie per realizzarlo”. E, in caso di questo abbia comunque luogo, di annullare le elezioni se il MAS dovesse vincere al primo turno. In questo contesto, Carlos Mesa ha anticipato che si rivolgerà nuovamente ai suoi attivisti, come ha fatto nel 2019, quando sono stati dati alle fiamme i tribunali dipartimentali, l’innesco che ha scatenato la violenza. “È inaccettabile che il MAS affermi che se non vince al primo turno è per frode”, ha detto.

I golpisti non sono disposti a cedere il potere, sanno che il business del litio da milioni di dollari è in gioco per Trump, per desistere dal tornare nella repubblica coloniale dell’apartheid e della quasi-schiavitù indigena e per affrontare cause legali per aver sovvertito l’ordine democratico, commesso massacri, atti di corruzione, ecc.

La frode

Il piano è quello di commettere una “frode” in stile honduregno per andare al secondo turno. Il TSE implementerà il meccanismo di diffusione dei risultati preliminari (DIREPRE), un nuovo sistema veloce di conteggio dei voti, che non invierà le fotografie delle diverse schede elettorali che sono il risultato del conteggio dei voti nelle diverse tabelle. Ciò impedisce ai cittadini, ai delegati e alla stampa di poter confrontare la fotografia scattata con il cellulare con la scheda elettorale della tabella di conteggio (che contiene il risultato finale) e di corroborare se coincide con quella caricata nel sistema di database visibile nella pagina del TSE.

In questa direzione si colloca la nomina strategica del ministro dell’Economia croato Branco Marincovich e il viaggio di Murillo negli Stati Uniti per incontrare i funzionari del Dipartimento di Stato e Luis Almagro, segretario dell’Organizzazione degli Stati Americani (OSA), scandalosamente rieletto qualche settimana fa. Almagro ha detto che Murillo gli ha comunicato la sua preoccupazione per una nuova “frode” alle elezioni da parte del MAS e ha ratificato il suo impegno a “rafforzare la missione elettorale dell’OSA.” in Bolivia.

In questo contesto si rivela che nel 2019 sono stati spesi 850.000 dollari per l’acquisto di armi e quest’anno, secondo l’Instituto Nacional de Estadística (INE), sono stati spesi 15 milioni di dollari. “Servono per difendere la democrazia”, ha detto il ministro del governo Murillo. D’altra parte, il 14 settembre sono state anticipate le promozioni post-elettorali degli agenti di polizia, continuando le promozioni illegali, come quelle concesse ai militari.

Il deputato del MAS, Edgar Montaño, ha denunciato che il gabinetto dei ministri del colpo di Stato ha registrato illegalmente armi da fuoco su larga scala e la “perdita” di armi da guerra presso la scuola militare navale Eduardo Abaroa. Inoltre, la federazione dei lavoratori degli aeroporti e della navigazione aerea ha denunciato l’intenzione di militarizzare l’aviazione nazionale.

Scenari possibili

Secondo turno: il MAS raggiunge la prima posizione elettorale, ma non ottiene più di 10 punti contro la seconda forza, a causa di una “truffa” in stile honduregno che può provocare una reazione popolare. In un secondo turno, è difficile per il MAS riuscire a vincere, ma c’è una possibilità perché sta crescendo rapidamente.

Nuovo colpo di stato: il MAS vince al primo turno perché non riescono a coprire l’entità dei voti ricevuti nonostante la loro manipolazione. I leader del colpo di Stato denunciano durante il conteggio o successivamente “irregolarità” e “brogli”, rielaborando lo scenario di violenza del 2019 per non riconoscere la vittoria del MAS e/o le elezioni vengono annullate. Áñez potrebbe dimettersi e potrebbe instaurarsi un governo militare ad interim.

Le elezioni vengono sospese e rinviate al 2021: a causa della generalizzazione della violenza, la situazione attuale si aggrava e/o si creano “falsi positivi” attraverso attacchi in punti strategici di cui il MAS verrà incolpato.

da Pressenza

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Il soldatino boliviano con un fucile nordamericano

di Rosa Miriam Elizalde*

L’impresentabile “presidentessa” della Bolivia ha celebrato la morte di Ernesto Che Guevara, rendendo omaggio l’8 ottobre a coloro che il 9 di quel mese del 1967 lo assassinarono per decisione della Central Intelligence Agency degli Stati Uniti.

L’intervento della CIA in Bolivia è un dato di fatto, e lo è anche il monitoraggio attento che Lyndon Johnson riservò ai guerriglieri. Il presidente degli Stati Uniti ricevette regolarmente informazioni sulle tracce del Che, da quando nel 1965 non fu più visto pubblicamente a Cuba. Uno dei 29 documenti declassificati recanti la data 22 aprile 1967, pubblicato la settimana scorsa dall’Archivio della Sicurezza Nazionale dell’Università George Washington, riporta che il dittatore boliviano René Barrientos informò il generale americano William Tope sulla situazione della guerriglia nel Paese.

Barrientos chiese a Washington armi moderne e Tope espresse le sue riserve sull’invio di qualsiasi arsenale, perché “sarebbe inutile se i soldati boliviani non ricevessero istruzioni per la contro-insurrezione”. Gli ultimi quattro mesi di vita della guerriglia, furono impiegati da Ernesto Guevara e dalle sue truppe nel tentativo di sfuggire all’esercito addestrato dai Berretti Verdi statunitensi, e consigliato da tre feroci anticomunisti di nazionalità cubana che lavoravano per la CIA. Uno di loro, Félix Rodriguez, “è stato fondamentale per concentrare gli sforzi del 2° Battaglione Ranger nella regione di Vallegrande, dove stavano operando i ribelli di Guevara”, secondo un altro documento della CIA.

La regista e storica cubana Rebeca Chávez ottenne le riprese delle sessioni di addestramento dei Berretti Verdi e fu la prima a Cuba a intervistare Leonardo Tamayo (Urbano), Harry Villegas (Pombo) e Dariel Alarcón (Benigno), sopravvissuti della guerriglia, quando nessuno li conosceva. “Credevano che la morte del capo della guerriglia fosse qualcosa che era nei piani, ma hanno ammesso che in Bolivia la situazione precipitò rapidamente, fondamentalmente a causa dell’intervento degli Stati Uniti”, dice Rebeca.

La storia è ciclica e così sembra che i fantasmi del passato vengano a dirci che gli uomini non fanno la storia con la sola volontà. Il colpo di Stato contro Evo Morales è stato un viaggio d’andata verso il peggio del passato, verso i tempi della dottrina della “sicurezza nazionale emisferica” e verso il ritorno di altri processi simili nella storia della regione: il colpo di Stato contro Salvador Allende in Cile e contro Chávez in Venezuela; la riproposizione della prima fase con una grande campagna nazionale e internazionale di discredito attraverso i media; una seconda fase di agitazione della classe media per favorire l’intervento dei militari e della polizia. E, infine, un vergognoso remake dell’omicidio del guerrigliero argentino-cubano con un omaggio ai suoi carnefici.

Il mito di Che Guevara, i significati insondabili del sorriso del suo cadavere su un tavolo della lavanderia di Vallegrande, hanno cominciato a girare per il mondo quel primo giorno in cui l’esercito boliviano ha celebrato la morte del guerrigliero con l’approvazione silenziosa di Washington.

Il colonizzatore non ha bisogno di essere un fanatico per difendere i propri interessi. Il colonizzato invece sì, per dimostrare il suo servilismo. Ma né gli uni né gli altri potevano prevedere nel 1967 che in quello stesso momento fosse iniziata un’altra guerriglia, non più sulle colline o nella giungla, ma nell’immaginario dei popoli. Questi hanno dato al guerrigliero nuove vite, lo hanno ricostruito, e anche se l’Ernesto Guevara che si immagina oggi non è quello degli anni ’60, allo stesso tempo continua a esserlo.

La storia è ciclica anche quando rinnova il disprezzo per i dittatori con cause scatenanti come l’infame omaggio reso “dall’apprendista gorilla” non al proprio esercito, ma ai veri assassini del Che che l’hanno catapultata dall’Olimpo della mediocrità al Palacio Quemado (palazzo del governo boliviano, ndt), perché continui a essere altrettanto mediocre, o più di quanto non lo fosse già.

Quando l’autrice di questo articolo era pioniera a Cuba e salutava nelle celebrazioni mattutine della scuola con un “Saremo come il Che”, senza sapere dove fosse la Bolivia o quale fosse il significato profondo della vita di quell’uomo, capì perfettamente la differenza tra chi diede l’ordine e chi lo uccise. La presidentessa golpista mi ha ricordato i versi della mia infanzia scritti dal poeta nazionale cubano Nicolás Guillén e cantati dal cileno Victor Jara, vittima di un’altra dittatura come quella del ciclo Barrientos-Añez:

Soldatino della Bolivia, soldatino boliviano

Vai in giro armato del tuo fucile, che è un fucile americano*

Che è un fucile americano, soldatino della Bolivia

Che è un fucile americano.

*Sono d’accordo con il mio amico Luis Toledo Sande, che fa il seguente commento sull’aggettivo “americano” utilizzato in questa poesia: “Non dimenticate che si riferisce alla lessicofagia imperialista. Per ragioni generazionali e di contesto, Nicolás Guillén non era consapevole di questo fatto, che ha profonde implicazioni politiche e culturali. Ancora oggi non è una battaglia vinta”.

* Cubadebate, prima pubblicazione su La Jornada

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Elezioni in Bolivia, la riscossa indigenista contro gli egoismi del ceto medio

di Flavio Bacchetta*

Dopo la decisione della presidente ad interim Jeanine Añez di non presentarsi per non intralciare i partiti contrari al ritorno del MAS ((Movimiento al Socialismo) dell’ex presidente Evo Morales, il confronto alle urne del 18 ottobre sarà tra “Lucho” Arce Catacora, candidato presidenziale del MAS ed artefice del boom economico boliviano – coadiuvato da David Choquehuanca, che rappresenta l’ala dura del Movimento – opposto a Carlos Mesa, il rivale più agguerrito di Morales lo scorso anno, e Luis Fernando Camacho, il candidato dell’estrema destra che si è contraddistinto nella repressione dei sostenitori di Morales dopo la sua cacciata.

Una strage che ha prodotto 36 vittime, in un clima di terrore e di propaganda tipico del regime autoritario qual’è il governo pro tempore tuttora vigente.

La Añez ha ovviamente approfittato della quarantena imposta dalle misure anti Covid – che ha causato finora 139.000 contagi e 8350 decessi, amplificati da strutture sanitarie al collasso – per posticipare le elezioni di maggio ad ottobre.

Il percorso del gambero neo-liberista

Dopo l’annullamento del risultato delle elezioni di ottobre 2019 – dove era prevalso Morales su Mesa nel primo turno con il 47% dei voti dopo un’interruzione nel conteggio – e il forzato esilio del presidente in carica prima in Messico poi in Argentina, il governo provvisorio ha sancito il ritorno a politiche economiche liberiste e di fatto la cancellazione dei principi socialisti basati sulla supremazia indigena, in una Nazione dove le etnie costituiscono il 55% della popolazione (30% Quechua 25% Aymara) affiancate dal 30% di Mestizos (meticci frutto di unioni tra indigeni ed europei) e il 15% di bianchi.

Difatti il nocciolo della questione è proprio nella crociata anti-indigenista propugnata da Añez e Camacho, i cui sostenitori, spalleggiati da polizia ed esercito, successivamente alla partenza di Morales assalirono i suoi uomini, stracciando le bandiere Wiphala che sono il vessillo degli indios, cacciando gli studenti indigeni dalle università, ed infine sparando sulla folla a Cochabamba, dove rimasero uccisi una decina di manifestanti.

Il tutto condito dalla rappresentazione per eccellenza del conflitto religioso: le Bibbie sbandierate dalla nuova presidente e Camacho, come simbolo della riscossa del Cristianesimo contro paganesimo e stregoneria.

Un classico, per la gioia della minoranza bianca, che ha visto nel cosiddetto golpe di autunno una chance di ritorno alle origini, quando erano i gruppi finanziari locali e le multinazionali straniere a comandare e muovere i fili dell’economia boliviana.

La nazionalizzazione del gas, e la nascita di un socialismo indio basato sulla fusione tra Stato e sistema cooperativo per l’estrazione degli idrocarburi e di altri tesori quali granito, travertino, sale, fosfati, argento e pietre preziose, ha tagliato fuori di fatto per oltre un decennio le vecchie élites e gli Stati Uniti, loro partner storico di riferimento, sostituiti dalla Repubblica Popolare Cinese che tuttora condivide con il governo attuale il controllo del litio a Salar de Uyuni, l’oro bianco vitale per le batterie di smartphones e computer.

La tecnologia cinese e tedesca ai fini dell’estrazione è irrinunciabile, aldilá dei connotati politici, dal momento che l’enorme disponibilità del materiale grezzo – 21 milioni di tonnellate – pone la Bolivia ai vertici della produzione planetaria, seguita da Cile e Argentina, ostacolata però da enormi difficoltà dovute alla separazione del minerale dal sale che lo contiene. Il processo di evaporazione necessario, esula dal know-how locale e necessita di intervento esterno.

https://www.bbc.com/mundo/noticias-america-latina-51666362

Lo scenario politico ed economico odierno, è il prodotto di un mix letale tra privatizzazione, esplosione della pandemia, disordine sociale e ribasso del costo delle materie prime.

I dati ufficiali riportano disoccupazione schizzata al 12%, (dal 3,9% che era con Morales) tasso di povertà in aumento del 7%, crescita economica in calo del 6%.

Ma ciò che colpisce di più i ceti bassi, è lo stop imposto ai programmi di supporto sociale. E, ciliegina sulla torta di letame, lo scandalo dei ventilatori per la respirazione assistita ai malati di Covid, acquistati da Cina e Spagna a prezzi super gonfiati.

Milioni di dollari in eccesso che sono confluiti nelle capaci tasche della nuova burocrazia governativa “ad interim”.

Il solito capro espiatorio ha pagato poi per tutti.

Non solo OAS

La miccia della dinamite che ha fatto esplodere il conflitto boliviano fino a rasentare la guerra civile, è stata accesa lo scorso anno dalla OAS, Organizzazione degli Stati Americani. Arrivati da Washington in seguito alla richiesta del governo di allora dopo i primi disordini post elettorali, i suoi delegati denunciarono irregolarità mai comprovate.

Il comportamento ambiguo dei funzionari è stato recentemente stigmatizzato proprio da membri del Congresso USA, tali Jan Schakowsky e Jesús Gracía, i quali hanno chiesto la revisione dei finanziamenti governativi, che costituiscono oltre il 60% del fondi OAS.

Lo scorso anno, appurai che in realtà superficialità e malafede erano stati i fattori scatenanti: i funzionari incaricati del monitoraggio, non avevano tenuto conto del fatto che la pausa dei conteggi quando lo spoglio delle schede aveva già superato l’80%, si era resa necessaria per consentire l’arrivo delle urne dalle zone rurali più lontane, che sono per tradizione lo zoccolo duro del MAS.

Quando lo spoglio riprese, Morales superò Mesa con il 10% di scarto, che per legge invalida il secondo turno di votazioni.

Tuttavia, sotto la pressione dei tumulti e dell’opposizione, il risultato venne annullato.

Malgrado le evidenti falle dell’organizzazione statunitense, il governo pro tempore della Añez non ha perso l’occasione di invitare di nuovo i poco affidabili funzionari OAS per supervisionare anche questa tornata elettorale, con tutti i rischi connessi.

Tuttavia l’intervento di Washington non costituì nel 2019 un fattore determinante a mio parere: il motivo principale che causò la fine della leadership socialista, va ricercato nelle faide interne al Movimento, che avevano indebolito la sua struttura e portato il ceto medio del MAS – che si era arricchito a spese degli strati sociali più esposti quali minatori e contadini – a distaccarsi dai principi basilari dei suoi fondatori, servendo su un piatto d’argento alle vecchie élites la loro rivincita.

Se vogliamo parlare di golpe, questo maturò proprio all’interno di organizzazioni quali la Central Obrera Boliviana, il sindacato indipendente dei minatori, che invece di tutelare i suoi iscritti, cominciò ad accumulare profitti sfruttando le loro fatiche bestiali e fomentando serrate che culminarono con l’assassinio del ministro degli interni Rodolfo Llanes, e l’attentato dinamitardo di Oruro, che uccise 4 persone.

I blocchi stradali del 2018 di medici e autotrasportatori che isolarono la superstrada tra Santa Cruz a Trinidad, durarono 50 giorni. Pietra dello scandalo, fu l’introduzione nel codice penale boliviano di un nuovo articolo applicabile a queste categorie, che riguardava responsabilità penale a livello di malasanità e incidenti stradali, poi cancellato in seguito alle violente proteste.

Ma soprattutto sono stati i soldi, il movente di questa controrivoluzione interna: la prova del nove, le polemiche sul salario minimo che Morales ha ritoccato dodici volte dal 2006, portandolo dai 500 BOB (dollari boliviani) ai 2000 – precedenti al suo esilio – che corrispondono a 285 USD mensili col cambio di allora.

Sebbene rimanga uno dei più bassi a livello regionale, le pressioni per limitarlo si estesero anche a norme su sicurezza e orari, che i gestori minerari volevano più elastiche, nonostante incidenti come quello dei 33 minatori intrappolati sottoterra per 70 giorni nella miniera di San José in Cile.

Senza contare il lavoro minorile, che rimane una delle piaghe più infette in Bolivia.

L’avidità borghese, zona grigia del socialismo andino, il tarlo che rode da sempre la sinistra internazionale, è ben descritto da l’articolo che allego.

Le paure del ceto medio, sono direttamente proporzionali alla mancanza di scrupoli della classe imprenditoriale, da qualunque fazione politica essa provenga.

Testi e foto © Flavio Bacchetta

Precedente pubblicazione:

 * https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/10/16/bolivia-al-voto-sul-dopo-morales-resta-ancora-lincognita/5965964/

 

 

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