C’è da aspettarsi un’offensiva ucraina su larga scala in Donbass? O meglio: quali sono i possibili tempi di un attacco ucraino che, a Lugansk e a Donetsk (ma anche a Mosca), si dà praticamente per certo? Nei giorni scorsi, sabotatori ucraini si erano mostrati così “arditi” da tentare addirittura di catturare (senza riuscirvi) in territorio russo, un cittadino russo ex combattente in Donbass.
La cosa si era risolta con una sparatoria, con agenti del FSB russo che avevano ucciso uno dei sabotatori. Più o meno nelle stesse ore, però, due miliziani della DNR erano rimasti uccisi nell’area del villaggio di Leninskoe, nel sud della Repubblica, sotto il fuoco di mortai da 120 mm della 36° Brigata di fanteria di marina ucraina, corretto da droni (presumibilmente di fabbricazione turca).
Il 12 dicembre, a dispetto del cessate il fuoco, formalmente in vigore dal 27 luglio, mortai da 82 mm e lanciagranate hanno colpito le aree di Jakovlevka, Spartak, i villaggi minerari di Trudovskaja, alla periferia occidentale di Donetsk e altri centri minerari nell’area di Gorlovka.
A parte però i singoli episodi, sembra essere lo stato generale delle cose a suggerire un evolversi pericoloso della situazione. Si moltiplicano esercitazioni ucraine in prossimità della linea di contatto; si ammassano artiglierie e mezzi pesanti fin dentro i quartieri civili dei villaggi del Donbass sotto controllo ucraino.
Ma, soprattutto, alcuni eventi hanno ridato fiato ai piani di Kiev per una soluzione di forza della questione del Donbass: soprattutto, l’annuncio della vittoria (elettorale) di Joe Biden in USA e di quella (militare) turco-azera in Karabakh.
Due giorni fa, l’ex rappresentante di Kiev alle trattative di Minsk, Roman Bessmertnyj, in diretta TV, ha dichiarato che è in preparazione un piano di conquista militare di Crimea e Donbass, invitando i “patrioti ucraini” rimasti nei “territori occupati” ad abbandonare in fretta quelle aree.
Ora, si dirà che, certi piani si attuano e non si annunciano; ma alcuni segnali, negli ultimissimi tempi, sembrano infittirsi un po’ troppo. E non si tratta solo degli urlacci del solito “führer” del Corpo nazionale, Andrej Biletskij, tornato lo scorso 10 dicembre, come aveva fatto un mese fa, a invocare l’esempio di Baku in Karabakh.
Se un’agenzia tutt’altro che “agguerrita”, quale RIA Novosti, arrivava a titolare, lo scorso 4 dicembre, che “A breve comincia” e dava conto di uno straordinario concentramento di centinaia di carri armati, blindati, sistemi reattivi, artiglierie lungo il fronte, allora c’è il pericolo che non si tratti solo di fumo.
E anche RIA ricordava come lo Stato maggiore ucraino abbia seguito con “interesse”, lo scontro caucasico, compreso il largo impiego di droni d’attacco “Bajraktar YB-2” da parte azera (turca), in dotazione anche alle forze ucraine, che ne hanno dislocato alcuni esemplari a Kramatorsk, appena un’ottantina di km da Donetsk e, in attesa della fornitura dagli USA di droni “MQ-9 Reaper”, hanno iniziato l’addestramento all’impiego, sotto la guida di istruttori turchi.
Il piano di Kiev, alla maniera azera, sarebbe quello di un attacco massiccio contemporaneamente su diversi punti del fronte, limitandosi per ora a saggiare le difese delle milizie di DNR e LNR.
Di un probabile attacco ucraino ha parlato anche, sulla rivista “Arsenale Patria” (ripresa da pravda.ru) l’esperto militare Aleksej Leonov, anch’egli sottolineando come Kiev parli sempre più spesso di “ripristino dell’integrità territoriale” sull’esempio azero in Karabakh.
È purtuttavia vero, afferma Leonov, che è improbabile, al momento, un appoggio europeo a eventuali azioni belliche di Kiev, come pure un sostegno diretto di Washington, che decide di fatto le mosse ucraine.
Ora, un aperto intervento di Ankara a fianco dell’Ucraina, come accaduto per Baku in Karabakh, sembra altamente improbabile, anche solo per la prevedibile reazione di Mosca, forse non intenzionata a ripetere l’esperienza caucasica che, definire “cauta”, è a dir poco eufemistico.
E, però, di voci in proposito non ne mancano, anche se, per ora, arrivano più da Kiev che da Ankara. D’altra parte, le passate azioni diversive di “Lupi grigi” turchi, a fianco del medžlis dei tatari di Crimea, ancorché prive di significato sul piano militare, non hanno coinvolto ufficialmente la Turchia e la faccenda potrebbe ripetersi oggi.
Di contro, c’è addirittura chi – l’esperto militare polacco Witold Repetowicz, ad esempio, citato da irax.ru – in caso di conflitto, azzarda nientepopodimeno che una divisione russo-turca dell’Ucraina, sottolineando come un eventuale appoggio turco avrebbe tutt’altri obiettivi che non quelli ucraini di ripristinare il controllo ante 2014 sui territori sudorientali.
In ogni caso, l’effetto “Karabakh” su Vladimir Zelenskij & Co. è una delle questioni più toccate negli ultimi temi. L’osservatore Sergej Iščenko ricorda su Svobodnaja pressa come i Comandi ucraini, immediatamente dopo la conclusione del conflitto in Caucaso, abbiano tenuto una due giorni di studio su “Il conflitto armeno-azerbajdžano”, con una particolare attenzione sull’accresciuto ruolo dei droni sul campo di battaglia.
Ora, nota Iščenko, con l’imperversare della crisi economica e sociale in Ucraina e la prospettiva di un lockdown completo, Zelenskij potrebbe essere davvero tentato di “uscire dalla crisi” con un attacco al Donbass, il “prima possibile e con tutte le armi, dopo essersi assicurato almeno la tacita approvazione e il sostegno segreto della NATO. Come la Turchia in Karabakh”. Un conflitto, anche in caso di sconfitta, permetterebbe a Zelenskij di assicurarsi, quantomeno, un clima di “mobilitazione” nazionale attorno al presidente; tanto più che alcuni sondaggi televisivi confermerebbero come sette anni di martellamento nazionalista e neo-nazista diano i loro effetti: moltissimi ucraini, stanchi della guerra, vorrebbero un attacco deciso al Donbass per “farla finita con il conflitto”.
Se probabilmente Kiev attende un via libera esplicito, anche se coperto, da Washington e Bruxelles, è evidente che i comandi ucraini non possono non tener conto (alcuni scatti e frenate allo Stato maggiore lo testimoniano) delle possibili mosse di Mosca; mentre, al Cremlino, sono obbligati a calcolare atteggiamenti e umori dei propri “partner” e “alleati”, non solo del Bosforo e del Caucaso, ma anche di quelli che, più in là del Caspio, hanno interessi appetibili ai confini sudorientali della Russia: umori che potrebbero costringere Mosca a un atteggiamento “morbido” verso Kiev, non già sulla questione della Crimea (quella pare fuori discussione), quanto su quella delle Repubbliche popolari.
Le prospettive non sono allettanti.
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