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“Rafale Papers”: lo scandalo di corruzione, nascosto dalla Francia

Nel settembre 2016, un contratto del valore di 7,8 miliardi di euro è stato concluso tra lo Stato francese e quello indiano per l’acquisto da parte dell’India di 36 caccia Rafale prodotti dal gruppo Dassault.

Il proficuo affare, per il produttore francese di aerei e jet militari, era stato benedetto e celebrato come un successo dall’allora Presidente della Repubblica, François Hollande, come dal suo ministro dell’economia, Emmanuel Macron, oggi capo dell’Eliseo.

L’azienda Dassault gode di una larga influenza negli apparati statali, soprattutto quelli inerenti al comparto della difesa, e “si sente intoccabile”, come hanno dichiarato fonti anonime della prima parte dell’inchiesta pubblicata da Mediapart, di cui riportiamo in calce la traduzione.

Già dal 2018 erano emerse denunce sulla conclusione stessa del contratto di compravendita dei Rafales all’India, avvenuta grazie ad espedienti di corruzione e favoritismi, tanto all’interno dello Stato francese quanto di quello indiano.

In seguito a questo contratto, Dassault ha impegnato 1 milione di euro per un intermediario, Sushen Gupta, già implicato in uno scandalo di corruzione relativo alla vendita da parte del gruppo italo-britannico Agusta-Westland di alcuni elicotteri, poi arrestato dall’agenzia indiana antiriciclaggio nel marzo 2019.

Interpellata dalla Procura Finanziaria Nazionale francese in seguito all’esame dei conti della società, circa un esorbitante quanto mai sospetto “regalo ai clienti” di oltre 500.000 euro, Dassault ha spiegato che l’altra metà del miliardo pagato sarebbe stato utilizzato per costruire modelli per il gruppo.

Una giustificazione estremamente dubbia, poiché Sushen Gupta è capo del gruppo proprietario della società Defsys, subappaltatrice di Dassault, ma per nulla specializzata nella costruzione di nuovi modelli.

Tuttavia, quando l’Agenzia Francese Anticorruzione ha terminato il suo rapporto sulla compravendita dei Rafales, nel 2020, era già ben consapevole della remunerazione da parte di Dassault dell’intermediario indiano, ma ha deciso di non portare il caso in tribunale.

Il silenzio e la mancanza di reazione sollevano numerose domande, alcune particolarmente intriganti, riguardo gli affari della società Dassault e i suoi stretti legami con le alte cariche dello Stato francese.

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Fu un grande giorno per l’industria militare francese. Quel 23 settembre 2016, a Nuova Delhi, il ministro della Difesa francese Jean-Yves Le Drian ha firmato con il suo omologo indiano, sotto gli occhi del capo della Dassault Aviation, Éric Trappier, uno dei più grandi contratti di armi mai conclusi dallo Stato francese: la vendita di trentasei caccia Rafale allo Stato indiano per 7,8 miliardi di euro, l’equivalente del PIL di un paese come il Benin.

Un grande successo per Dassault e i suoi partner industriali (Safran, Thales, MBDA), ma anche per l’allora Presidente socialista François Hollande. Tanto più che ci sono voluti quindici anni di sforzi per vincere questa battaglia, dal lancio della procedura di acquisto nel 2001.

Tuttavia, alcuni granelli di sabbia hanno quasi bloccato la macchina. Nel 2018, in seguito alle rivelazioni della stampa, tra cui quelle di Mediapart (leggi qui e qui) sono state presentate denunce che segnalano possibili corruzioni e favoritismi. Ma l’anno successivo, i procedimenti vengono chiusi senza azione da parte dei tribunali, in Francia come in India.

Ufficialmente era tutto pulito. L’affare dei Rafale indiani era solo un miraggio.

In realtà, l’affare esiste. Questo è ciò che Mediapart rivela da oggi con i “Rafale Papers”, un’inchiesta in tre parti basata su molti documenti e testimonianze inedite.

Commissioni segrete, intermediari dubbiosi, documenti confidenziali trapelati nel mezzo delle trattative, clausole anticorruzione cancellate dai contratti: gli investigatori francesi e indiani hanno scoperto molti elementi compromettenti dietro le quinte del contratto. Ma l’affare è stato insabbiato in entrambi i paesi, in nome della ragione di Stato.

Il dossier Rafale ha minacciato di infangare il potere ai più alti livelli. In India, implica una persona molto vicina al Primo Ministro ultranazionalista Narendra Modi. In Francia, l’affare minaccia potenzialmente due Presidenti della Repubblica: François Hollande e il suo successore Emmanuel Macron, che all’epoca era ministro dell’economia. Per non parlare di Jean-Yves Le Drian, un instancabile venditore di Rafale sotto Hollande, che è diventato il ministro degli esteri di Macron.

Il quadro non sarebbe completo senza il gruppo Dassault. Fornitore unico dei caccia della forza aerea, il produttore di aerei è un’azienda strategica, che non manca mai di ricordare che la produzione di Rafale implica 7.000 posti di lavoro. È anche una delle aziende più influenti in Francia, che coltiva le sue reti nel cuore del potere politico da più di settant’anni. “Dassault si sente intoccabile”, dicono diverse fonti anonime informate del caso.

In questa prima parte dei “Rafale Papers”, Mediapart è in grado di rivelare come l’Agenzia Francese Anticorruzione (AFA), posta sotto la doppia supervisione dei ministri del Bilancio e della Giustizia, ha individuato per la prima volta un pagamento sospetto da parte di Dassault.

Secondo le nostre informazioni, l’AFA ha scoperto che, subito dopo la firma del contratto di compravendita dei 36 Rafale, il produttore di aerei ha accettato di pagare 1 milione di euro a un intermediario, sotto inchiesta in India in un altro caso di vendita di armi.

Il costruttore di aerei giustifica questo pagamento con un acquisto di modelli Rafale di dubbia realtà. Ma contro ogni logica, il direttore dell’agenzia ha deciso di non riferire questi fatti alla giustizia.

Interrogati da Mediapart, il magistrato e direttore dell’AFA, Charles Duchaine, il resposabile dei controlli dell’agenzia e gli ispettori incaricati del caso hanno rifiutato di rispondere perché sono soggetti al “segreto professionale”. “Dassault Aviation non farà alcun commento”, ci ha detto un portavoce.

Creata nel 2017, l’Agenzia Francese Anticorruzione ha il compito di verificare se le grandi imprese hanno attuato le procedure anticorruzione previste dalla Legge Sapin 2. Le aziende sono controllate a turno, secondo un calendario stabilito ogni sei mesi.

Nell’ottobre 2018, la Procura Finanziaria Nazionale (PNF) ha ricevuto un rapporto dalla ONG anticorruzione Sherpa che denunciava possibili atti di “corruzione” sulla vendita di caccia Rafale in India. Per coincidenza, esattamente nello stesso periodo, toccava proprio a Dassault essere controllata dall’AFA.

Esaminando i conti dell’esercizio 2017, gli ispettori hanno notato una spesa di 508.925 euro, registrata sotto la voce “regali alla clientela”. Questo “importo sembrava sproporzionato rispetto a tutte le altre voci” nella stessa rubrica, si legge nel rapporto di controllo confidenziale preparato dall’AFA, che Mediapart ha potuto consultare.

L’importo è davvero enorme per un regalo. Anche se non c’è un limite chiaro nella legge, la giurisprudenza considera che offrire un orologio o un pasto gourmet del valore di alcune centinaia di euro può essere sufficiente per caratterizzare la corruzione.

Per giustificare questo “regalo” fuori dall’ordinario, Dassault fornisce all’AFA una “fattura pro forma” – cioè non definitiva, equivalente a una stima – datata 30 marzo 2017, emessa dalla società indiana Defsys Solutions. “Questa fattura, corrispondente al 50% dell’importo totale ordinato (1.017.850 euro), è per la fabbricazione di 50 Rafale C, con un valore unitario lordo di 20.357 euro”, continua il rapporto dell’AFA.

Quando si sono imbattuti in questo a metà ottobre 2018, gli ispettori dell’Agenzia Francese Anticorruzione hanno chiesto una spiegazione. Perché Dassault ha ordinato dei modelli dei propri aerei a una società indiana, a 20.000 euro l’uno? Perché questa spesa è registrata nella contabilità come “regalo alla clientela”? Questi modelli, ognuno dei quali deve avere le dimensioni di una piccola auto, sono stati fatti davvero?

Secondo le nostre informazioni, il gruppo Dassault non è stato in grado di fornire all’AFA il minimo documento che attesti che questi modelli esistano e siano stati consegnati. Nemmeno una semplice foto. Gli ispettori sospettano che si tratti di un acquisto fittizio, destinato a nascondere flussi finanziari nascosti.

Nella sede del costruttore di aerei a Saint-Cloud (Hauts-de-Seine), la preoccupazione sta aumentando. Secondo diverse fonti che hanno familiarità con il caso, il gruppo si è lamentato che gli ispettori erano “troppo pignoli e chiedevano troppi documenti”.

Per capire la preoccupazione di Dassault, basta seguire il denaro. La società Defsys Solutions, che ha venduto i modelli, è uno dei subappaltatori di Dassault in India sul contratto Rafale. Solo che questa PMI di 170 dipendenti non è, secondo il suo sito web, specializzata nella fabbricazione di modelli: assembla simulatori di volo e sistemi ottici ed elettronici per l’industria aeronautica, spesso su licenza di produttori stranieri.

Defsys è di proprietà alla famiglia Gupta, i cui membri hanno lavorato come intermediari nelle industrie aerospaziali e della difesa per tre generazioni. Come rivelato da gennaio 2019 dai media indiani Cobrapost e poi Economic Times, Sushen Gupta era l’agente di Dassault in India e quindi avrebbe lavorato sul contratto Rafale e ottenuto documenti riservati dal ministero della difesa.

Che coincidenza: l’intermediario ha inviato la fattura per i 1 milione di modelli sei mesi dopo il lieto esito, ovvero la firma, nel settembre 2016, del contratto da parte del ministro della difesa Jean-Yves Le Drian e il suo omologo indiano.

Nel marzo 2019, Sushen Gupta è stato arrestato da agenti dell’Enforcement Directorate, la potente agenzia indiana contro il riciclaggio di denaro.

Rilasciato su cauzione, l’intermediario è accusato di “riciclaggio di denaro” nel “Choppergate”, uno scandalo di corruzione che riguarda la vendita di elicotteri all’India da parte del gruppo italo-britannico AgustaWestland. Sushen Gupta e i suoi complici sono sospettati di aver ricevuto quasi 50 milioni di euro in tangenti dall’industriale e di averne ridistribuito una parte sotto forma di tangenti a funzionari indiani. Interrogato da Mediapart, l’intermediario non ha risposto.

L’arresto di Sushen Gupta e le rivelazioni della stampa indiana non sono sfuggite all’Agenzia Francese Anticorruzione. Nel 2020, al momento di finalizzare il suo rapporto, l’AFA aveva forti prove che incriminavano Dassault: la prova che il produttore di aerei aveva, attraverso un contratto per 1 milione di euro di modelli di dubbia realtà, pagato un intermediario indiano coinvolto in un caso di corruzione.

Tuttavia, Charles Duchaine, direttore dell’agenzia, ha deciso di non denunciare la questione alla giustizia. L’affare dei modelli è stato poi liquidato in due brevi paragrafi dall’AFA nel suo rapporto di audit di Dassault.

In un’intervista dell’ottobre 2017 alla rivista Décideurs, Charles Duchaine aveva tuttavia mostrato la sua volontà di “sanzionare i comportamenti devianti”: “L’articolo 40 del codice di procedura penale impone a qualsiasi funzionario pubblico o pubblico ufficiale di segnalare alla procura competente tutti i reati osservati nell’esercizio delle sue funzioni. Attueremo questo obbligo non appena avremo motivi per farlo”.

L’AFA si era inoltre mostrata molto più offensiva dopo un’altra ispezione effettuata alla fine del 2017 alla Sonepar, il principale distributore mondiale di materiale elettrico. Secondo le nostre informazioni, l’agenzia aveva fatto, in questo caso, un rapporto alla Procura di Parigi nell’aprile 2018, anche prima di aver finalizzato il suo rapporto. Questo aveva contribuito all’apertura di una vasta informazione giudiziaria sul presunto cartello del materiale elettrico.

La decisione di Charles Duchaine di non avvertire la magistratura è tanto più incomprensibile che quando il caso sui modelli è stato scoperto, la Procura Finanziaria Nazionale (PNF) stava lavorando anche sull’affare Rafale indiano. Ma come Mediapart mostrerà nella seconda parte della nostra inchiesta “Rafale Papers”, anche il PNF ha fatto di tutto per non vedere nulla.

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