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Ucraina: stragi e marce naziste all’ombra dell’«impegno per i diritti umani»

2 maggio 2021: settimo anniversario del massacro degli antifascisti alla Casa dei sindacati di Odessa. Quarantotto (secondo la versione ufficiale) attivisti assassinati: bruciati vivi all’interno dell’edificio, o, se erano riusciti a sfuggire alle fiamme, calandosi dalle finestre, finiti a sprangate e pistolettate da bande naziste e poliziotti nella piazza antistante.

In questi sette anni, molto si è scritto – poco o nulla nella cosiddetta “grande stampa” – della strage, sulle cui responsabilità la Kiev golpista si guarda bene da far luce. Qui basti dire che, per il 2 maggio, varie squadracce nazionaliste hanno in programma una marcia di protesta, contro la decisione della municipalità di Odessa di apporre una targa in memoria degli uccisi e che, pochi giorni prima, quella stessa Kiev golpista non ha trovato nulla di meglio che riabilitare l’ultimo banderista fucilato in Unione Sovietica, nel 1989: Ivan Gončaruk.

Lo ha annunciato la “Commissione nazionale per la riabilitazione delle vittime delle repressioni”, scrivendo che la Commissione «ha restituito il buon nome a Ivan Gončaruk», cioè a uno dei troppi collaborazionisti che, nelle file di OUN-UPA di Stepan Bandera e Roman Šukhevič, massacrarono migliaia di connazionali, comunisti, soldati dell’Esercito Rosso, polacchi della Volinia, ebrei, tsigani.

Uno dei troppi che, nel 1943, andarono a formare la 14° Divisione volontaria di fanteria SS “Galičina”, il cui 78° anniversario è stato celebrato il 28 aprile con una marcia nel centro di Kiev. Una marcia, con tanto di saluti nazisti e simboli hitleriani, cui ha preso parte appena un centinaio di persone, ma che, per la prima volta, si è svolta nella capitale, mentre sinora era stata sempre organizzata a L’vov, dalla cui regione, e in generale dalla Galizia, proveniva la maggior parte dei nazisti e nazionalisti ucraini, e da cui anche oggi proviene il grosso del neo-nazismo majdanista.

Poco di nuovo, dunque, a parte il luogo, la capitale ucraina, alla cui periferia, tra il 29 e il 30 settembre 1941, hitleriani e collaborazionisti ucraini massacrarono quasi 35 mila ebrei. Una mezza novità, per la verità, c’è stata e non si può fare a meno di supporre che essa, associata ad altri fatti verificatisi negli ultimi giorni sul fronte dell’aggressione ucraina al Donbass e delle indirette interlocuzioni Kiev-Mosca, sia dovuta a passi intrapresi (o che si stanno per intraprendere) per accreditare una improbabile impronta “democratica” della junta.

Alla vigilia dell’arrivo a Kiev di Antony Blinken e della sua vice, la famigerata Victoria-fucktheUE-Nuland, e a differenza dell’ex speaker della Rada, Andrej Parubij, «estimatore di Adolf Alojsovič», per dire, l’attuale speaker, Dmitrij Razumkov, e altre figure del establishment ucraino, si sono sentiti in dovere di condannare (almeno a parole) la marcia squadrista a Kiev. Il modo come lo hanno fatto è un’altra questione – associando, ad esempio, banderisti e reparti del NKVD – ma il fatto rimane.

“Condanne” sono venute da alcuni deputati della frazione presidenziale, dal direttore dell’Istituto per la memoria storica, Anton Drobovič e anche dal suo predecessore, Vladimir Vjatrovič, uno dei più accaniti “de-comunistizzatori”.

Nel suo caso, la faccenda è chiara: marcia nazista non gli rende un buon servigio; volendo egli riempire il panteon dei “combattenti per l’indipendenza ucraina” con gli “eroi” di OUN-UPA, è alquanto problematico convincere molti ucraini che tali personaggi abbiano combattuto per l’indipendenza, inquadrati tra le SS al servizio dei nazisti.

Dopo un paio di giorni di “attenta riflessione”, una benevola paternale è stata espressa anche dall’Ufficio presidenziale, con la europeistica equidistanza della condanna di «ogni manifestazione di propaganda dei regimi totalitari, in particolare del nazional-socialismo».

Come aveva rilevato già il 28 aprile il politologo ucraino Mikhail Pogrebinskij, per quanto poco numerosa, la marcia «si è rivelata un momento clou. Hanno vinto nel 2014, quindi si sentono tuttora i padroni della situazione. E nessun presidente ebreo è loro di ostacolo».

E anche nessun parlamento europeo, vorremmo aggiungere, di quelli che ignorano il massacro nazista di Odessa del 2 maggio 2014 e che chiudono bonariamente gli occhi sui folkloristici nazisti ucraini in višivanka e čub cosacco che salutano col Sieg Heil.

D’altra parte, una marcia in più o in meno, alla junta non basta l’aggressione al Donbass per distogliere l’attenzione dai problemi interni: lo dimostra, ad esempio, l’alto numero di diserzioni che, secondo fonti ufficiali, si sarebbero registrate tra le file dell’esercito regolare, in cui è assente ogni motivazione “ideologica”, sia pur di stampo nazionalista.

Secondo il viceministro della difesa, Ivan Rusnak, tra il 2014 e il 2019 si sono contati 9.268 disertori. Tutt’altra cifra è riportata dal Procuratore capo militare, Anatolij Matios, secondo il quale, a tutto il 2018, le diserzioni sarebbero state 33.798.

Inoltre, pare che circa 200.000 veterani dell’aggressione al Donbass abbiano problemi a trovare lavoro, così che il vice segretario del Consiglio di sicurezza, Sergej Krivonosov, non vede altra soluzione se non la creazione di compagnie militari private, con cui, da un lato, occupare quei “disoccupati” e, dall’altro, con alte paghe, dare quella “motivazione” carente nei soldati di leva.

Il fatto è che simili “compagnie private” esistono già nei fatti, anche se non riconosciute ufficialmente, e sono alle dipendenze di questo o quel clan affaristico e di quegli oligarchi che da anni le impiegano sia nei regolamenti di conti “imprenditoriali”, sia per operare direttamente in Donbass, mascherate sotto la romantica sigla di “battaglioni volontari”.

Ma, se questo è un problema relativamente circoscritto, i problemi che attanagliano la società ucraina nel suo insieme sono molto più aspri, con un PIL che dai 183 miliardi di dollari del 2013, si era dimezzato nel 2015, per risalire a meno di 150 mld nel 2020: nonostante i circa 18 miliardi di euro concessi da Paesi UE dal 2014 a oggi.

Così, secondo sondaggi ufficiali, quasi 1/3 dei 43 milioni di popolazione sarebbe intenzionato a emigrare, e strana.ua parla di 19 milioni che vivrebbero al di sotto della soglia di povertà, con le tariffe del gas, ad esempio, che dal 1 maggio sono aumentate di 2-2,5 volte: omaggio del FMI.

E la Rada dà il via libera alla privatizzazione delle terre, con la prossima possibilità di acquisto anche da parte di stranieri.

Così che, se nel 2019 Vladimir Zelenskij era stato eletto col voto del 72% dei cittadini, oggi meno del 30% si esprime per un suo secondo mandato.

Drastico, il primo Presidente dell’Ucraina “indipendente” e oggi rappresentante ucraino ai colloqui di Minsk, quel Leonid Kravčuk che, insieme a Boris Eltsin e al bielorusso Stanislav Šuškevič, nel 1991 aveva sottoscritto il banditesco “accordo della Belovežskaja puša” e che, sempre nel 1991, aveva profetizzato che «tra dieci anni l’Ucraina sarà il paese più ricco d’Europa, sarà una seconda Francia”: oggi, constata che il Paese, «per sviluppo sociale e economico, è in ritardo rispetto alla Polonia di almeno 50 anni».

Così, confrontando i due Paesi, The World Factbook della CIA racconta che il tasso di crescita della popolazione è stimato del -0,49% per l’Ucraina (227° posto mondiale) e del -0,23% (213°) per la Polonia; il tasso di natalità è rispettivamente di 9,23/1.000 (201°) e 8,69/1.000 (210°); il tasso di mortalità di 13,9/1.000 (4° posto mondiale) e 10,68 (25°); il tasso di mortalità materna è di 19/100.000 nati vivi (128°) e 2/100.000 (184°); il tasso di mortalità infantile è 7,44/1.000 vivi alla nascita (160°) e 4,22 (187°); l’aspettativa di vita alla nascita è rispettivamente di 73,18 anni (149°) e 78,53 (69°). Infine, il tasso di disoccupazione è di 8.89% per l’Ucraina e 5,43% per la Polonia.

Proseguendo nel confronto col vicino-concorrente, cui nazionalisti e banderisti sono accomunati soltanto da un eguale antisovietismo, nel passato, e da una convinta russofobia, oggi, e a cui molti ucraini guardano come destinazione di emigrazione lavorativa più o meno permanente, a livello non ufficiale si nota come «in un paese di oltre 40 milioni di abitanti, nel centro d’Europa, non ci sia un solo istituto tra le Top-1.000 università mondiali, mentre vi rientrano 7 università polacche, la prima delle quali, quella di Varsavia, è appena al 301° posto. Diciamo questo, perché nessuno si stupisca, se a oggi, in Polonia, 2,5 milioni di persone hanno ricevuto due dosi di vaccino, mentre in Ucraina appena 5 persone».

Non per nulla, un anno fa, il Direttore sanitario del Ministero della sanità ucraino lamentava la minaccia di contagio di morbillo, simile a quello del 2017-2019. In compenso, per sfuggire ai bassi stipendi, sembra che nel 2020 almeno 60mila medici abbiano lasciato il Paese, mentre l’80% degli anziani è sotto la soglia di povertà.

Nonostante tutto ciò, secondo i sondaggi, il 64% degli ucraini ritiene che in Donbass Kiev sia in guerra non contro i propri stessi concittadini, ma con la Russia e il 43% (il 77% nelle regioni occidentali) appoggia l’idea dell’ingresso nella NATO.

Non a caso, il 28 aprile, a Kiev, a manifestare contro la marcia nazista, ben scortata dalla polizia, c’era solo un pensionato e nessun parlamentare europeo, di quelli che hanno «fatto il proprio dovere nel difendere le libertà fondamentali» dei nazisti, russi o ucraini che siano, e che amabilmente si guardano dal «denunciare le violazioni dello stato di diritto» ai danni dei comunisti ucraini.

L’agognata “indipendenza” dall’URSS del 1991, la “rivoluzione della dignità” del 2014, le repressioni, gli assassinii e le stragi contro antifascisti e comunisti, in cui a lungo, sin dal 1919, si sono impegnati nazionalisti e fascisti ucraini, non sono passati invano…

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