Dopo i colloqui a Mosca dello scorso 8 luglio, una rappresentanza talebana ad alto livello si è incontrata a Pechino col Ministro degli esteri cinese Wang Yi sul tema dei rapporti afghano-cinesi, dopo il repentino ritiro USA dall’Afghanistan.
Come già avvenuto a Mosca, i talebani avrebbero assicurato a Pechino che in nessun modo l’Afghanistan servirà da base per raggruppamenti terroristici quali Isis, Al Qaeda, o il partito islamico “Turkestan”.
Pechino ha dichiarato di non voler in alcun modo immischiarsi nelle questioni afghane e di voler prestare l’aiuto necessario a stabilizzare la situazione del paese, la qual cosa è nell’interesse della stessa Cina, nonostante il confine territoriale tra i due paesi sia inferiore ai 100 km.
A varie riprese, prima d’ora, i talebani hanno dichiarato di guardare alla Cina quale futuro partner commerciale e propongono a Pechino di investire nel ripristino delle infrastrutture sociali e viarie.
In generale, scrive colonelcassad.livejournal, anche i colloqui di Pechino – dopo gli incontri con Mike Pompeo a Doha nel 2020, col Ministro degli esteri russo Sergej Lavrov e la dichiarazione congiunta con il Ministero degli esteri iraniano – sottolineano la volontà dei talebani di fornire una nuova immagine che assicuri il riconoscimento internazionale e l’esclusione dal numero dei raggruppamenti terroristici. Almeno per il momento.
A ogni buon conto, alla riunione del Ministri della difesa dei paesi della Organizzazione per la cooperazione di Shanghai, a Dušanbe, il russo Sergej Šojgù ha messo in guardia dai tentativi USA, dopo l’uscita dall’Afghanistan, di posizionarsi nell’area turkmena e in generale centroasiatica, il che può portare a una nuova spirale di tensione nella regione.
Oltretutto, ha detto il Ministro della difesa russo, «gli americani si preoccupano più della possibilità di realizzare nuove rotte di transito e strutture logistiche negli stati dell’Asia centrale e del dispiegamento delle loro basi militari», che non della situazione in Afghanistan e in Asia centrale.
Mosca, ha detto Šojgù, non si attende nulla di positivo dalle mosse USA e dalla volontà NATO di rimanere a lungo nella regione e teme la crescita delle minacce terroristiche nell’area.
È così che Russia, Uzbekistan e Tadžikistan danno il via a manovre militari congiunte: lo ha annunciato ancora Šojgù, a margine della riunione di Dušanbe, in un incontro a due col collega tadžiko Šerali Mirzo.
«Nell’ambito della Organizzazione del trattato di sicurezza collettiva (ODKB: Organizatsija Dogovora o Kollektivnoj bezopasnosti) e dell’Organizzazione per la cooperazione di Shnaghai, noi dobbiamo non solo discutere, ma anche adottare opportune decisioni e misure per garantire la sicurezza delle frontiere e dei territori» dei nostri paesi.
Šojgù ha detto anche che la questione della sicurezza in Asia centrale «preoccupa non solo noi e riguarda non solo le nostre relazioni bilaterali, ma anche tutti i paesi confinari». Tutt’intorno ai nostri paesi, ha proseguito «si stanno formando focolai di tensione a lungo termine. Un’aggressiva pressione economica, ogni tipo di sanzione, provocazione di conflitti e campagne di disinformazione: questi sono diventati i metodi tipici per raggiungere gli obiettivi».
Inoltre, ha dichiarato Šojgù «Washington impone la creazione di strutture analoghe alla NATO», con gruppi avanzati di pronto intervento; nelle esercitazioni vengono sempre più coinvolte forze e mezzi di Stati non regionali, il che aumenta il pericolo di incidenti. Si assiste a un «dispiegamento su larga scala di sistemi di difesa antimissilistica», con riferimento ai sistemi missilistici USA diretti contro Russia e Cina e alla possibilità che vengano dislocati anche in Asia.
Non a caso, dopo le manovre “Defender Europe 2021”, le più estese degli ultimi trent’anni, con oltre 40.000 uomini schierati agli immediati confini terrestri russi; dopo le manovre navali NATO nel mar Nero e quelle nel mare del Nord; ora, duemilacinquecento uomini di vari paesi, membri e non della NATO, tra cui USA, Gran Bretagna, Germania, Spagna, Italia, Canada, Polonia, Paesi baltici, ma anche Georgia, Ucraina, Azerbajdžan e altri, hanno iniziato in Georgia le manovre militari “Agile Spirit 2021”, che andranno avanti fino al 6 agosto.
Per la verità, dei 2.500 militari impegnati nelle manovre, pare che 1.500 siano georgiani, 700 yankee e il resto suddiviso tra tutti gli altri partecipanti. Ma questo intacca il nodo della questione, della presenza, cioè, di uomini e mezzi di paesi lontani migliaia di chilometri; e, ovviamente, non diminuisce neanche il pericolo di guerra dato dalle rivalità geopolitiche.
E nemmeno l’obiettivo cambia: l’accerchiamento militare della Russia, con un riposizionamento di forze USA e NATO che, dall’Afghanistan, si spostano verso nord e ovest, sui territori di ex Repubbliche sovietiche, in molti casi ben disposte a ospitare le nuove basi d’oltreoceano.
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