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Berlino. Stravince il referendum contro le società immobiliari

Oltre alle elezioni federali tedesche, c’è stato un altro voto – nella capitale Berlino – che potrebbe mandare onde d’urto attraverso i mercati globali degli affitti. 

Ieri, i berlinesi hanno votato a favore di un referendum per costringere alcune delle più grandi compagnie immobiliari del mondo a vendere unità abitative alla città. 

Il referendum non è vincolante, quindi non significa che questo accadrà, ma metterà un’enorme pressione sulle autorità per affrontare la questione degli affitti alle stelle nella capitale della Germania. 

Il contesto più grande per questo referendum è la spirale degli affitti. Berlino è una città di circa 3,7 milioni di abitanti dove circa l’80% delle persone affitta la propria casa, cosa che ha reso la città molto attraente per gli investitori immobiliari. 

C’è anche una forte mancanza di offerta di alloggi a Berlino. Nonostante le stime secondo cui la città avrebbe bisogno di circa 100.000 nuove abitazioni all’anno, solo circa 16.000 sono state consegnate ogni anno. E questo prima del Covid. 

Questi due fattori hanno portato i prezzi degli affitti a salire di quasi l’85% tra il 2007 e il 2019.

Ci sono stati vari sforzi per combattere questo fenomeno, soprattutto quando il governo di sinistra di Berlino ha deliberato nel 2019 il congelamento per cinque anni degli affitti in città. 

Questa mossa è stata però bloccata all’inizio di quest’anno, quando la Corte costituzionale federale della Germania ha stabilito che il congelamento sarebbe stato “illegale”. 

Che dire di queste grandi aziende proprietarie?

Il mercato immobiliare di Berlino è dominato da grandi società immobiliari, alcune delle quali possiedono decine di migliaia di unità in tutta la città. 

Questo è in parte un residuo del passaggio dal regime socialista al capitalismo neoliberista dopo la riunificazione. Berlino Ovest era una piccola enclave capitalista all’interno della Germania Est, mentre il resto di Berlino Est era socialista. 

Berlino Ovest sopravviveva grazie alle sovvenzioni della Germania Ovest, ma quando il muro è caduto le sovvenzioni sono finite e il governo locale ha accumulato enormi debiti. Cercando una soluzione, ha venduto enormi beni a società private, tra cui il servizio idrico della città e circa 200.000 appartamenti.

Ciò nonostante, il prezzo delle case e anche il mercato degli affitti è rimasto enormemente più basso di quanto non avvenisse fino al 2000 in Italia, grazie all’enorme patrimonio di edilizia residenziale pubblica (oltre il 40% del totale, rispetto al 3% dell’Italia), che funzionava da “calmieratore” della domanda di case e dunque del livello degli affitti.

Bloomberg ha riportato che tra gli acquirenti c’era la società americana di private equity Cerberus Capital Management, sostenuta da Goldman Sachs, che ha comprato il consorzio di edilizia pubblica di Berlino, pagando 448 milioni di dollari per 66.700 unità abitative. 

Nel 2013 le partecipazioni di Cerberus sono diventate parte di quello che ora è il più grande proprietario di Berlino quotato in borsa, Deutsche Wohnen. In tutto, Deutsche Wohnen possiede circa 111.000 dei circa due milioni di appartamenti in affitto a Berlino. 

La società è così diventata un parafulmine per l’opposizione sociale alle società immobiliari a Berlino, essendo l’esempio perfetto di cos’è la speculazione immobiliare. Il principale gruppo a sostegno della campagna per il referendum si è chiamato infatti “Espropriare Deutsche Wohnen & Co”. 

La più grande società immobiliare tedesca, Vonovia, ha recentemente tentato di nuovo di comprare Deutsche Wohnen, dopo che diversi tentativi precedenti sono falliti.

Vonovia ha detto di aver raggiunto un accordo per comprare la sua rivale, il che creerebbe un colosso immobiliare che possiederebbe circa 550.000 case in tutta Europa per un valore di oltre 80 miliardi di euro. 

Quindi, come si è arrivati al voto e cosa vuole la campagna? 

“Expropriate Deutsche Wohnen & Co” ha avviato una petizione popolare per raccogliere le 172.000 firme perché la questione fosse sottoposta a un voto referendario.  

In totale, però, ne sono state raccolte 346.000, portando al voto di ieri. 

Il movimento vorrebbe vedere più di 240.000 case poste sotto un’agenzia pubblica per essere amministrate “democraticamente, in modo trasparente e nell’interesse pubblico“.

Per raggiungere questo obiettivo, la campagna pretende che i politici di Berlino elaborino una legge che imponga a tutte le società immobiliari con più di 3.000 alloggi di vender il surplus alla città.  

L’emittente tedesca DW riferisce che i sostenitori della campagna pretendono che le case siano in quel caso pagate “ben al di sotto del valore di mercato“. 

Il gruppo promotore della campagna basa le sue rivendicazioni sull’articolo 15 della Costituzione tedesca, che stabilisce che “la terra, le risorse naturali e i mezzi di produzione possono… essere trasferiti alla proprietà pubblica“, nell’interesse pubblico, in cambio di una “compensazione”.

Anche prima che il referendum fosse approvato, comunque, la campagna ha già messo un’enorme pressione e attenzione sulla questione della proprietà edilizia a Berlino.

La settimana scorsa, il Comunedi Berlino ha annunciato di aver acquistato 14.750 proprietà residenziali da Deutsche Wohnen e Vonovia per 2,4 miliardi di euro.

In parte come un modo per appianare la loro potenziale fusione, Vonovia e Deutsche Wohnen si sono anche impegnati a limitare gli aumenti degli affitti fino al 2026, con Vonovia che ha detto che gli aumenti degli affitti saranno limitati all’1%.

Ma il referendum è stato approvato con oltre il 56% dei voti. E adesso?  

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