Il mondo dei crediti del carbonio è popolato da fondi di investimento ed imprese che sviluppano monocolture industriali spacciandole per riforestazione, sottraendo terra fertile alle popolazioni locali ed alle loro produzioni di cibo, provocando sgomberi manu militari, generando miseria dove prima non c’era.
Imprese che guadagnano due volte – dallo sfruttamento delle piantagioni e dalla vendita di “certificati verdi” ad altre imprese inquinanti – e i cui progetti vengono sostenuti dalla finanza “green”, dagli Stati e da ONG “ecologiste”.
Un articolo di Witness Radio pubblicato sul Bollettino n. 257 del Movimiento Mundial por los Bosques Tropicales. Traduzione italiana pubblicata da Ecor.Network.
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All’inizio degli anni 2000 le comunità vicine invidiavano gli abitanti di Kanamire, un villaggio del distretto di Mubende nell’Uganda centrale. Si era resa famosa per l’agricoltura, e la storia della sua prosperità si era diffusa a macchia d’olio.
Chiunque praticasse l’agricoltura su piccola scala godeva di una posizione molto alta. La terra fertile e le pratiche agricole erano le magie dietro il suo successo. Gli abitanti di Kanamire erano soliti trascorrere l’intera giornata coltivando i loro orti o sarchiando i loro campi per preparare un raccolto abbondante.
“La popolazione della comunità era aumentata e prosperava pienamente grazie all’agricoltura. I commerci si diffondevano dappertutto. Le case di mattoni sostituivano quelle con il tetto di paglia. Con orgoglio le chiamavamo “casa“, afferma Obutu Danial, 54 anni, ricordando i bei tempi.
Normalmente c’è un principio non scritto tra le donne delle campagne: mantenere la pace con i loro vicini. La prima persona che raccoglieva condivideva almeno una parte del raccolto con i vicini. Questa usanza era stata preservata per molto tempo e le donne di Kanamire non facevano eccezione. “Avevamo abbastanza terra. Coltivavamo abbastanza cibo per le nostre famiglie. Eravamo soliti condividere con i nostri vicini, ad esempio i fagioli, e in cambio anche loro avrebbero fatto lo stesso quando i loro fossero stati pronti. Ed eravamo abituati a vendere anche l’eccedenza per soddisfare altre esigenze”, rivela un contadino.
Vent’anni dopo, la comunità esemplare non esiste più. Sono state distrutte, tra le altre, le grandi coltivazioni di banane, caffè e mais, e le famiglie sono state brutalmente sgomberate dalla New Forests Company (NFC) con sede a Londra.
La New Forests Company e il mercato del carbonio
L’impresa New Forests Company venne fondata nel 2004 con la “vision” di produrre legno “sostenibile” in Africa Orientale, nel contesto di una deforestazione dilagante. Venne finanziata da Agri-Vie Agribusiness Fund, fondo di investimento di private equity, e dalla banca britannica HSBC Private Equity. La regione dell’Africa Orientale in cui si trova l’Uganda è una delle più fertili ed è stata quindi scelta per le attività di piantagione.
Nel 2005, l’impresa delle piantagioni firmò un accordo con la National Forestry Authority ugandese (NFA) per installare piantagioni di alberi su 20.000 ettari nella riserva forestale di Namwasa e Luwunga. Il progetto era inserito nel quadro di un programma di commercio del carbonio, un approccio commerciale per privatizzare l’anidride carbonica immagazzinata negli alberi e venderla sotto forma di crediti di carbonio agli inquinatori. Una modalità per produrre profitto aggiuntivo per l’impresa. NFC sta inoltre beneficiando di un nuovo progetto sostenuto dal Dutch Fund for Climate and Development (DFCD), un fondo di 160 milioni di euro (più di 185 milioni di dollari) del governo olandese che ha come obiettivo quello di raccogliere finanziamenti dal settore privato per progetti sul carbonio. Il DFCD è gestito dal gestore di investimenti Climate Fund Managers (CFM), dalle ONG Worldwide Fund for Nature Netherlands (WWF-NL) e Netherlands Development Organization (SNV), ed è guidato dalla Entrepreneurial Development Bank (FMO).(1)
Nell’ agosto 2020, DFCD ha approvato un finanziamento di 279.000 euro (circa 327.000 dollari) e un pacchetto di assistenza tecnica del WWF per la New Forests Company (NFC), con l’obiettivo di sviluppare una proposta di investimento commerciale per la certificazione del carbonio in Uganda, finalizzata alla crescita sostenibile dei piccoli agricoltori ed alla diversificazione del mercato del legname. In realtà, questo si è tradotto nella generazione di finanziamenti per il mercato del carbonio come mezzo per sostenere l’espansione delle sue piantagioni di monocolture e l’accaparramento di terre.
Lo sgombero del villaggio di Kanamire
la National Forestry Authority ugandese(NFA) è un’agenzia governativa creata ai sensi della legge nazionale per la silvicultura e la piantagione di alberi del 2003, come ente responsabile del cosiddetto “sviluppo sostenibile”, la gestione delle Riserve Forestali Centrali (CFR) e la fornitura di supporto tecnico ai soggetti interessati al settore forestale.
Tra il 2006 e il 2010, più di 10.000 persone sono state sgomberate dalle loro terre nel distretto di Mubende per far posto alle piantagioni della NFC. Nonostante questo, nel 2008, l’Uganda Investment Authority, che ha il compito di “consigliare il governo sulle politiche opportune per la promozione e la crescita degli investimenti” (2), ha nominato la NFC come “Investitore dell’anno” per l’impianto di monocolture di alberi di pino ed eucalipto, mentre gli abitanti delle comunità vivono miseramente su un appezzamento di terreno sovraffollato e sterile.
Nel febbraio 2010, i residenti di Kanamire si sono svegliati con una folla di rappresentanti e valutatori della NFC, che agivano sotto la protezione dell’esercito e della polizia ugandese, sotto il comando dell’allora commissario del distretto di Mubende, Nsubuga Bewaayo. Prima di sgomberare con la forza i membri della comunità, hanno distrutto le loro proprietà del valore di miliardi di scellini ugandesi, per installare una piantagione di monocoltura della NFC. Anche le comunità di Kyamukasa, Kigumya, Kyato, Kisita, Mpologoma e Bulagano, nel distretto di Mubende, sono state sgomberate con la forza dalle piantagioni della NFC.
Tre anni dopo gli sfratti, NFC ha accettato di reinsediare le vittime, dopo tesi compromessi con gli attivisti per i diritti umani ed altri difensori impegnati a far fronte alle violenze subite dagli abitanti locali durante gli sgomberi. In seguito a un accordo firmato dalla compagnia e dai residenti di Kanamire, la NFC ha accettato di risarcirli con un totale di 1.200 milioni di scellini ugandesi (circa 340.000 dollari). È stato chiesto ai residenti di costituire e aderire a una società cooperativa, che avrebbe assegnato la metà del denaro per acquistare terreni e l’altra metà per partecipare a progetti di sviluppo, come pozzi e scuole. Gli sfrattati sono stati costretti a pagare le quote di abbonamento per diventare membri. Coloro che non avevano i soldi per unirsi alla cooperativa non sono stati inclusi nel processo di reinsediamento.(3)
“Abbiamo formato la Bukakikama Cooperative Society e sono stati trasferiti 600 milioni (di scellini ugandesi, circa $170.000) sul suo conto, destinati all’acquisizione di terreni “, ha detto il signor Bakesisha William, ex presidente della cooperativa.
Bakesisha ha affermato che con i 600 milioni di scellini ugandesi hanno comprato dei terreni equivalenti a 473 acri (circa 190 ettari) nel villaggio di Kampindu, nel distretto di Mubende. Delle 901 famiglie, a 453 è stato assegnato 1 acro (meno di mezzo ettaro) di terreno. Le restanti 448 non sono state risarcite o reinsediate. Tutti nella cooperativa hanno dovuto pagare 30.000 scellini ugandesi (circa 8,5 dollari) per aderire. E le vittime hanno dovuto effettuare pagamenti aggiuntivi, vale a dire: 3.000 Scellini ugandesi (quasi un dollaro) per avere una partecipazione nella Cooperativa e 5.000 Scellini ugandesi ($ 1,42) come fondo di risparmio iniziale. Una volta effettuati i pagamenti richiesti, il presidente della cooperativa avrebbe dato loro un numero di identificazione. E solo coloro che avrebbero soddisfatto tali requisiti sarebbero stati registrati come membri ammissibili dalla cooperativa per beneficiare di un acro di terra per il reinsediamento.
A Kampindu, il luogo in cui gli sfrattati di Kanamire vennero “risistemati”, la prima cosa che si vede è bambini malnutriti con vestiti stracciati che vagano per la città. I giovani, arrabbiati, affamati e dall’aspetto miserabile, insieme ai vecchi stanchi, si stringono in case fangose improvvisate. Altri con le zappe sulla schiena e i piedi sporchi rivelano la loro indigenza. Quelli che hanno ricevuto un acro di terra non sono in condizioni migliori di chi non l’ha ricevuto.
Anche loro sono impantanati in una situazione di povertà. Sono stati reinsediati in un pezzo di terreno sterile. È stato denunciato che nemmeno è stato rispettato ciò che di solito viene definito reinsediamento. Non è stata offerta alcuna assistenza in materia di alloggi di base, cibo, acqua o vestiti. Sono stati scaricati e abbandonati lì dalla società multimilionaria con sede nel Regno Unito.
“Entrambi i gruppi vivono in povertà. Coloro che hanno avuto l’opportunità di reinsediarsi in un acro di terra soffrono perché la terra è troppo piccola per essere coltivata. Si trova in una zona montuosa dove non si può costruire o coltivare. E chi non ha avuto nessuna possibilità muore di fame e lavora come bracciante nelle piantagioni altrui per sopravvivere. Circa 5 morti sono stati registrati nella zona come conseguenza dello sgombero”, ha affermato un ricercatore della piattaforma mediatica ugandese Witness Radio.
Il signor Rwabinyansi Charles è uno di quelli che hanno ricevuto la terra a Kampindu. Settantacinque anni e padre di 11 figli, non può dimenticare il modo spietato con cui NFC si è impossessata della sua terra e l’ha scaricato a Kampindu, un luogo che descrive come l’inferno. “È come se non avesse terra. Guarda, è pieno di pietre, il che rende difficile costruire o coltivare. Quando pianti le colture, si seccano. Guarda il mais che è stato piantato nella passata stagione“, ha detto, riferendosi a un pezzo di terra che ha ricevuto da NFC. Undici anni fa il signor Rwabinyansi era un membro felice della comunità. Prima del suo sfratto aveva 30 acri (circa 12 ettari) coltivati – tra le altre cose – a caffè, banane, manioca. E allevava anche animali nella sua terra. “In una buona stagione raccoglievo più di 30 sacchi di caffè, 20 di mais e 15 di manioca. Li vendevo mentre mia moglie coltivava ciò che ci dava da mangiare a casa. Vendevamo anche il latte delle nostre quattro mucche, era davvero una bella vita“, ha detto.
Ora, su un appezzamento di terreno a Kampindu c’è una tenda improvvisata che il signor Rwabinyansi e la sua famiglia chiamano casa, ma questa è solo la punta dell’iceberg. Anche la morte non allevierà il dolore associato allo sfratto, perché anche nella morte lo sfratto ha continuato a perseguitarli. “Non posso costruire su quella terra. Non è sicura per me. Non posso costruire neanche qui, perché in qualsiasi momento il proprietario potrebbe volerla utilizzare. Recentemente ho perso mia nuora e non avevo un posto dove seppellirla “, rivela.
Tra gli indigeni Baganda, quando qualcuno muore il cordoglio è accompagnato da una degna sepoltura ed un messaggio di addio al defunto o alla defunta, “Wummula mirembe”, che è simile a un “Riposa in pace”. Tuttavia non era il caso della nuora di Rwabinyansi. “Non siamo riusciti a trovare dove seppellirla. Dio finalmente ha avuto pietà di noi. Un caro amico le ha dato una parte della sua terra in modo che lei possa riposare“.
Il presidente delle comunità colpite dalla NFC, il sig. Julius Ndagize, critica i criteri dei processi di assegnazione di un acro di terra agli sfrattati.
“Prima di tutto, la terra è troppo piccola per ospitarci tutti, e le prime procedure di acquisto delle azioni e del contributo al fondo della cooperativa non hanno favorito la mia gente, che non aveva soldi. Le persone, anche quelle che hanno avuto la terra, non avevano niente da mangiare. Immagina una famiglia di 15 bambini: sono cresciuti tutti e hanno costruito sulla stessa terra. Dove vanno a scavare? L’unico vantaggio che ha il gruppo di chi ha avuto la terra rispetto a chi non ha avuta è che hanno un posto dove seppellire i loro cari“.
Il dolore di perdere una generazione giovane e promettente
Gli sfrattati stanno ora facendo i conti con le scandalose conseguenze legate allo sgombero, comprese le gravidanze infantili, il lavoro minorile e l’abbandono scolastico. “I casi di matrimoni precoci e di lavoro minorile sono tanti nella zona, i bambini già non vanno a scuola, perché se un padre non ha da mangiare, come può pensare ad educare suo figlio? E le persone muoiono perché non hanno soldi per andare negli ospedali”. Ndagize afferma che i piccoli agricoltori ora lavorano come braccianti giornalieri. “Dato che la terra è scarsa e sterile, queste persone vanno a lavorare nelle fattorie vicine per ottenere qualcosa da mangiare“.
Il contributo dei piccoli agricoltori al paniere alimentare nazionale continua ad essere enorme, ma quando si parla con loro, dicono che credono che il loro governo li abbia frodati e che le multinazionali come NFC li abbiano fatti fuori. “Se l’agricoltura è la spina dorsale dell’Uganda, come si dice, perché ci tolgono quel poco che abbiamo? Non stavamo morendo di fame e non abbiamo pregato nessuno. Ma guardami adesso. La prossima volta mi troveranno per strada a mendicare, o morto dentro casa mia”, conclude depresso un membro della comunità Rwoga Nyange.
I tentativi di parlare con il responsabile del Programma di Responsabilità Sociale della New Forests Company, il sig. Kyabawampi Alex, non hanno avuto successo. Al momento di andare in stampa ancora non aveva risposto alle e-mail inviate da Witness Radio.
Materiali:
– Una lettera di Oxfam ai finanziatori della New Forests Company.
NOTE:
1) WWF, The DFCD supports in carbon certification in Uganda, August 2020, https://www.wwf.nl/wat-we-doen/aanpak/internationaal/Dutch-Fund-for-Climate-and-Development/The-DFCDsupports-in-carbon-certification-in-Uganda
2) Uganda Investment Authority, https://www.ugandainvest.go.ug/about/
3) Witness Radio, Uganda: La agonía de un proyecto de plantación de árboles en tierras comunitarias, en el Boletín 251 del WRM, Septiembre de 2020, https://wrm.org.uy/es/articulos-del-boletin-wrm/seccion1/uganda-la-agonia-de-un-proyecto-de-plantacion-de-arboles-en-tierras-comunitarias/
Resistencia frente a las múltiples tácticas para expandir los monocultivos
Boletín WRM 257 – Movimiento Mundial por los Bosques Tropicales
Julio / Agosto 2021
* Tradotto e pubblicato da La Bottega del Barbieri
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