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La partita con l’Isis ancora non è chiusa. Ma la “Coalizione” lascia fare

Scomparso dai riflettori, lasciato sostanzialmente in pace dalle forze della “Coalizione occidentale” e combattuto solo dalle truppe siriane e irachene, l’Isis ha ripreso in grande stile i suoi attacchi militari sia nel quadrante Siria/Iraq, sia in Afghanistan.

In quest’ultimo paese, alcune fonti segnalano l’arruolamento nell’Isis-Khorasan di molti ex ufficiali e soldati dell’esercito regolare afghano in rotta, nel tentativo di mettersi al riparo dalle ritorsioni dei Talebani per la loro collaborazione con forze di occupazione della Nato.

L’Isis-Khorasan ha ucciso ad esempio Maulvi Hamdullah, più noto come Mokhlis e membro della potentissima rete Haqqani, nel corso dell’assalto all’ospedale militare “Sardar Daud Khan” di Kabul.

Come noto, la Coalizione globale contro Daesh – questa la definizione ufficiale dell’Isis – è stata costituita nel settembre 2014 da 88 paesi e guidata dagli Usa. Ma, lasciato in pace dalla “Coalizione” (Usa, Francia, Gran Bretagna, Italia etc.), l’Isis ha ripreso colpire massicciamente in Iraq e in Siria.

L’agenzia siriana Sana riferisce che un convoglio composto da 270 veicoli delle forze di occupazione statunitensi ha lasciato la base USA nell’aeroporto militare di Kharab al-Jeer nella campagna di Hasaka e si è diretto nel nord dell’Iraq attraverso il valico di al-Waleed in una delle più grandi operazioni di evacuazione negli ultimi anni. Mentre nel carcere siriano di Hasaka – controllato dalle truppe statunitensi e dove sono detenuti centinaia di miliziani dell’Isis catturati – è esplosa una rivolta.

Secondo un rapporto del The Soufan Group “tra gennaio 2020 e settembre 2021, lo Stato islamico ha sostenuto una media di 90 operazioni al mese in Iraq, con una forte concentrazione nei governatorati di Salah ad-Din, Kirkuk e Diyala”. Mentre in Siria gli attacchi dell’Isis colpiscono soprattutto nell’est della valle dell’Eufrate.

L’Isis, in competizione con Al Qaida, sta inoltre cercando di allargarsi anche in tutta l’Africa subsahariana e, in seguito alla conquista dell’Afghanistan da parte dei Talebani, anche in varie parti dell’Asia centrale.

Dopo le batoste subite nella primavera del 2019 e la morte del leader Abu Bakr Al Baghdadi, l’Isis sembra aver adottato una nuova strategia.

Il nuovo leader Abu Ibrahim al-Hashimi al-Quraishi, non appare mai in video per non essere localizzato dall’intelligence nemica e sembra aver puntato soprattutto sull’attività di piccole cellule dormienti “per lanciare attacchi pur mantenendo un efficace comando e controllo utile a condurre un’insurrezione di guerriglia di basso livello e mobilitare nuovo sostegno da parte della popolazione”. Insomma un esercito “dormiente” pronto e disponibile per nuove operazioni, “quando richieste”.

Nella ormai totale disattenzione dei media negli ultimi mesi c’è stato invece un crescendo di omicidi, imboscate e attacchi con esplosivi.

Lo scorso 26 ottobre sorso quindici persone sono state uccise e altre ferite, in seguito ad un attacco dell’Isis contro il villaggio iracheno di al-Hawasha. Il 28 ottobre, lo Stato Islamico ha effettuato un attacco contro un posto di blocco delle forze di polizia irachena nel governatorato di Kirkuk. A settembre ci sono stati vari e sanguinosi attentati perfino a Baghdad.

Un rapporto delle Nazioni Unite pubblicato all’inizio di quest’anno, ritiene che i combattenti dell’Isis tra Siria e Iraq siano ancora circa 10.000 (numero per difetto), tra cui molti foreign fighters europei sfuggiti alla battaglia finale di Al-Baghuz Fawqani, un villaggio della Siria, situato nel distretto di Abu Kamal (Deir ez-Zor) conclusasi il 23 marzo 2019 con la definitiva caduta dell’ultimo bastione dell’Isis in Siria.

Ma oltre ai colpi subiti da parte delle truppe siriane, l’Isis ha subìto colpi anche dalle forze armate irachene che hanno catturato Sami Jassem al-Ajuz, ritenuto il ministro delle Finanze dell’Isis.

Ad agosto, inoltre, le forze francesi della missione “Barkane” hanno ucciso in Mali  Adnan Abou Walid Al-Sahrawi , il capo del cosiddetto ramo del Grande Sahara (ISGS) di Daesh. In Egitto, uno dei leader dell’Isis nel Sinai, Abu Hamza al-Qadi si è arreso ad una milizia tribale.

A fine giugno a Roma si è tenuto un vertice ministeriale dei governi della “Coalizione anti-Daesh”. In quella occasione il ministro degli Esteri italiano Di Maio ha affermato che Daesh è stato sconfitto in termini di perdita del suo territorio, ma non può essere del tutto sradicato ed ha aggiunto che poiché molto resta da fare, “l’Italia potrebbe aumentare la sua partecipazione alle missioni Nato in Iraq”.

L’incontro di Roma, è stato il primo faccia a faccia dallo scoppio della pandemia di COVID-19 e su richiesta dell’Italia, ha discusso anche della minaccia rappresentata dalle organizzazioni terroristiche affiliate a Daesh/ISIS nel Sahel e in varie regioni dell’Africa. Luoghi dove ormai sono presenti e attivi anche contingenti militari italiani.

Il 22 ottobre scorso  si è tenuto un vertice dei ministri della Difesa della Coalizione, a cui ha preso parte anche il Segretario della Nato Stoltemberg, il quale ha confermato l’esistenza di una “missione Nato in Iraq” e sottolineato come l’Alleanza stia esaminando la possibilità di espandere i suoi partenariati verso i paesi della regione del Sahel e sta esplorando opportunità per un’ulteriore cooperazione con i paesi africani nella lotta al terrorismo.

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