Domenica 14 novembre si svolgono le elezioni in Argentina. Dopo le elezioni svoltesi il 7 novembre in Nicaragua che hanno visto la vittoria del sandinismo e prima di quelle che si terranno il 21 novembre in Cile, i risultati che usciranno dalle urne in Argentina saranno un test importante con notevoli ripercussioni regionali, visto il peso che riveste il Paese.
I cittadini del paese latino-americano sono chiamati alle urne per rinnovare metà dei deputati – 127 – su tutto il territorio nazionale ed un terzo dei senatori, 24 in totale, in otto provincie.
In queste elezioni si definirà quindi la futura composizione del Congreso – composto da 257 deputati -, mentre nelle provincie di Corriente, Mendoza, Santa Fe, Córdoba, Chubut, Tucumán, La Pampa, Pampa y Catamarca, si decideranno 24 escaños su 72 di cui è composto il Senado.
A circa due mesi dalle primarie svoltesi il 12 settembre, 34 milioni di argentini saranno chiamati alle urne.
Oltre agli aventi diritto al voto, che è obbligatorio, anche 385 mila connazionali all’estero potranno partecipare alle elezioni.
In gioco ci sono i futuri equilibri politici del Paese a circa due anni dalle prossime elezioni presidenziali, che si terranno nel 2023.
Questi equilibri, e i rapporti di forza all’interno dei due schieramenti che si affrontano, determineranno le scelte politiche che l’Argentina dovrà fare nei mesi a venire e la reale – o meno – inversione di tendenza rispetto alle disastrose politiche portate avanti da Macri (2015-2019) e la ripresa, o il distacco, del percorso della fase “kirchnerista”(2003-2015).
Il peronista Frente de Todos affronta la coalizione neo-liberista Juntos por el Cambio, rinvigorita dai successi alle primarie di settembre e dai recenti sondaggi, dopo una campagna elettorale chiusasi questo giovedì.
La destra ha svolto una campagna elettorale più “tranquilla” accontentandosi di capitalizzare gli errori dell’avversario ed il sentimento di stanchezza prodotto dalle restrizioni sanitarie e dalla situazione di difficoltà legata all’impossibilità di assicurare il normale svolgimento delle lezioni scolastiche.
In generale, a seconda dei sondaggi, tra il 70 e l’80% della popolazione mostra la propria insoddisfazione nei confronti dei poteri statali, dato che di per sé avvantaggia chi è l’opposizione.
Alberto Fernandez, uscito vincitore dalle scorse elezioni presidenziali nel 2019, ha ribadito a fine campagna – nello stesso luogo in cui si presentò come candidato – lo sforzo che il suo governo ha fatto in questa difficile congiuntura pandemica e ha ricordato la necessità di preservare l’unità tra le forze del Frente.
La destra, che vuole tornare al potere dopo la sconfitta di Macri – che verrà indagato dalla Commissione Bicamerale sul Debito sull’indebitamento esterno dell’Argentina durante la sua presidenza -, mette l’accento sulla difficile situazione economica con l’impennata dell’inflazione e la crisi del cambio, con il Peso che ha perso ulteriormente nei confronti del dollaro, oltre che premere sul tema dell’insicurezza strumentalizzando episodi di “cronaca nera”.
Le perdite più vistose per i peronisti potrebbero essere al Senato, in un rebus in cui hanno sempre comunque un peso le forze “regionali”.
Nessuna delle due coalizioni potrebbe ottenere il quorum al Congreso, con una sostanziale bilanciamento dei deputati, mente al Senado la coalizione peronista rischia di perdere la maggioranza, passando dagli attuali 47 a 35 senatori, cioè due seggi sotto la soglia della maggioranza, contro i 34 di Juntos.
Se le elezioni andassero male per il Frente, la coalizione si troverebbe di fronte ad una divaricazione delle strade da intraprendere, vista la difficoltà di legiferare in quelle condizioni.
Da un lato, trovare un accordo con la destra per governare per due anni – opzione a cui sarebbero inclini i governatori peronisti e, in un certo modo, anche l’attuale presidente – che di fatto spianerebbe la strada ai rappresentanti per le prossime Presidenziali.
Dall’altro radicalizzare le proprie politiche, che porterebbe tra l’altro ad una posizione più intransigente nei confronti del Fondo Monetario Internazionale. Un atteggiamento cui sono più inclini Cristina Fernández e La Cámpora, e che aprirebbe uno scontro in cui i movimenti sociali e la militanza di base tornerebbero ad avere un ruolo importante come “forza di pressione” sui peronisti.
Il 27 ottobre, nella giornata in ricordo della scomparsa di Néstor Kirchner, avvenuta 11 anni fa, Cristina Fernández ha spiegato che il Paese non comprometterà il suo futuro per pagare il debito contratto con il FMI, auspicando una soluzione che non tagli le gambe alla ripresa. Ma la risoluzione di questa equazione politica sembra abbastanza ardua, vista la rinnovata ferocia della controparte.
Non è inutile ricordare che all’inizio novembre la centrale sindacale argentina CTA ha festeggiato i 16 anni della sconfitta dell’ALCA insieme agli ex-presidenti della Bolivia, Evo Morales, e dell’Ecuador, Rafael Correa. Una tappa importante che fece fallire l’ipotesi di una ricolonizzazione nord-americana sul continente, e che dà il polso del sentimento che anima la base sociale del peronismo.
Una cerimonia commemorativa avvenuta in un momento in cui l’ingerenza di Washington si fa sempre più consistente e decisa ad utilizzare tutti gli strumenti in suo possesso – tra cui la leva economica assicurata dal FMI – per piegare ai propri desiderata i paesi del continente e inibire così la realizzazione di un mondo effettivamente multipolare, che nel contesto latino-americano vuol dire impedire il consolidamento di una esperienza di cooperazione regionale e tagliare le gambe a Cina e Russia.
Questo giovedì uno scambio telefonico tra l’attuale presidente argentino e quello russo è andato verso il rafforzamento di quella alleanza strategica integrale che nell’aprile 2015 venne iniziata a Mosca, con un accordo di cooperazione che ha prodotto importanti frutti.
Uno di questi è stata la possibilità per il Paese Latinoamericano di produrre autonomamente il vaccino Sputnik V, la cui la fabbricazione è iniziata il 4 giugno scorso.
Come abbiamo sostenuto appoggiando convintamente l’appello “L’America Latina è una speranza per l’Umanità” nel continente latino-americano gli sviluppi nel continente devono avere la massima attenzione e la solidarietà con i processi di emancipazione che si stanno esprimendo in varie forme devono tornare ad essere uno dei centri dell’asse dell’azione politica.
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