Nella crisi alla frontiera polacco-bielorussa, l’attenzione dei media sembra già lasciare in secondo piano il dramma dei profughi, per concentrarsi sulla presunta minaccia del “ultimo dittatore d’Europa” di rispondere alle sanzioni UE con la chiusura dei rubinetti del gas. Da parte sua, Mosca sembra inquadrare la crisi attuale nel più ampio piano di tensione imbastito da USA e NATO attorno alla Russia, da sud a nord a ovest.
Ma intanto, sul confine tra Bielorussia e Polonia, la situazione delle persone non migliora.
Il presidente bielorusso Aleksandr Lukašenko ha dichiarato di aver incaricato esercito e servizi di sicurezza di seguire attentamente la situazione che, a suo dire potrebbe precipitare per il fatto che negli ultimi giorni si sarebbe tentato di far pervenire armi, munizioni, esplosivi ai lager dei migranti.
Lukašenko non ha specificato chi avrebbe effettuato tali tentativi, limitandosi a dichiarare che il materiale proverrebbe dal Donbass e che, da parte polacca, si «intende arrivare a una provocazione» e a uno scontro tra «le nostre guardie di frontiera e le loro».
Il Presidente bielorusso ha anche ordinato alle forze di sicurezza di seguire i movimenti dei militari polacchi e di altri Paesi NATO lungo la frontiera: si tratterebbe di oltre quindicimila uomini, con mezzi corazzati e blindati, elicotteri e aerei. «Noi non dispieghiamo» le nostre forze, ha detto Lukašenko; ma «dobbiamo controllare; e prevedere tutto, perché non ci imbastiscano una guerricciola sul confine e noi risultiamo impreparati».
Da parte sua, il Ministro degli esteri bielorusso, Vladimir Makej, ha dichiarato che Minsk è pronta a «fornire ogni informazione sulla situazione alla frontiera tra Bielorussia e UE» e che chiunque voglia accertarsi in loco della situazione verrà ammesso (Londra ha confermato la presenza di proprie truppe in loco, ma sul lato polacco del confine, mentre già un paio di giorni fa era stato avvistato un convoglio ferroviario con armamenti della Bundeswehr a est di Olsztyn, meno di 100 km dal confine polacco-bielorusso) come è già stato fatto coi «rappresentanti dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni, o dell’Alto commissariato ONU per i migranti; una serie di giornalisti sono presenti» e Minsk può fare lo stesso con rappresentanti della Commissione Europea.
Ma, ha detto il vice Ministro degli esteri Sergej Alejnik, Minsk non percepisce seri sforzi da parte UE per sviluppare il dialogo sulla crisi migratoria.
Più diretto l’omologo russo, Sergej Lavròv, che ha definito “vaniloquio” le accuse di coinvolgimento della Russia nella crisi al confine polacco-bielorusso: «Credo che la Russia debba reagire in modo molto semplice: ignorare tutto questo chiacchiericcio e le dichiarazioni aspre e arroganti dettate solo da istinti russofobi». Il Presidente Vladimir Putin, discutendo al telefono con Angela Merkel della situazione ai confini tra Bielorussia e paesi UE, insieme a quella in Donbass, ha allargato il discorso alle attività provocatorie di USA e altri paesi NATO nel Mar Nero.
E il Ministro della difesa Sergej Šojgù, nel corso del Consiglio franco-russo “2+2” a Parigi, ha detto che la situazione politico-militare in Europa continua a deteriorarsi, con l’accrescimento della presenza militare NATO alle frontiere russe.
Una dichiarazione che riguarda l’insieme delle aree che preoccupano Mosca, dal mar Nero, al Baltico, al Donbass, fino a – pur se non direttamente specificato – quella (quasi)nuova area di tensione rappresentata ormai da diversi mesi dalla frontiera polacco-bielorussa.
Pertanto, dal Ministero della difesa russo fanno sapere di monitorare attentamente le mosse USA soprattutto nell’area del mar Nero, affermando che il naviglio e l‘aviazione da ricognizione yankee non fanno che studiare il teatro di future azioni, in caso Kiev si decida (ma chi glielo dovrebbe dare il via libera?) a una soluzione di forza in Donbass.
E infatti, il trasferimento di mezzi corazzati ucraini (nel video, ripresi nei pressi di Kharkov) verso la linea del fronte con le Repubbliche popolari, va ora a sommarsi alle azioni di sabotaggio nella cosiddetta “zona grigia” e ai bombardamenti sui villaggi adiacenti, sia della LNR che della DNR, mentre, da un lato, proseguono nel mar Nero le manovre della VI Flotta yankee e, dall’altro, Washington tenta di giocare d’anticipo, accusando Mosca di “ammassare truppe al confine con l’Ucraina, pianificando un’invasione su vasta scala”.
Per inciso, la squadra navale USA, composta dalla nave di comando e controllo “Mount Whitney”, ammiraglia della VI Flotta, dal cacciatorpediniere lanciamissili “Porter” e dalla nave cisterna “John Lenthall” (per un tonnellaggio totale che rientra appena nei limiti dati dalla Convenzione di Montreux, che alti ufficiali della US Navy invitano apertamente a stracciare, per controbilanciare, dicono, il potenziale missilistico russo) effettua manovre insieme a naviglio degli “alleati regionali” USA, quali Bulgaria, Romania, Turchia Georgia e Ucraina.
Ora, nello specifico della “crisi migratoria” polacco-bielorussa, il polonista russo Stanislav Stremidlovskij azzarda che le mosse di Minsk facciano involontariamente il gioco di Varsavia e che quest’ultima sia interessata (tra i 35 Stati del OSCE che, su iniziativa britannica, sono ricorsi al “Meccanismo di Vienna” per “gravi violazioni dei diritti umani in Bielorussia”, non c’è la Polonia) a che la crisi, che va avanti da oltre quattro mesi, si protragga il più a lungo possibile, da un lato per continuare ad accusare Minsk e Mosca di “guerra ibrida” e fare quindi appello alla UE.
Dall’altro, per consentire al partito di governo “Diritto e Giustizia” di presentarsi ai polacchi come difensore delle “orde dell’est”.
L’attuale crisi, scrive Stremidlovskij su IARex, rappresenta oggi «l’unica opportunità per Varsavia di non ridurre l’intera agenda dei rapporti tra Polonia e UE» ai soli contrasti su stato di diritto, riforma giudiziaria o priorità delle leggi nazionali su quelle europee.
Grazie a Minsk, “Diritto e Giustizia” ottiene anche «argomenti per avanzare richieste di rafforzamento del fianco orientale» della NATO. Chi però può profittare economicamente della crisi, prosegue Stremidlovskij, è anche la stessa Minsk: la barriera “anti-migranti” di 187 km e alta 5,5 metri, con supporti di 5 metri, innalzata da Varsavia, impiega migliaia di tonnellate di acciaio, ma «per ogni 1.000 tonnellate di acciaio vendute sul mercato polacco, 800 sono importate, ed è del tutto possibile che anche aziende bielorusse possano trarre profitto dalla costruzione del muro».
Invece, la russa Rosstrat mette in evidenza come Varsavia ci tenga a presentarsi quale sentinella di «stabilità e sicurezza» della UE, minacciate dalla «aggressione ibrida del regime di Lukašenko», in questo appoggiata da quei media che sostengono che «l’attacco bielorusso alla UE» sarebbe sponsorizzato da Putin e Erdogan.
Nulla a che vedere con le più responsabili parole di Sergej Lavròv, secondo cui per mettere al sicuro la UE dai migranti occorre risanare e riparare i paesi del Vicino oriente devastati dalle truppe occidentali; fino a quel momento, i cittadini di Iraq, Libia, Siria, ecc, saranno costretti ad abbandonare i propri Paesi alla volta dell’Europa.
Altra idea, per così dire “originale”, è quella espressa, ancora su IARex, da Timofej Borisov, il quale afferma che per molti anni Lukašenko ha «minacciato gli europei col pericolo di migrazioni illegali e criminali attraverso i loro confini. Non ha mai chiesto soldi agli europei, come ha fatto Erdogan. Aveva solo bisogno della legittimazione del suo sesto mandato presidenziale».
Il suo teorema era: “viviamo in amicizia. Non dovete destituirmi… io sono dei vostri, un borghese e, se necessario, posso anche diventare anti-russo”. Queste sono ovviamente parole di Borisov (d’altronde, le continue altalene di Lukašenko, tra Mosca, Kiev o Washington, non le smentiscono) il quale ricorda come, già nel 2003, in risposta all’osservazione di Der Spiegel – «la UE teme non tanto le vostre merci, quanto il flusso di migranti, dato che Lei ha minacciato di cessare di sorvegliare il confine con Polonia, Lituania e Lettonia dal maggio 2004» – Lukašenko rispondesse che «In primo luogo ho parlato di profughi illegali e, in secondo luogo, ci costa troppo mantenerli sul nostro territorio. Oggi restano qui da noi oltre 200.000 profughi, dal momento che abbiamo chiuso le nostre frontiere occidentali, come avevamo promesso agli europei. Ogni giorno fermiamo più di 200 illegali alle frontiere baltiche».
Da dove vengono, chiedeva Der Spiegel: «da Afghanistan, Pakistan, Vietnam, Russia, Cecenia», rispondeva Lukašenko; ma essi «non intendono rimanere qui, vogliono andare in Germania, Inghilterra, Francia… noi non abbiamo soldi per mantenerli; ma questo è ancora un mezzo male, perché acciuffiamo anche molti corrieri con armi, narcotici e anche con uranio arricchito. A questo proposito mi sono già rivolto a Berlino e Parigi».
Così che, nota Borisov, le alte sfere europee erano da lungo tempo al corrente dell’ampiezza del problema.
Esattamente come lo sono, vorremmo aggiungere, di quello della eroicizzazione del nazismo, pur continuando imperterrite, anno dopo anno, ad astenersi all’ONU sul voto per la sua condanna, come hanno fatto anche lo scorso 12 novembre, in buona compagnia coi reazionari sanfedisti polacchi e gli estimatori baltici delle Waffen SS.
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