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Cile. Movimenti sociali e nuovo presidente. Che succederà?

Sergio Grez, dottore in Storia della Scuola Superiore di Scienze Sociali di Parigi, accademico dell’ Universidad de Chile, esamina il trionfo di José Gabriel Boric e analizza alcune possibili conseguenze che avrà per il movimento popolare l’arrivo alla Moneda del rappresentante di Apruebo Dignidad.

D: In che situazione è il movimento popolare dopo il trionfo di Gabriel Boric? Come si posizioneranno i movimenti sociali nel nuovo scenario che avremo a partire da metà marzo?

R: L’alto numero di voti ottenuto da Gabriel Boric al ballottaggio del 19 dicembre -55,87% dei voti- e il balzo del tasso di partecipazione elettorale, soprattutto dei settori popolari, al 55%, riflette che l’elezione di Boric alla Presidenza della Repubblica ha suscitato speranze di cambiamento in una parte significativa della popolazione. Sebbene tra i suoi elettori ci sia una percentuale importante di persone di sinistra che lo ha fatto -a malincuore- ritenendolo un “male minore” di fronte al pericolo rappresentato da Kast, non è meno vero che il presidente eletto incarna, fino a ora, un desiderio di cambiamento nella prospettiva del superamento del modello neoliberista. Ciò si è visto riflesso durante la campagna elettorale non solo in termini individuali, ma anche in numerose dichiarazioni di sostegno delle organizzazioni sociali.

Ciò fa supporre che per un certo tempo queste frange rimarranno in attesa, anche se non è ancora possibile sapere se ciò comporterà un’inibizione delle loro mobilitazioni o se, al contrario, le stimolerà come una forma di pressione nei confronti delle nuove autorità per un rapido e completo adempimento delle promesse elettorali. Effetti simili può avere il processo costituente avviato attraverso la Convenzione Costituzionale, che anche ha suscitato speranze in una parte importante del Paese.

Un fattore rilevante in questo senso sarà l’atteggiamento assunto da alcuni attori politici -come il Partito Comunista- che influenzano alcune organizzazioni sociali, in particolare sindacali. Come sappiamo, ogni volta che questo partito ha avuto piena partecipazione (ministri compresi) in un governo, ha oscillato tra il contenimento e il dosato incoraggiamento delle lotte sociali popolari, a seconda degli alti e bassi delle controversie politiche e più precisamente, a seconda delle contraddizioni all’interno della coalizione di governo. E’ stato così durante i governi di González Videla, Allende e Bachelet. È probabile che ora accada qualcosa di simile.

Tuttavia, va tenuto presente che gli attori politici dei partiti non sono in grado di esercitare un grande controllo, molte volte non sono nemmeno in grado di incidere su vasti settori del mondo popolare. Ciò è particolarmente evidente tra coloro che subiscono più gravemente le conseguenze del modello: lavoratori precari e informali, lavoratori autonomi, settori popolari in povertà estrema, mapuche residenti nel Wallmapu, migranti, tra gli altri.

Non vi è alcuna garanzia che gli elementi di contenimento che il nuovo governo metterà in campo saranno in grado di fermare o annullare in maniera duratura le mobilitazioni di questi settori, mobilitazioni che possono assumere forme radicalizzate ed extraistituzionali. Infatti, alcune comunità e organizzazioni mapuche “in resistenza” hanno già annunciato che non ci sarà alcuna “tregua” con il governo di Boric. E questo permette di prevedere il persistere di un clima belligerante nel territorio ancestrale di quel popolo, denominato eufemisticamente ” macro zona sud” dagli strateghi dello Stato nazione.

Un altro fattore che nel medio termine può stimolare l’organizzazione popolare -anche se più regolamentata e controllata- è la promessa riforma che permetterebbe scioperi e negoziati per settori produttivi. Questi e altri fattori – che possono agire in una direzione o nell’altra – indicano l’esistenza di uno scenario complesso e imprevedibile, soprattutto nel contesto del permanere di gravi problemi sociali. Come spesso accade, l’azione politica degli attori del dramma nazionale sarà l’elemento decisivo per inclinare la bilancia a favore del rafforzamento e dell’autonomia o della frammentazione e dell’annullamento dei movimenti sociali in nome della governabilità.

Di fronte alla posizione di sostenere Boric e “non creargli problemi”, questi movimenti sapranno che il problema non è come il popolo sosterrà Boric, ma come Boric sosterrà le lotte del popolo e soddisferà le sue richieste.

Credo che, tra qualche mese, quando si sarà dissipato lo “stato di grazia” che accompagna spesso i governanti che stanno iniziando la loro amministrazione, le lotte sociali riprenderanno il loro corso abituale e inevitabilmente emergeranno le contraddizioni irrisolte. Non è possibile anticipare la forma e le prospettive che acquisiranno queste lotte, poiché ancora non sappiamo quale sarà la loro capacità di manovra o fino a che punto il governo Boric (che non sarà solo di Approva Dignità) utilizzerà la repressione per contenere le richieste sociali. Per questo il movimento popolare, se vuole rafforzarsi, deve – come sempre dovrebbe fare – mantenere la propria autonomia e rafforzarsi a tutti i livelli. I tempi difficili a venire lo richiedono.

D: Come caratterizza il momento politico e sociale che sta vivendo il Paese dopo la ribellione popolare del 18 ottobre? Ritiene che questo processo proseguirà anche dopo il plebiscito di uscita che dovrebbe aver luogo nella seconda metà del 2022?

R: Da ottobre 2019 molta acqua è passata sotto i ponti. Dopo l’”esplosione sociale”, la casta parlamentare ha reagito, aggiungendo alla spietata repressione statale, la manovra politica cristallizzata nell'”Accordo per la Pace Sociale e la nuova Costituzione” del 15 novembre, finalizzata a deviare la potenza della ribellione popolare verso una via innocua, quella di un processo costituente regolamentato dal Parlamento, evitando un’Assemblea Costituente libera e sovrana che avrebbe messo in pericolo i grandi interessi legati al mantenimento del modello.

Una prima fase della ribellione si è protratta fino a quel momento. In linea di massima, si deve constatare che il suddetto Accordo ha dato i risultati che i suoi promotori si aspettavano, poiché è riuscito a smobilitare molte persone che hanno creduto che il processo costituente loro offerto sarebbe stato all’altezza delle loro aspirazioni, ma non è bastato a tornare alla “normalità” agognata dal governo, dalla casta politica e dall’opinione conservatrice.

Tuttavia, nonostante l’accordo e la pausa estiva, le proteste e le mobilitazioni sono continuate durante l’estate 2020, raggiungendo grande intensità l’8 marzo in occasione della Giornata Internazionale della Donna. Tuttavia, l’arrivo in Cile della pandemia globale di Covid-19, è servito al governo per decretare lo stato di emergenza accompagnato da quarantene, coprifuoco su tutto il territorio e altre misure che hanno contribuito alla smobilitazione. A metà marzo si è conclusa la suddetta fase iniziata quattro mesi prima.

Nonostante ciò, durante l’autunno e l’inverno di quell’anno si sono mantenute sacche di protesta focalizzate in alcuni quartieri e zone di varie città, soprattutto come reazione dei settori popolari all’aggravarsi della crisi economica, all’aumento della disoccupazione e della fame, in un contesto di insufficiente aiuto statale ai gruppi più colpiti da questa nuova disgrazia. All’inizio della primavera, quando la pandemia stava parzialmente retrocedendo e con la prospettiva più vicina al plebiscito del 25 ottobre che avrebbe messo a punto l’itinerario costituente, le mobilitazioni sociali si sono un po’ riprese, soprattutto in chiave politica, vista l’imminenza di questa consultazione.

Il 25 ottobre è stato, allo stesso tempo, un’esplosione di gioia popolare per la schiacciante vittoria delle opzioni Approvo e Convenzione Costituzionale (la meno restrittiva delle due in gioco), una tappa importante sulla strada dell’istituzionalizzazione del conflitto e del processo costituente, come previsto nell’Accordo del 15 novembre.

Gli sforzi, le energie e le risorse di tanti attivisti, assemblee, consigli e organizzazioni sociali, riattivate grazie al nuovo contesto, si sono concentrate principalmente sulla campagna per l’elezione dei delegati alla Convenzione Costituzionale. Vista con la prospettiva del tempo trascorso da allora, possiamo notare che, in quell’anno, dalla metà di marzo, la ribellione popolare si è andata estinguendo a seguito dell’Accordo del 15 novembre, per le conseguenze della pandemia, la sua stessa frammentazione e i limiti politici la cui controparte è stata l’implementazione del processo costituente regolato e controllato dai poteri costituiti.

D: Come descriverebbe la situazione attuale all’interno del movimento popolare?

R: A quanto affermato nella mia prima risposta, bisognerebbe aggiungere che il momento attuale potrebbe essere considerato una fase di post-ribellione, con tutte le ambiguità e le incertezze che una definizione di questo tipo comporta. Post-ribellione, perché sebbene la ribellione sia finita da abbastanza tempo, molti dei suoi elementi soggettivi – l’ottobrismo – continuano ad essere presenti nell’immaginario, nei desideri e nelle forme di espressione politica di importanti settori della popolazione.

Sebbene vi siano proteste e mobilitazioni per questioni specifiche – libertà per i prigionieri della rivolta, rivendicazioni economiche e sociali di vario genere – queste non fanno parte di una ribellione popolare. A dire il vero, lo scenario attuale in termini di mobilitazioni sociali è più simile a quello esistente prima di ottobre 2019 che a quello sviluppatosi da quel mese fino a marzo 2020.

Ai fattori suddetti si aggiungono le numerose elezioni dell’ultimo anno (consiglieri convenzionali, governatori, comunali, primarie, parlamentari, regionali e presidenziali) che hanno contribuito alla “normalizzazione” e istituzionalizzazione dei conflitti. In questo senso, nonostante la drammaticità acquisita, l’elezione presidenziale del 2021 non ha apportato elementi che alterassero di molto questa caratterizzazione perché la ribellione popolare non ha avuto la capacità di esprimere una propria alternativa, che le avrebbe consentito di essere presente autonomamente in questa tornata elettorale.

A livello di proiezione verso le istituzioni statali, sul conto dell’ottobrismo si può annotare solo il notevole risultato ottenuto da Fabiola Campillai al senato di Santiago. Sebbene non sia possibile prevedere il corso delle mobilitazioni popolari, è certo che quelle che si svolgano nei tempi che stanno arrivando non possono essere considerate come parte della ribellione di ottobre, ma piuttosto come parte di un nuovo contesto che, intuisco, proseguirà oltre il plebiscito di uscita del processo costituente in corso controllato dalle forze politiche dell’Accordo per la Pace Sociale e della nuova Costituzione.

D: Quali sono i vantaggi e gli svantaggi della mancanza di strutture formali e di leader della ribellione popolare?

R: È evidente che in un primo momento – tra il 18 ottobre e i primi giorni di novembre 2019 – la mancanza di strutture formali e di leader nazionali è stato un fattore che ha impedito allo Stato di porre fine al movimento, poiché nessun intervento repressivo era in grado di smantellare i numerosi e sparsi la focolai di ribellione. Non c’era uno “stato maggiore” il cui annientamento potesse fermare le mobilitazioni.

Tuttavia, dopo due o tre settimane, le sue debolezze sono emerse perché, nonostante l’effimero tentativo di creare una direzione o un coordinamento centralizzato -Unità Sociale-, la ribellione non è riuscita a dotarsi di un’unità politica di base e non ha avuto la capacità di rispondere alle astuta manovra dell’Accordo del 15 novembre. Da allora, la mancanza di una solida articolazione tra le componenti principali di un movimento molto eterogeneo e disperso si è fatta sentita crudelmente.

Coloro che affermavano di rappresentare politicamente la ribellione popolare, erano divisi su cosa fare nei confronti del processo costituente regolamentato dal Parlamento; alcuni hanno scelto di partecipare, altri di boicottarlo o di astenersi. Inoltre, chi ha deciso di partecipare per travolgerlo, lo ha fatto in maniera dispersa, formando liste e presentando candidature in competizione tra loro.

http://elirreverente.cl/sergio-grez-el-problema-no-es-como-el-pueblo-apoyara-al-gobierno-de-boric-sino-como-boric-apoyara-las-luchas-del-pueblo-y-dara-satisfaccion-a-sus-demandas/

Di Sergio Grez su Contropiano abbiamo già pubblicato:

Una vittoria di Boric sarà solo un sollievo momentaneo

Cile. Elezioni presidenziali e processo costituente

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