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Francia. I grattacapi di Macron per il prossimo governo

Il secondo turno delle elezioni legislative di domenica 19 giugno ha restituito una composizione tripolare della Assemblée Nationale, in cui la coalizione Ensemble! a sostegno del presidente Macron non avrà i numeri necessari per garantire la maggioranza di governo – 245 deputati contro la soglia della maggioranza assoluta di 289.

Ieri mattina la prima ministra Élisabeth Borne ha presentato le sue dimissioni – un atto formale di fronte alla constatazione dei risultati definitivi – al presidente Macron, il quale le ha rifiutate “affinché il governo resti in carica”.

Continuano a moltiplicarsi i grattacapi per Emmanuel Macron, costretto a fare i conti con un netto calo dei consensi e con una fragilità di governo che rischia di insidiare l’avanzamento della sua agenda neoliberista.

Al di là di un’astensione dalle urne ai massimi storici nella Quinta Repubblica, al ballottaggio delle presidenziali Macron ha ottenuto il 58,5% dei voti (il 38,5% degli aventi diritto), ovvero 2 milioni di voti in meno rispetto al 2017.

Le elezioni legislative hanno rappresentato un’ulteriore batosta tanto per il suo “partito”, con La République en marche – che cambierà nome in Renaissance – che ha conquistato solo 170 seggi (138 in meno rispetto a cinque anni fa), quanto per alcune figure di spicco durante il suo primo mandato.

Infatti, l’ex ministro dell’Educazione Nazionale, Jean-Michel Blanquer, era stato eliminato già al primo turno, mentre Christophe Castaner (l’ex ministro degli Interni che “ordinava” di sparare LBD e flashball sui Gilets Jaunes) è stato battuto al secondo turno dal candidato della NUPES.

Tre ministre dell’attuale governo, in carica da appena un mese, hanno perso il ballottaggio alle legislative: la segretaria di Stato per il Mare Justin Benin, la ministra della Salute Brigitte Bourguignon e la ministra della transizione ecologica Amélie de Montchalin. La stessa prima ministra Élisabeth Borne è riuscita a spuntarla per un soffio nella 6° circoscrizione di Calvados, davanti al candidato della NUPES, con appena il 52,3% dei voti espressi.

La prima ministra dovrà tenere ad inizio luglio il suo discorso di politica generale alla Assemblée Nationale, in cui presenterà i principali orientamenti del suo programma di governo e al termine del quale potrebbe chiedere (ma non è obbligatorio) un voto di fiducia da parte dei deputati.

Jean-Luc Mélenchon ha fatto appello a Élisabeth Borne a non sottrarsi alla fiducia della Assemblée Nationale; in caso contrario, La France insoumise è intenzionata a presentare una mozione di sfiducia, come annunciato dal deputato rieletto Eric Coquerel.

Macron ha iniziato ieri la serie di incontri con i rappresentanti di tutte le forze politiche che intendono formare un gruppo parlamentare per trovare delle “soluzioni costruttive possibili, per l’interesse superiore della Nazione e al servizio dei francesi”.

Nei giorni scorsi, Macron aveva già dovuto prendere atto dell’indisponibilità da parte della destra liberista de Les Républicains di partecipare ad un accordo per garantire, attraverso i suoi 60 deputati, i numeri necessari per una maggioranza di governo.

Le forze politiche che hanno partecipato alla coalizione a sostegno del presidente Macron, ovvero MoDem e Horizons, hanno fatto un invito “ad avvicinarsi quanto più possibile per l’unità nazionale”.

Dal canto loro, alcuni membri del gruppo LREM non escludono di guardare al Rassemblement National (RN), entrato in forza con 89 deputati, per ottenere i voti necessari: dopo le dichiarazioni del ministro della Giustizia Eric Dupond-Moretti, che non ha escluso di poter “andare avanti insieme” per far approvare diversi progetti di legge, la deputata Yaël Braun-Pivet ha affermato che “se avremo bisogno di una maggioranza, andremo a prendere i voti del Rassemblement National”.

Marine Le Pen è già andata all’attacco, chiedendo che vengano affidati al suo partito la vice-presidenza della Assemblée Nationale e la presidenza della Commissione Finanze. Dopo la retorica del voto utile per “faire barrage” all’estrema destra lepenista, il presidente Macron, già artefice della sua progressione elettorale, rischia di farne un interlocutore stabile e un “alleato alla bisogna”.

Dall’altro campo dell’Emiciclo, Jean-Luc Mélenchon ha proposto che la NUPES formi un gruppo parlamentare unitario, in cui ogni forza possa conservare ovviamente la propria delegazione distinta dalle altre. Tale progetto è stato cassato immediatamente dai suoi alleati – il Partito Socialista, il Partito Comunista e i Verdi – mentre l’ipotesi di una mozione di sfiducia nei confronti di Élisabeth Borne “non rappresenta una posizione comune della NUPES”, ha precisato il segretario del PS Olivier Faure.

Con queste consultazioni, Emmanuel Macron intende anche occupare il terreno politico e mediatico, prima di una serie di impegni di primo piano a livello internazionale: il Consiglio europeo a Bruxelles in cui si discuterà della raccomandazione arrivata dalla Commissione di attribuire all’Ucraina e alla Moldova lo status di paesi candidati all’adesione all’Unione Europea, poi il vertice del G7 in Germania e a fine giugno quello della NATO a Madrid con l’ipotesi di un suo ulteriore allargamento alla Finlandia e alla Svezia e l’opposizione della Turchia.

In questo scenario di guerra e di crisi strutturale dell’Occidente, la ricerca della governance a tutti i costi è pronta ad intercettare e cooptare l’estrema destra nazionalista e reazionaria, che non ha mai rappresentato una minaccia concreta alla stabilità di questo sistema politico-economico e da tempo ha sposato un approccio di compatibilità nella forma di una “opposizione responsabile”.

La peste e il colera” vanno a braccetto sulle questioni di fondo, al di là delle scaramucce di facciata e della rincorsa a chi sia più islamofobo o securitario.

Nel cuore dell’Unione Europea, si mette a nudo un sistema putrido che, di fronte ad una profonda crisi politica e di legittimità, è quantomai pronto a mettere in campo “whatever it takes” pur di salvaguardare i propri interessi strategici ed impedire l’affermarsi di una dimensione politica radicale, alternativa e – ci auguriamo – di rottura.

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