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L’opposizione in Russia: dalla dissidenza alla insolvenza (fiscale)

Nei primi anni ’70 i TG nostrani si distinguevano, oltre che per le preghiere di Padre Mariano, anche per i quotidiani aggiornamenti dall’Urss sugli scrittori dissidenti Sinjavskij e Daniel.

La RAI contribuiva a denunciare gli attentati della dittatura sovietica – per petitio principii, la forma sovietica di stato non poteva che essere una dittatura – ai diritti umani dei dissidenti.

E poi vennero Andrej Sakharov e sua moglie Elena Bonner. Sempre e comunque singoli: il dissenso, negli spot occidentali, esclude ogni forma di massa e contenuto di classe, puntando sugli aclassisti “diritti dell’uomo”.

Non meraviglia che oggi, di fronte alla condanna (una tirata di orecchie) di un ladro di miliardi di dollari, come è stato Aleksej Navalnyj, si parli di “ritorno alla dittatura sovietica”; l’importante è che quel truffatore, come insegna il magnate Mikhail Khodorkovskij, gridi al “diritto di parola negato all’opposizione”.

Così, al posto degli intellettuali Sinjavskij e Amalrik, nell’epoca del web c’è il blogger-imprenditore Aleksej Navalnyj.

Se prima era Solgenitsin, a dire che il cancro partiva da Lenin, negli anni 2000 furono i magnati Berezovskij, Gusinskij, Khodorkovskij, a chiarire che, dopo la parentesi democratica occidentale degli anni ’90, si tornava a opprimere il guadagno.

Poco importa che si trattasse di lotte per assicurare ad alcuni, a danno di altri, la concentrazione economico-politica, e se si taceva sui loro legami coi petrolieri USA, si scriveva della repressione delle ONG, senza dire che erano quasi sempre finanziate da magnati e petrolieri.

Solo singole “forze sane” lottano contro il totalitarismo o la corruzione. Peccato che quelle forze sane finiscano per cadere in appropriazioni di fondi e giochi monopolistici. Radio Svoboda ne è sempre stata l’altoparlante e non dava certo voce a chi parlava di “PCUS revisionista” o a chi, negli anni 2000, dava vita ai sindacati alternativi o al Fronte della Sinistra.

Che una quindicina di anni fa la Russia adottasse un codice del lavoro dettato dal FMI, sparando sui collettivi operai, non faceva audience. Crollata la “dittatura sovietica”, ora solo un cronista fantasioso potrebbe scrivere di “Putin comunista” o lo si incorona come “zar”.

Fissata l’uguaglianza comunismo-dittatura, tale aborrito regime non avrebbe potuto attecchire che in Russia, paese iperboreo che transita dall’autocrazia al totalitarismo e approda al dispotismo e contro cui lotta l’individuo liberale, portatore degli interessi comuni di una classe agiata e preoccupato dei propri affari personali, forte dei principi della democrazia senza classi e “atlantica e occidentale”.

Principi che denunciano “la brutalità degli agenti putiniani”. Bene se le Femen offrono una performance nella cattedrale di Mosca, ma poi censurano la stessa esibizione come “inutile eccesso” se la scenografia si sposta in Vaticano.

E così, per sviare “il malcontento della popolazione dalla burocrazia corrotta”, lo si dirotta contro i “sostenitori del diritto, della democrazia e della europeizzazione”, come scrive Lev Gudkov su Pro et Contra, finanziata dall’americana Carnegie.

Mentre merita solo la qualifica di “conservatore” chi protesta contro le privatizzazioni nei servizi sociali, mai fermatesi dagli anni ’90.

Ma chi sono gli oppositori in Russia? Mancano tutti di un riferimento ideologico che non sia l’interesse personale? Oppure gli onori delle cronache sono solo per gli oligarchi in lotta per spartirsi quanto apparteneva a “tutto il popolo”?

Archiviata come “vetero-ortodossia folkloristica” la parentesi  di Nina Andreevna, in epoca gorbacëviana, i primi anni ’90 videro un fiorire di opposti raggruppamenti.

A fronte di un’infinità di piccole formazioni che, accanto al PC di Ghennadij Zjuganov, si richiamavano all’esperienza sovietica o di qualche intellettuale marxista (ne è esempio Aleksandr Buzgalin: uno dei più giovani membri del CC del PCUS nel 1990; ora direttore di “Alternative”), presero corpo orientamenti nazionalistici (Zhirinovskij) o fascisti (Barkashov).

Obiettivo dei primi era “ri-costruire” il socialismo. Gli slogan dei secondi erano “la Russia è dei russi”, “fuori gli ebrei e i caucasici”.

Oggi, i liberal-democratici di Vladimir Zhirinovskij e il PC russo sono le uniche due formazioni di rilievo sorte dopo la fine dell’Urss a essere ancora in vita.

Quanto a opposizione: se Zhirinovskij è ospite quotidiano dei talk show filogovernativi, il PC di Ghennadij Zjuganov condanna sì la politica liberale del premier Medvedev, ma, salvo pochi appunti, appoggia la politica di Vladimir Putin. Tanto che anche oggi, come negli anni ’90, non poche formazioni si pongono in alternativa alla linea di Zjuganov, pur con obiettivi non ben definiti.

Cosa ha spinto, ad esempio, l’ex leader di Russia Lavoratrice (una delle più rumorose avanguardie degli anni ’90) Viktor Anpilov, nelle braccia della liberale “L’altra Russia” dell’ex premier Mikhail Kasjanov, sponsorizzata dall’ambasciata inglese?

Quali forze rappresenta il deputato del PC Ilja Ponomarev (transfuga dalla neotrotskista Unione interregionale dei comunisti, ufficiosamente interna al PC russo in cui figurano nomi quali l’attivista sindacale Boris Kagarlinskij, accanto all’ex numero due del PCUS, il 95enne Egor Ligacëv), coordinatore del fondo “La Russia dopo Putin” a braccetto con l’ex magnate Mikhail Khodorkovskij? Cosa esprimono Ponomarëv e il suo compagno Aleksej Sakhnin (il primo emigrato negli USA, il secondo in Svezia), allorché si incolpano a vicenda di accusare di fascismo la junta ucraina?

E cosa ci fa l’ex leader del “liberalcomunista” Partito del Lavoro Oleg Shein, nel Coordinamento delle opposizioni, a braccetto della tele-oppositrice Ksenija Sobchak (figlia di Anatoli Sobchak), compagna di opposizione di Aleksej Navalnyj?

Quali forze mobilita l’opposizione liberale di Partito repubblicano, Solidarnost, Fronte civile, Libertà popolare, dei Navalnyj, Kasparov, Jashin, da cui si divisero in fretta, dopo un’iniziale adesione durante le proteste del 2012 di Piazza Bolotnaja, forze di sinistra come i nazional-bolscevichi di Eduard Limonov?

Quali sono gli obiettivi del Partito repubblicano di Kasjanov e del defunto Nemtsov, che, insieme a “Jabloko” di Grigorij Javlinskij (uno dei padri delle privatizzazioni eltsiniane) fa parte della “Alleanza di liberali e democratici per l’Europa”, che nel novembre scorso si esprimeva “per le sanzioni e per l’Europa”?

Se non ha avuto rilievo la notizia della comunista (ha migrato dal PC di Zjuganov al Fronte di sinistra, al “Fronterosso”) Darja Poljudova, arrestata con l’accusa di fomentare il separatismo nel Kuban, sembra che i media occidentali qualifichino oggi di dissidenza nella Russia di Putin solo l’opposizione liberale e altra non ne esista.

Secondo un’indagine condotta mesi fa dal Centro Levada per conto del PC, la percentuale di persone che pensano esista un’opposizione in Russia sarebbe scesa dal 66% di due anni fa all’attuale 50%. Se nel 2012 il 72% vedeva l’opposizione quale elemento sociale necessario, oggi la percentuale è del 57% e l’opposizione del tipo  Navalnyj “viene interpretata come distruttiva, portatrice di instabilità”.

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2 Commenti


  • Mauro

    Un vero e proprio pollaio…


  • Sergio

    …acc, che caos..

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