Sarà pieno di amici invisibili, avrà difficoltà a seguire il gobbo nei discorsi ufficiali, potrà dimenticarsi di aver stretto una mano tre secondi prima, ma a dispetto della sua età e delle sue ormai evidenti precarie condizioni mentali, Biden ha ancora una gran voglia di menare le mani.
Ce l’ha da sempre questa voglia. Fu lui a persuadere Bill Clinton a bombardare Belgrado facendo coppia con John McCain nella Kosovo Revolution del 1999. Fu lui a spingere Bush ad invadere l’Afghanistan nel 2001 e l’Iraq nel 2002. Eufemisticamente definito un falco dai media, è in realtà un guerrafondaio, con centinaia di migliaia di civili sulla coscienza.
Ma un guerrafondaio conclamato. All’indomani dell’invasione dell’Ucraina, quando la logica detterebbe un abbassamento dei toni, induce cristiani e musulmani a pregare in coro per un immediato ritorno di Donald Trump, definendo Putin «criminale» e «macellaio».
A vederlo così può sembrare un vecchietto buontempone, ma può spingere il pulsante del countdown per il lancio dei missili nucleari puntati sulla Russia.
Ma può farlo così, a suo piacimento? Che poteri ha questo Biden?
Gli Stati Uniti sono una repubblica presidenziale, dove la volontà del presidente, capo assoluto dell’esecutivo, spesso prevale sul Congresso, potendo esercitare il veto su qualsiasi legge che non sia approvata con una maggioranza di almeno i 2/3. Ha il comando delle forze armate, ma effettivo, non quello formale di Mattarella o di Carlo III.
Tuttavia, è il rapporto che ha con il Congresso nel valutare l’opzione bellica il punto destinato a suscitare non poche apprensioni. Ufficialmente, la vetusta Costituzione americana attribuisce solo al Congresso il potere di «dichiarare guerra», dove per guerra va inteso qualsiasi dislocamento di truppe con intenti offensivi.
Ma la Storia si è incaricata di dimostrare come in realtà, già a partire dal dopoguerra, questo potere esclusivo del Congresso sia rimasto sulla carta. Conflitti come Corea, Vietnam, Jugoslavia, Afghanistan, Iraq, tanto per citare i più impegnativi e tralasciando le decine di quelli minori, sono stati dalla presidenza USA avviati e condotti fottendosene altamente del Congresso.
Nel senso che il Congresso non si è nemmeno espresso, anche se vige una norma che gli consente, entro 60 giorni dall’inizio delle ostilità, di ordinare al presidente belligerante l’immediata cessazione delle operazioni. Insomma, tutte guerre portate avanti con il consenso implicito, diciamo così, del Congresso.
Oggi ci troviamo in una situazione inedita. Il rischio di un confronto armato diretto con la Russia è altissimo. Ma se, come appare molto probabile, le elezioni midterm dell’otto novembre dovessero consacrare il successo repubblicano, allora per Biden si metterebbe male, e bene per tutti noi.
I deputati repubblicani, di cui una larga maggioranza è addirittura trumpiana, imporrebbero a Biden di interrompere qualsiasi operazione militare contro la Russia.
Ed è certamente a questo che mira Putin, e non solo lui. La sua recente proposta di tavolo per la modifica del trattato sulle armi nucleari, rivolta ad un Biden con lo sguardo incollato sul calendario della stanza ovale, ne è un chiaro esempio.
Per Biden un attacco armato contro una Russia che lo invita bonariamente ad un confronto dalla indiscutibile utilità per il mondo intero, sarebbe problematico. Mentre il tempo scorre.
Problematico, ma non impossibile. Il sabotaggio del Nord Stream, attribuito paradossalmente alla Russia, che insieme alla Germania ci ha soltanto rimesso, non promette nulla di buono.
Perché ci ha svelato una realtà governata da individui senza scrupoli, del tutto privi di etica, che non si fermano davanti a nulla, disposti a lasciare un intero continente senza gas pur di provocare e di raggiungere i propri obiettivi. Sto parlando dei mandanti, naturalmente.
Insomma, la miccia è accesa. Il countdown è iniziato. Bisogna soltanto impedire che il contatto con le cariche esplosive avvenga prima dell’otto novembre.
* da Facebook
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