L’impresa tedesca Griesemann Gruppe, tra le altre attività, ha in gestione manutenzione e riparazione del Nord Stream 1 e 2. Ora, l’economista tedesco-americano Max Otte scrive su twitter che tre settimane prima dell’attacco al gasdotto, «il proprietario e capo dell’impresa, Peter Griesemann e la sua famiglia sono morti in un incidente aereo. I media tedeschi tacciono».
Max Otte non azzarda affermazione dirette. Si limita a constatare lo strano sincronismo tra incidente aereo e attacco alle due linee del gasdotto. Il 4 settembre scorso si erano persi i contatti radio col Cessna 551 con a bordo Peter, Juliane e Lisa Griesemann, insieme a Paul Föllmer, fidanzato di Lisa, mentre l’areo stava sorvolando il mar Baltico, al largo della lettone Ventspils.
Il sito del Griesemann Gruppe riporta tuttora la notizia in apertura di pagina: «È con profondo dolore e grande sgomento che dobbiamo accomiatarci dal nostro fondatore e a lungo amministratore delegato Peter Griesemann, da Juliane Griesemann, Lisa Griesemann e Paul Föllmer. A causa dell’enigmatico e tragico incidente aereo del 4 settembre, le autorità non assicurano che i passeggeri possano esser trovati vivi».
Ancora Max Otte su twitter scrive: «L’attacco terroristico al Nord stream II è un evento di importanza geopolitica maggiore del 11 settembre. Se l’attacco al World Trade Center aveva cambiato il clima politico interno e aveva inaugurato la fase di sconvolgimento geopolitico, ora ci avviciniamo al finale».
Ora, stando alla Tass, i tempi per ispezionare i danni subiti dalle due linee del gasdotto potrebbero essere abbastanza lunghi, a causa delle autorizzazioni (di navigazione, ancoraggio, immersione, ecc.) delle diverse autorità marittime nazionali; ma, a differenza di quanto ipotizzato in un primo momento, tecnicamente il Nord Stream potrebbe poter essere riparato. Un’affermazione in tal senso è venuta domenica scorsa dal vice Primo ministro ed ex Ministro dell’energia russo Aleksandr Novak, mentre sembra che dal 3 ottobre la pressione in entrambe le linee del gasdotto si sia stabilizzata.
In ogni caso, la tedesca heise.de scrive che, con la crisi energetica, l’industria chimica tedesca «sta con le spalle al muro».
Il futuro della raffineria PCK, ad esempio, è incerto; il governo federale «latita o si muove a casaccio» e a Schwedt sull’Oder (nel Brandeburgo, sede della PCK Raffinerie GmbH, una delle maggiori raffinerie tedesche, controllata al 54,17% da Rosneft Deutschland, al 37,5% da Shell Deutschland e al 8,33% da Eni Deutschland. Ha una capacità di lavorazione pari a 12 milioni di tonnellate di greggio).
Si moltiplicano le proteste in piazza. Manifestazioni con migliaia di persone si stanno ripetendo un po’ in tutta la Germania, ma soprattutto nella parte orientale del paese.
Anche la produzione del cosiddetto parco chimico, nell’area attorno a Leuna, a ovest di Lipsia, è quasi dimezzata, per via del prezzo dell’energia. E problemi ancora maggiori si attendono per gennaio: la PCK potrà essere rifornita dal porto di Rostock appena per il 50-60% del fabbisogno.
Berlino contava sul porto di Danzica, ma Varsavia risponde picche, finché la raffineria rimarrà sotto controllo della russa Rosneft e ne esige addirittura l’esproprio. In alternativa, il vicepresidente della CDU/CSU-Bundestagsfraktion, Sepp Müller, propone che il governo federale realizzi rapidamente un secondo oleodotto da Rostock a Schwedt.
Le associazioni imprenditoriali di Berlino-Brandeburgo spingono perché la PCK rimanga attiva, continuando a rifornirsi di petrolio russo: una sua chiusura avrebbe conseguenze immediate sulle forniture di carburante a Berlino e all’intero Brandeburgo, con ripercussioni sui settori edile e dei lavori stradali, dato che tutto il bitume per l’est tedesco arriva da Schwedt.
D’altra parte, le pretese polacche verso la Germania non si limitano alle raffinerie: già alla vigilia della visita di Annalena Baerbock a Varsavia, il suo omologo polacco Zbigniew Rau ha firmato una nota in cui, per l’ennesima volta, la Polonia richiede alla Germania un risarcimento di 1,3 trilioni di euro per i danni subiti durante la Seconda guerra mondiale. Finora, le pretese di Varsavia hanno sempre ricevuto un netto rifiuto tedesco; ma, con la “verde” Baerbock, non si possono escludere sorprese.
Tornando alle prevedibili conseguenze della strategia delineata dalla StratFor nel 2015, lo studio dell’agenzia russa Jakov e Partner “Il bilancio energetico europeo nella nuova realtà”, ripreso da Interfax, calcola che con ogni probabilità la spesa pubblica in Europa per mitigare la crisi energetica debba aggirarsi su 1-1,6 trilioni di euro, con conseguente crescita del disavanzo di bilancio fino a 2 trilioni di euro annui.
In caso contrario, la UE subirà un calo del PIL dal 6,5 al 11,5% (0,9-1,7 trilioni) e una prolungata depressione, con riduzione di produzione e esportazioni e ricadute sulle industrie collegate. Tale crisi, scrivono Jakov e Partner, «rischia di causare un aumento di fallimenti, con effetto domino nel settore finanziario, un calo della domanda e riduzione dei piani di investimento».
Le industrie a più alto consumo di energia potrebbero ridurre la produzione dal 10 al 60% rispetto al 2021, con inevitabili tagli di posti di lavoro: «nel settore alimentare, le riduzioni possono interessare 1,4 milioni di lavoratori, nell’industria di cellulosa e carta 800.000».
Lo studio nota che per soddisfare la domanda di gas per il 2022, i paesi europei dovrebbero mantenere le forniture dalla Russia, oppure «tagliarne il consumo di ulteriori 7-12 miliardi mc, possibile solo con l’arresto totale o parziale di un certo numero di industrie. Per il 2023, la rinuncia al gas russo significherà un deficit di 40-60 miliardi di mc, paragonabile al consumo annuo di Francia e Polonia insieme, o a quello di industrie quali fertilizzanti, macchinari, petrolchimica, metallurgia».
Ma, ligi agli ordini d’oltreoceano, i paesi UE votano l’ottavo pacchetto di sanzioni contro la Russia, compresa l’imposizione di un tetto massimo al prezzo del petrolio russo, mentre i paesi OPEC, riuniti a Vienna, programmano una riduzione di 2 milioni di barili al giorno a partire da novembre.
Secondo RT, vari paesi UE hanno espresso preoccupazione per le misure di Bruxelles, soprattutto per il prezzo del petrolio: allarme in particolare a Malta, Grecia e Cipro, le cui flotte sono impegnate nel trasporto di petrolio russo.
Ora, a cavallo tra la fondazione (il 7 ottobre 1949) e la data ufficiale dell’annessione alla RFT (il 3 ottobre 1990), un cittadino della ex Repubblica democratica tedesca, Markus Gelau, è tornato in Turingia, nella cittadina della sua infanzia – Weimar – e non ha trovato la settecentesca fabbrica di porcellane che aveva resistito a guerre, crisi, sconvolgimenti, per essere infine privatizzata attraverso la famigerata Treuhandanstalt, venduta, mandata in rovina e infine chiusa, pochi anni fa.
Alla “riunificazione”, ricorda Gelau con sarcasmo, «improvvisamente non abitavo più nella “straße der jungen pioniere” ma nella “christian-speck-straße”; il fatto che la ridenominazione fosse dovuta meno alla memoria del fondatore della fabbrica di porcellane e molto più alla cancellazione della memoria della DDR è ovviamente pura speculazione».
Dopo la cosiddetta “svolta”, una società della RFT acquistò per pochi centesimi la storica “Weimar Porzellana”, incassò in modo fraudolento sussidi governativi e nel 1995 dichiarò bancarotta. Per le centinaia di lavoratori della WP iniziò un periodo di apprensione, incertezza e disoccupazione.
Nel 2018 si è conclusa definitivamente la produzione della fabbrica di porcellane. Oggi, scrive Gelau, il luogo sembra «un’opprimente città fantasma… da paese pulsante all’epoca della DDR, con policlinico, i più vari negozi, sportelli bancari, ufficio postale, allevamento di polli, un essiccatoio, dove si producevano pellet e mangimi per l’industria zootecnica, una fabbrica di birra, un mulino… ora, più nulla.
C’erano una scuola professionale e una specialistica, asili nido e politecnico, imprese di costruzione, un caseificio… la nuova area di sviluppo in cui ho trascorso la mia infanzia è ora considerata un ghetto ad alto tasso di criminalità, la maggior parte degli abitanti sopravvive con Hartz-IV… il negozio di alimentari della mia infanzia era stato chiuso da tempo e al suo posto aperto un discount, che però ora non esiste più. Ora, lì, ci sono i volontari di Die Tafel (un’organizzazione caricatevole)».
È forse questo il destino segnato a Washington per tutta la UE e l’industria europea?
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Sergio
Domanda legittima!
alé
per quanto ho potuto sondare, in rete c´è solo una smentita dei rapporti tra Griesemann e Nord Stream AG. Per favore pubblicare fonte di “L’impresa tedesca Griesemann Gruppe, tra le altre attività, ha in gestione manutenzione e riparazione del Nord Stream 1 e 2.”
Gaspare
Sono troppo sconfortato per poter esprimere il mio completo rammarico. Ma più di tutto mi pesa il fatto che nell’inizio di questo default economico di cui tutti gli Stati sono consapevoli, non riescono a correggere questo vertice dell’UE che si è genuflesso agli ordini dell’USA .