Che siano i generali, ovviamente in pensione (non devono più rispondere a ordini, ma mostrare quel che hanno imparato) ad esercitare di questi tempi la più stringente critica del bellicismo, è un apparente paradosso che rivela dove sta la contraddizione. Questa analisi di Fabio Mini, nello sforzo di restare asettica e “imparziale”, mette al lavoro le leggi della guerra e spiega perché non è per questa via che arriverà una soluzione.
Buona lettura.
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Dei quattro fondamentali della guerra (spazio, tempo, forze e volontà), i prevalenti in questa fase sono il tempo e la volontà, identificata con il morale, la motivazione. Le forze sono scarse ed esauste su entrambi i fronti ma quelle poche di Kiev ad est del Dniepr si muovono in fretta mentre quelle russe attestate in difesa possono contrastarle attivamente solo con il fuoco.
Le forze di Kiev possono operare in velocità (rapporto spazio/tempo) perché sono poche e lo spazio è praticamente vuoto. I territori sottratti ai russi con le incursioni sulla prima linea o lasciati dai russi sono spazi pieni di detriti, distruzioni, cadaveri e terribilmente vuoti della cosa più importante: la popolazione, sulla quale si basa il sostentamento materiale e morale di una forza militare lontana dalle fonti di alimentazione.
Di qui l’importanza del tempo nelle sue due accezioni (dimensione e meteorologico). Gli ucraini devono fare in fretta a sfruttare i successi anche sul nulla perché fra un mese potrebbero non essere più in grado di farlo. Non solo il tempo meteorologico non consentirà di muoversi e porrà grossi problemi di rifornimento, ma lo stesso aiuto americano ed europeo potrebbe essere inutilizzabile.
I russi devono invece guadagnare tempo anche cedendo spazio, ma soprattutto mantenendo le posizioni e le vie di rifornimento che consentiranno di mantenere le posizioni.
Devono scegliere dove impostare la difesa che consenta di riprendere l’attacco non appena le condizioni del tempo lo consentiranno: più aspettano più rischiano di realizzare in ritardo la difesa così come hanno realizzato in ritardo i ripiegamenti dai territori che non avevano mai veramente conquistato e occupato.
Il tempo è un tiranno che non si lascia piegare; né i russi né gli ucraini hanno i mezzi per poterlo controllare con le armi, così come noi europei e gli Usa non possiamo controllarlo con le fantasie, le narrazioni e i trucchi dilatori.
Il tempo, in questo caso, è anche il padrone della volontà. Gli ucraini devono sfruttare i successi anche per motivare la popolazione che fra un mese sentirà sempre più forte gli effetti di una guerra che hanno voluto perché illusi di non dover soffrire.
La politica di Kiev verso la popolazione sarà sempre più dura e sempre meno giustificata. Quella verso l’esterno sarà sempre più legata all’azzardo e all’arroganza, ma le prime crepe di credibilità stanno aprendo gli occhi non solo all’intelligence americana che adesso si sveglia con la virginea rimostranza sul fatto che Kiev abbia “mentito” sulla responsabilità nell’uccisione della Dugina, ma all’intera popolazione europea e non solo per quella menzogna.
Contrariamente alle loro leadership molti europei hanno capito il gioco di Kiev e il vero obiettivo: mettere in ginocchio l’Europa e costringere gli americani alla guerra mondiale.
Per la Russia il tempo è ancora più tiranno: se non presenta un successo o la prospettiva credibile di successo sul campo entro un mese può saltare tutta la leadership che ha voluto questa operazione. La volontà di combattere per l’Ucraina o per il Donbass non è mai stata alta: ora è ai minimi termini ma nel frattempo è sempre più alta la voglia di vendetta contro l’Ucraina e di sfida all’Occidente.
Un cambio di regime non risolverà il problema internazionale ma potrà definire un eventuale nuovo equilibrio di potere interno. E anche questo sarà insufficiente a determinare chi e come vince o perde in Ucraina e in Russia.
Le vie onorevoli di uscita per la Russia e l’Ucraina sono molte, basta saperle vedere e rimuovere i “tumori cerebrali” che impediscono a tutta la comunità internazionale di rendersi conto che non esistono solo l’arroganza e la violenza. Che il “con noi o contro di noi” non è un’alternativa ma un ricatto, che la TINA (there is no alternative) è una menzogna e una stupidità che di fatto squalifica con la politica, la diplomazia, la strategia e tutte le presunte organizzazioni della sicurezza internazionale.
Per quanto riguarda l’Europa e noi italiani l’indeterminatezza è già risolta: abbiamo perso comunque in benessere e serenità. Speriamo di non dover perdere anche le vite di figli e nipoti.
* da Il Fatto Quotidiano 7 ottobre 2022
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Stefano Fatarella
Appare un controsenso, una bestemmia, eppure la lucidità di un generale in pensione brilla per saggezza, razionalità e lucidità di pensiero a confronto con la follia e l’incapacità di un analogo pensiero da parte della nostra classe dirigente.