Il Partito Comunista Cinese sta completando le ultime fasi del suo congresso. Con 96,7 milioni di membri, il PCC è il secondo partito più grande al mondo (il primo è il BJP del premier indiano Modi, che include direttamente al suo interno sindacati e organizzazioni sociali).
Dopo un lungo periodo di relativo indebolimento, la dirigenza di Xi Jinping ha ripoliticizzato la vita interna dell’organizzazione e ha rivitalizzato forme di mobilitazione di massa. Per molti anni, milioni di iscritti al PCC erano stati coinvolti al massimo in qualche attività mensile molto rituale.
La svolta dell’ultimo decennio ha portato a una selezione maggiore tra gli iscritti, che a ogni livello devono svolgere più attività, con più espulsioni. In ogni caso, il congresso del PCC pur coinvolgendo decine di migliaia di persone rimane un evento dell’élite del Partito.
Le tempistiche
Dall’8 al 12 ottobre si è riunita per l’ultima volta la plenaria del Comitato Centrale uscente. Dal 16 al 22 ottobre si terrà il XX Congresso del Partito che eleggerà il nuovo Comitato Centrale, la Commissione Centrale per le Ispezioni Disciplinari ed approverà gli emendamenti alla Costituzione del Partito.
Il giorno dopo, il 23 ottobre, il nuovo Comitato Centrale eleggerà Xi Jinping Segretario Generale per il suo terzo mandato ed eleggerà l’Ufficio Politico nel Comitato Centrale e il Comitato Permanente dentro l’Ufficio Politico.
Le fazioni
Nella pubblicistica occidentale la grande domanda è se possa emergere in questo congresso un contraltare alla figura di Xi Jinping. La risposta in sé è semplice: no, e se anche ci fosse un movimento interno alla dirigenza centrale del PCC in questo senso, non avremmo gli strumenti per capirlo in tempi brevi.
Come ha scritto recentemente Neil Thomas (del gruppo di consulenza Eurasia Group) su The China Story, “quello che sappiamo sono principalmente fatti concreti scevri del contesto umano, la struttura formale delle istituzioni politiche, le persone che detengono le cariche nelle istituzioni, le politiche che queste persone portano avanti in queste istituzioni (…). Le regole interne proibiscono ai membri di discutere le decisioni del Partito o di pubblicizzare le operazioni interne. Quindi sappiamo il cosa, di solito possiamo solo limitarci a speculare sul come e il perché”.
Osservando questi fatti concreti gli osservatori occidentali erano arrivati a distinguere due fazioni. Da una parte la cricca di Shanghai, i tecnocrati che hanno fatto carriera nel campo della finanza e delle riforme economiche all’ombra dell’ex segretario Jiang Zemin.
Dall’altra parte i tuanpai, i quadri che hanno fatto carriera nella Lega della Gioventù Comunista insieme a Hu Jintao, gestendo il potere locale e le grandi imprese di stato.
L’ascesa di Xi Jinping, inizialmente salutato in occidente come “riformista pro mercato” e come una sorta di papa straniero fuori dalle due correnti, ha squassato questo quadro interpretativo.
Sotto la campagna anti-corruzione sono caduti alti papaveri di entrambi i gruppi, e anche qualcuno considerato teoricamente vicino allo stesso Xi, come Dong Hong, segretario della commissione disciplinare presieduta da Wang Qishan, considerato grande alleato di Xi.
La morale è che la revisione dello “stile di lavoro” fatto da Xi Jinping ha reso molto più opache le dinamiche del potere interne al Partito-stato e oggi è difficile stabilire quanto effettivamente dei nuovi ingressi ai massimi livelli del potere significhino un indebolimento o un rafforzamento delle posizioni di Xi e dei suoi alleati.
Negli ultimi anni l’unico personaggio pubblico ad aver tenuto un profilo abbastanza differenziato da quello di Xi è stato il primo ministro Li Keqiang.
Le differenze tra i due sono state sicuramente esagerate per poter costruire articoli di giornale più interessanti, fatto sta che Li è l’ultimo membro riconosciuto dei tuanpai ad aver conservato un posto di primissimo piano e dalle sue tribuni istituzionali non si è mai esposto particolarmente sulle politiche-slogan di Xi, andando spesso a fare da contraltare che sottolinea la necessità di continuare le riforme di mercato e l’apertura all’estero.
Le possibili promozioni
Il Congresso redistribuirà una miriade di posizioni di potere. Lungi da poter capire quale sarà davvero la geografia del potere ai vari livello, si possono tenere aperti gli occhi sul alcune posizioni chiave.
Nella sua guida al XX Congresso Michelangelo Cocco fa dei ritratti dei possibili ingressi nel Comitato Ristretto dell’Ufficio politico. Il XIX Congresso aveva ridotto il numero di componenti da 9 a 7; di questi 7 sono oltre la soglia di pensionamento informale dei 67 anni il primo ministro uscente Li Keqiang, il presidente del comitato permanente dell’Assemblea Nazionale del Popolo Li Zhanshu, Wang Yang – che tra le altre cariche è stato a capo del gruppo di lavoro del Comitato Centrale sul Xinjiang -, Wang Huning da quasi 20 anni a capo del Central Policy Research Office e tra le persone chiave nell’estensione delle Terza Risoluzione sulla storia del PCC.
Secondo Cocco i possibili ingressi sono:
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Hu Chunhua, considerato da molti l’ultimo dei tuanpai, di cui viene sottolineato l’elenco di importantissimi incarichi svolti sotto la dirigenza di Xi, tra cui la campagna per l’eliminazione della povertà assoluta;
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Ding Xuexiang, già segretario personale di Xi quando quest’ultimo è stato segretario del PCC a Shanghai nel 2007, ed è stato chiamato dallo stesso Xi a fare da ufficiale di collegamento tra il Comitato Permanente e il Comitato Centrale;
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Chen Min’er, già vociferato alla vigilia del XIX Congresso come possibile successore di Xi, è l’esempio principale di un membro dell’esercito del Zhejiang, cioè gli ufficiali che hanno cominciato la carriera quando Xi è stato segretario del Zhejiang, tra il 2002 e il 2007. Sia Ding sia Chen svolgono spesso il ruolo di lodatori ufficiali alle politiche-slogan di Xi.
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Li Xi, attualmente segretario del PCC nella provincia del Guangdong, secondo Cocco potrebbe lavorare come “tecnico” per assistere Xi nelle scelte economiche, sulla base dell’esperienza maturata alla guida della provincia più aperta agli scambi con l’estero.
La partita del Comitato Permamente del Partito è intrecciata con quella del governo dello stato. Uno dei nomi più papabili fino a pochi mesi fa è stato Li Qiang, segretario del PCC a Shanghai, rapidamente declassato dopo la gestione disastrosa dei tre mesi di lockdown in città tra marzo e giugno 2022.
Un altro possibile nome potrebbe essere, forzando di molto le regole informali sui limiti d’età, l’attuale vice-premier Liu He soprannominato dalla solita fantasia giornalistica “lo zar dell’economia” per i molti ruoli di responsabilità affidatigli da Xi, spesso oscurando il premier Li Keqiang.
Tra gli ultimi ruoli, quello di gestire lo sviluppo interno dei chip in risposta agli ulteriori restringimenti dei mercati decisi da Biden.
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Giancarlo staffo
Mi permetto di osservare che: l’articolo dedica troppa attenzione a logiche correntizie di scarso inerrsse da tipico partito italico, mentre servirebbe una profonda analisi teorico politica sulla linea del Pcc rispetto alle grandi questioni interne e internazionali, che oggi interessano in. modo fondamentale I comunisti di tutto il mondo
Paolo Beffa
Infatti questo è un articolo giornalistico per dare un minimo di coordinate a chi si troverà a leggere nomi e interpretazioni sulla stampa.
Il lavoro di approfondimento lo portiamo avanti su https://www.retedeicomunisti.net/tag/cina/
giancarlo+staffolani
Sono certo che la Rete dei Comunisti farà approfondimenti adeguati sui Temi del Congresso del PCC. Però la terminologia giornalistica usata nell’articolo (fazioni, gruppi, di potere, opacità…), lascia intendere “giudizi di merito” sulla vita interna del PCC, giudizi che non aiutano la ricerca della complessità Teorico Politica del Partito che si pone come principale alternativa al suprematismo unpolare di Usa -Occidentale.