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187 paesi dicono no al blocco contro Cuba

L’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha votato una risoluzione che chiede la fine del Bloqueo decretato dagli Stati Uniti contro Cuba con l’intento di spingere la popolazione, affamandola, a abbandonare la Rivoluzione Castrista e tornare ad essere, dopo 60 anni di fiera indipendenza, il parco dei divertimenti degli yenkee senza nessun rispetto per la dignità del popolo cubano.

Il Bloqueo cinge d’assedio l’Isola e rappresenta una vera e propria guerra economica, che come tutte le guerre colpisce principalmente i poveri e gli indifesi.

Oggi hanno votato contro l’embargo 187 paesi. L’Ucraina si è astenuta. Solo Usa e Israele si sono espressi con un no. Altre trenta volte le Nazioni Unite hanno votato a stragrande maggioranza analoghe risoluzioni per far cessare l’embargo.

Nel 2022 con un voto di 185 a 2, le uniche due nazioni contrarie furono ancora Israele e Stati Uniti. E si astennero l’Ucraina e il Brasile, all’epoca guidato da Bolsonaro. Il rapporto a sostegno della risoluzione votata oggi spiega che “ai prezzi attuali, i danni accumulati per l’applicazione di questa politica unilaterale di Washington contro l’Isola caraibica ammonta a oltre 159 miliardi di dollari”.

Solo tra marzo 2022 e febbraio 2023 “il blocco ha causato danni a Cuba stimati nell’ordine di 4,9 miliardi di dollari. Ciò implica un impatto di oltre 405 milioni di dollari al mese, oltre 13 milioni di dollari al giorno e più di 555mila dollari ogni ora”.

L’ONU è un’organizzazione internazionale che comprende una serie di Stati membri sovrani. Le risoluzioni dell’ONU sono basate su principi di diritto internazionale, ma non hanno forza esecutiva diretta se non passano nel Consiglio di Sicurezza dell’ONU, dove ci sono cinque membri permanenti con diritto di veto (Cina, Francia, Russia, Regno Unito e Stati Uniti).

Se uno qualsiasi di questi membri vota contro una risoluzione, può impedirne l’adozione. E gli Stati Uniti hanno spesso usato il loro potere di veto per bloccare le risoluzioni contro il Bloqueo a Cuba.

Inoltre l’ONU ha pochi mezzi effettivi per forzare l’attuazione delle risoluzioni. L’organizzazione può appellarsi a sanzioni o all’isolamento diplomatico, ma questi strumenti non sempre sono efficaci.

Le risoluzioni dell’ONU contro il blocco a Cuba rimangono spesso inattuate a causa di una combinazione di politica internazionale, interessi nazionali e meccanismi di governance dell’ONU.

La questione del blocco a Cuba continua a rappresentare il picco delle contraddizioni nelle relazioni internazionali e questo avviene ancora di più oggi, davanti al combinato disposto delle tensioni in atto e della crisi irreversibile del modo di produzione capitalistico, che si configura sempre più nel keynesismo militare e nella guerra; guerra che assume forme ormai sempre più violente, dirette, militari, che si accompagnano alle forme della guerra economica e della guerra commerciale, della guerra monetaria e della guerra finanziaria bisogna mettere invece ben in evidenza come i paesi che fanno forte riferimento al multicentrismo e al pluripolarismo cercano di adeguarsi e rispondere a quelle che sono crisi, non solo loro.

La crisi del Covid l’hanno subita in tutto il mondo. La crisi dell’inflazione è diffusa in tutto il mondo, la crisi del commercio è di tutti i paesi del mondo.

Ma alcune ricadute, per quanto riguarda Cuba, per quanto riguarda il Venezuela, la Siria, per quanto riguarda ovviamente l’Iran e la Palestina, dipendono in realtà dalle sanzioni: ad esempio oltre ai danni della tremenda guerra militare che l’impero sionista ha scatenato contro la Palestina, bisogna aggiungere ovviamente i danni delle sanzioni economiche.

Noi pensiamo che Cuba stia resistendo in una maniera veramente eccezionale. Bisogna ormai mettere bene in evidenza che da decenni è la più grande opposizione al neoliberismo che ha cercato di influenzare tutte le politiche economiche mondiali. Si oppone a questa globalizzazione che si è configurata come una globalizzazione neoliberista e finanziaria.

Cuba si rivela così un perno fondamentale di opposizione politica, attraverso la globalizzazione della solidarietà e della complementarietà, una realtà dell’internazionalismo, come testimonia l’utilizzo in termini solidari dei medici e degli insegnanti cubani dappertutto nel mondo.

Sono tematiche che saranno affrontate al quattordicesimo Congresso dell’Anec, l’associazione degli economisti cubani, cui parteciperanno delegazioni internazionali per confrontarsi sulla globalizzazione e i problemi. Il Congresso si terrà dal 14 al 17 di novembre e vedrà la presenza di una delegazione della nostra Scuola marxista decoloniale di Economia critica antropologica mentre Rita Martufi rappresenterà il CESTES.

Ci saranno economisti dall’America Latina, da tutto il mondo e anche rappresentanti degli organismi economici, della diplomazia internazionale, di dipartimenti economici di banche, e di esponenti politici non solo della sinistra Latino-americana. La posizione cubana anche davanti a questo evento sulla globalizzazione è molto chiara. E risponde alla crisi dell’economia mondiale, che è una crisi irreversibile del modo di produzione capitalistico.

La globalizzazione assume sempre più le vesti di globalizzazione della guerra e delle guerre e di competizione inter-imperialistica.

Il problema è come non penalizzare ulteriormente quello che volgarmente viene chiamato il Terzo mondo, cioè il Sud globale, ovvero come introdurre, nelle dinamiche internazionali e di solidarietà internazionale, una seria prospettiva di opposizione al neoliberismo, all’economia finanziaria e al ruolo della politica di guerra e dell’economia di guerra.

Ma il problema è puntare immediatamente, per quanto riguarda il Sud globale, a riprendere la grande battaglia, che fu del comandante Fidel Castro già del 1988, 89, cioè sull’azzoeramento dell’impagabile debito estero dei paesi cosiddetti in via di sviluppo, perché ovviamente è un cane che si morde la coda, cioè è uno strozzinaggio su questi paesi del Sud globale, perché gli interessi sono talmente alti che limitano e soffocano sempre di più lo sviluppo dell’America Latina, dell’Africa e dell’Asia.

Cuba vive una precaria condizione, anche interna, ma dobbiamo proprio in questi giorni della votazione contro il Bloqueo e le gravissime ricadute del blocco economico sull’autodeterminazione, lo sviluppo, la crescita economica di Cuba.

Quando si parla di crescita lenta, va tenuto conto che ovviamente c’è una ripresa della crescita del turismo con l’entrata di valuta straniera, però questa ritarda i tempi della ripresa, perché dopo la crisi della pandemia, che appunto ha azzerato il turismo, anche la crisi internazionale, la crisi finanziaria ed economica in generale non favorisce Cuba nel potersi risollevare in modo strategico o perlomeno di medio periodo.

Sulla scena e sulle sorti dell’economia ci sono dei segnali di ripresa, dei segnali di ripresa congiunturale, però il dinamismo diplomatico di Cuba sulla scena internazionale, abbiamo visto il presidente Miguel Diaz Canel che ha effettuato negli ultimi mesi molti viaggi a livello internazionale per cercare di far fronte a quella che è la situazione interna dovuta al Bloqueo che però non ha minimamente inciso sulla struttura pubblica della salute e dell’istruzione, che sembrerebbe un miracolo, ma è una scelta politica di fondo del presidente e del governo cubano di mantenerla, ovviamente, ai più alti livelli di difesa del benessere sociale.

Potremmo dire che questa fase buia economica, pur difficile, non può essere equiparata ovviamente al periodo speciale degli anni ’90. Ma possiamo evidenziare che come allora, e più di allora, la resistenza alla crisi economica ha prodotto una serie di modalità di sopravvivenza, dovute anche a volte all’economia informale, dovute anche a dislivelli di vita tra chi può utilizzare di più la valuta estera. Si ferma ad una condizione che appunto è letta all’interno della resistenza dei cubani, la resistenza eroica a questo infame e genocida blocco.

Ci sono ormai forme di liberalizzazione di alcuni mercati, di alcune attività economiche. I prezzi però, ovviamente rimangono a volte troppo alti rispetto a quello che è la media di un salario cubano. La produzione di alcuni beni di prima necessità dà aumenta, ma gli investimenti stranieri ancora non arrivano al livello che si vorrebbe. Ovviamente i rapporti che la grande diplomazia del presidente Miguel Diaz Canel rafforza con la Russia, con la Cina, con l’Iran e con altri paesi dà dei segnali positivi e la struttura economica cubana rispecchia una nuova modalità e una prospettiva di economia mista che forse andrebbe maggiormente incoraggiata in alcuni settori.

La maggiore preoccupazione del governo cubano forse è quella di non provocare alcuno shock sociale con ristrutturazioni produttive accelerate. Da questo deriva lo “stop and go” che secondo me esprime una giusta preoccupazione del governo in molti comparti dell’economia e anche se appaiono dei risultati che possono essere migliorati rappresenta una prova che si sta ponendo su scala generale per quanto riguarda i settori non strategici.

Rimangono pubblici tutti i settori strategici, ma per esempio le attività cosiddette di piccole imprese e famigliari, l’artigianato, l’affitto di piccole attività, eccetera, sono ormai libere professioni, anche in campo artistico, quindi pittori, musica, scrittori.

Queste caratterizzano una transizione cubana a una difesa del socialismo, in maniera inequivocabile, però rendendo più dinamica ovviamente l’economia, rendendo più dinamiche appunto i settori che invece hanno ancora difficoltà.

Non è ovviamente da trascurare il fatto che il problema della transizione mantiene fermo e deciso il percorso centrale del socialismo, che è quello dell’uguaglianza sociale, dell’equivalente , della libertà , della solidarietà , anche al costo di alcuni sacrifici della popolazione, sopportati dalla determinazione rivoluzionaria del popolo e del governo cubani; è e sarà sempre garantito a tutti gli effetti nel modello socialista cubano il percorso di autodeterminazione e sovranità politica ed economica.

La Cuba attuale rivoluzionaria è una Cuba socialista che ha un suo modello ben caratterizzato , una sua centralità internazionale e internazionalista ,una sua ovviamente autodeterminata prospettiva socialista rivoluzionaria, che sa come sempre superare e appunto colmare, quelle che sono alcune normali contraddizioni di ogni processo rivoluzionario, ma superando in maniera egregia le momentanee difficoltà di alcune attività produttive che il blocco invece vorrebbe mantenere e rendere irrisolvibili, il blocco genocida degli Stati Uniti. In maniera incredibile e continua il popolo cubano continua una eroica resistenza antimperialista controllando e superando e distruggendo le infami coercizioni violente degli imperi che vorrebbero invece che accelerassero aggravando la situazione.

Quindi è una situazione in itinere in cui evidenti sono le vittorie rivoluzionarie per diminuire e azzerare quelle che sono delle appunto disparità a livello produttive settoriali, probabilmente, ma anche a livello locale; e quindi incidendo neI processi anche di esportazione, diminuendo la dipendenza dalle importazioni e quindi proteggendo l’economia familiare, locale con la pianificazione anche decentralizzata e anche rafforzando in particolare il settore agroindustriale.

Il problema non è di facile soluzione, ma nella transizione e è garantito il modello socialista e quindi con la grande resistenza del popolo cubano, possiamo dire a gran voce che il socialismo a Cuba è irrinunciabile e irrevocabile.

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