Alle elezioni locali del 18 maggio il partito della sinistra indipendentista e repubblicana Sinn Féin ha conquistato 144 dei 462 comuni, 39 in più della scorsa tornata. La maggioranza relativa delle amministrazioni al voto in Irlanda del Nord è stata ottenuta con un balzo in avanti dei voti del +7.7% rispetto al 2019.
La destra unionista del Democratic Unionist Party è riuscita a mantenersi sul 23,3%, calando di meno di un punto percentuale e riconfermando i suoi 122 comuni. La volontà di approfittare della contesa elettorale locale per risolvere lo stallo iniziato con le scorse elezioni per il Parlamento regionale non è andata a buon fine.
Nel maggio scorso, infatti, il Sinn Féin aveva già ottenuto una storica vittoria all’Assemblea dell’Irlanda del Nord, dopo le dimissioni del primo ministro del DUP Paul Givan. La crisi politica era cominciata per protesta contro il Protocollo sull’Irlanda del Nord che regolamenta le questioni doganali e migratorie dell’area dopo la Brexit.
La vittoria del partito indipendentista ha dato loro il diritto di nominare il nuovo primo ministro, ma il DUP ha boicottato sin dall’inizio la formazione di un governo di coalizione. Per questo il vertice dell’esecutivo che siede a Stormont è ancora vacante e non occupato da Michelle O’Neill, vice-presidente fino al 2022 e numero due del partito repubblicano.
“Queste elezioni sono un positivo endorsement del nostro messaggio sul fatto che lavoratori, famiglie e comunità hanno bisogno di sostegno e che il blocco dell’assemblea ad opera di una sola parte deve cessare” ha detto la O’Neill. Il richiamo alle condizioni sociali di lavoratori e famiglie esprime l’indirizzo politico che la formazione indipendentista ha preso negli ultimi anni.
Il primo obiettivo del Sinn Féin rimane l’unificazione dell’isola, con la legittimità di un referendum in questo senso rafforzata dai recenti risultati elettorali. Ma da tempo la campagna politica del partito si è concentrata su temi sociali come sanità, disoccupazione e carovita, questioni aggravatesi nella crisi che i settori popolari della regione stanno subendo.
Ridurre la situazione nordirlandese alla pur secolare questione irlandese non riesce a restituire la complessità della situazione. La capacità del Sinn Féin di connettere le proprie rivendicazioni storiche con tematiche sociali, con un forte ritorno elettorale, mostra la profondità della crisi del sistema politico britannico, che per decenni si è retto nella zona sul DUP.
Non si può non sottolineare come lo stallo per la formazione dell’esecutivo dell’Irlanda del Nord si è accompagnata alla successione di Boris Johnson a Londra, alla veloce ascesa e caduta di Liz Truss, seguita dall’arrivo a Downing Street di Rishi Sunak. La polarizzazione della politica dell’Irlanda del Nord si va dunque approfondendo, ma questa va letta come un sintomo di sommovimenti più generali di tutto il paese.
La classe politica britannica, così come quella di tanti altri paesi euro-atlantici, deve fare i conti con le contraddizioni di un modello che si è avventurato in guerra, ma che non riesce a dare risposte alle difficoltà della maggioranza della popolazione. Anche in Irlanda del Nord serve un’alternativa, e il Sinn Féin, con questa vittoria, si candida ulteriormente a essere l’ago della bilancia di una significativa riconfigurazione degli equilibri politici.
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