Senza attendere i comunicati ufficiali, cosa si evidenzia maggiormente dal vertice NATO di Vilnius, il trentasettesimo della cosiddetta “alleanza” atlantica? Chi ha perso e chi ha guadagnato dalle decisioni “concordate”?
Dopo l’adesione della Finlandia, ufficializzata lo scorso aprile, ora anche per la Svezia i tempi dovrebbero accorciarsi, con la caduta dell’opposizione turca.
In cambio, Ankara riceve la promessa di ingresso nella UE: una promessa che è difficile valutare quanto sia davvero vantaggiosa per la Turchia, a parte forse l’eliminazione di alcune sanzioni e un maggiore accesso a merci turche sui mercati europei, in cambio però di accresciuti problemi nella cooperazione con Mosca e Pechino, a causa delle sanzioni cui Ankara sarà costretta ad aderire contro Russia e Cina.
Di fatto, il prossimo ingresso della Svezia nella NATO rappresenta un indubbio successo per Washington.
Secondo il politologo Rostislav Išchenko, l’adesione della Svezia potrebbe significare, in caso di conflitto, un totale blocco della flotta russa del Baltico a Kronštadt e Kaliningrad.
Se, prima, la maggior preoccupazione NATO era quella, in caso di conflitto, di una rapida evacuazione dai Paesi baltici, ora gli USA si sono assicurati pieno accesso ai porti sul Baltico, potendo utilizzare anche le piazzeforti terrestri baltiche per attaccare Piter insieme ai finlandesi, o la Bielorussia insieme ai polacchi.
A livello di dichiarazioni, è stato dato ampio spazio alla condanna della partnership russo-cinese: la NATO dichiara che le mosse cinesi costituiscono una minaccia alla propria sicurezza e ai suoi “valori”. In tal modo, il blocco atlantico afferma esplicitamente l’espansione della propria sfera d’azione anche alla regione Asia-Pacifico
Per quanto riguarda l’Ucraina, eliminata la questione in quanto tale, si dice che viene agevolato il Piano d’azione per l’adesione e Kiev potrà aderire quando ci sarà pieno consenso tra i membri: «Confermiamo l’impegno preso al vertice di Bucarest del 2008, di far aderire l’Ucraina alla NATO, e oggi riconosciamo che il percorso dell’Ucraina verso la piena integrazione euro-atlantica esce dal quadro del Piano d’azione per l’adesione».
Così che, il tanto atteso “invito ad aderire” rivolto a Kiev dovrà essere rinviato a «quando gli alleati saranno tutti d’accordo e le condizioni saranno soddisfatte».
Il segretario NATO Jens Stoltenberg ha specificato che l’adesione dell’Ucraina alla NATO dipenderà dall’esito del conflitto con la Russia: se l’Ucraina non vince, la questione delle garanzie e dell’adesione alla NATO non verrà affatto sollevata, e ha aggiunto che «Tutti gli alleati della NATO concordano sul fatto che è impossibile accogliere l’Ucraina nell’alleanza prima della fine delle ostilità».
In compenso, per la gioia di lavoratori, pensionati, disoccupati, operatori e utenti della Sanità pubblica che, nei paesi “alleati”, vedranno ridursi ulteriormente i bilanci di pace a favore di quelli di guerra, ecco che a Vilnius si decide di aumentare il sostegno finanziario (oltre 500 milioni di euro l’anno) e militare ai nazi-golpisti, a partire dai missili a lungo raggio “SCALP”, forniti dalla Francia e, dalla Germania, ancora un battaglione di Leopard-1A4 (25 carri: più o meno quanti Kiev ne ha persi nella “controffensiva”), due battaglioni di blindati “Marder” (40 mezzi) e due complessi “Patriot”.
In aggiunta, decisa la creazione del Consiglio NATO-Ucraina, che non soddisfa certo nemmeno le più misere aspettative del nazigolpista-capo, Vladimir Zelenskij; insieme a lui, abbastanza delusi a Vilnius anche Polonia e Baltici, che avrebbero voluto un più diretto coinvolgimento nella questione ucraina.
Per la Russia, sostiene ancora Išchenko, non è cambiato molto, dato che Svezia e Finlandia, anche prima di ora, partecipavano attivamente ai piani NATO.
E, però, spostando i principali sforzi statunitensi dal mar Nero (dove l’Ucraina sta perdendo, la Turchia è inaffidabile, Romania e Bulgaria sono troppo deboli per costituire una seria minaccia per Mosca) al nord, verso il Baltico, dove la Russia si trova in una situazione strategica peggiore, ecco che gli USA portano a casa un risultato positivo.
In sostanza, Washington è riuscita a far accettare alla NATO i propri disegni, sia nella questione dell’ulteriore confronto con la Russia, sia in quella del confronto con la Cina:
«Gli USA trascinano la NATO nella crisi dell’Asia-Pacifico, senza porre fine alla crisi europea (che è svantaggiosa per l’Europa, ma vantaggiosa per gli USA); accentuano le minacce alla Russia dal Baltico, spingendo in prima linea finlandesi, baltici e polacchi, pur restando gli yankee formalmente fuori dai giochi; risolvono i problemi più acuti con la Turchia, riducendo temporaneamente il grado di tensione sia nelle relazioni USA-Turchia, che in quelle Europa-Turchia».
La valutazione del summit di Vilnius data da Il’ja Golovnëv, che ne scrive sulla nazionalista Tsar’grad, è di una sensazione per cui, presto, per l’Occidente non farà alcuna differenza cosa ne sarà dell’Ucraina dopo la fine del conflitto, nonostante che sin dal 2014 la NATO avesse preparato Kiev allo scontro con la Russia.
Secondo il politologo Sergej Prostakov, a Ovest, per non perdere completamente l’Ucraina, cominciano a circolare ipotesi di una sua divisione, sul modello RFT-DDR, “due Coree”, Cina-Taiwan: «a quanto pare, molto presto Kiev, in cambio della promessa di adesione alla NATO, sarà persuasa a negoziare la pace con i russi. E allora, Zelenskij e i suoi dovranno riconoscere la Crimea e le altre regioni come parte della Russia.
A Occidente sono stanchi; presto per loro non farà alcuna differenza in quale forma l’Ucraina sarà ridotta dopo la guerra. Importante però è che, comunque, rimanga un pezzo di territorio che, come un cancro, possa indebolire» la Russia. Sul territorio che rimarrà dell’Ucraina, la NATO dispiegherà contingenti militari e armi.
Prostakov è perentorio: Mosca deve smetterla di ritirarsi diplomaticamente, di «credere ai nemici e ai bugiardi. Il dialogo con la NATO e Kiev può ora essere costruito solo sulla base del principio “Non credere, non aver paura, non chiedere!”.
L’unica cosa che fermerà la peste bruna ai nostri confini è la completa eliminazione dell’Ucraina come stato. Qualsiasi negoziato di pace prima della vittoria completa equivale a una perdita».
Anche Jurij Selivanov afferma che il nemico non lascia altra scelta alla Russia, se non la piena e definitiva vittoria e cita il portavoce del Pentagono John Kirby: «Vediamo come vanno le discussioni», ha detto Kirby, rispondendo alla domanda su quali garanzie di sicurezza la NATO possa fornire all’Ucraina, se l’ingresso nell’Alleanza non è ancora possibile.
«Non so se vedremo uno schema concreto con i dettagli esatti… Ma l’Alleanza è unita nella necessità di un impegno a lungo termine per la sicurezza dell’Ucraina, e che essa deve essere fornita dei fondi necessari per la difesa, anche dopo che la guerra sarà finita».
Nello specifico della “questione russa”, il vertice afferma che Mosca rappresenta “la minaccia più seria alla sicurezza dell’alleanza”, anche se si giura di non cercare il confronto e di sperare di mantenere canali di dialogo; si invita Mosca a riconsiderare la decisione di ritirarsi dal Trattato CFE.
Non poteva ovviamente mancare la condanna dello spiegamento di armi nucleari in Bielorussia e la richiesta di ritirare le forze di pace dalla Transnistria. Caratteristiche dell’“impero del male” sono anche: il potenziale militare russo nell’Artico; il sostegno militare iraniano a Mosca; la minacciosa integrazione militare di Russia e Bielorussia, ecc.
L’unica cosa di cui hanno veramente paura, afferma Selivanov, è di essere coinvolti direttamente in un conflitto con la Russia e di possibili attacchi russi sul loro territorio. Dunque, teoricamente, ci possono essere cinque vie d’uscita da questa situazione oggettivamente «senza uscita per la grande Russia; cessazione dell’intervento e ritiro delle truppe russe dall’Ucraina».
Ma questo sarebbe anche peggio di una capitolazione; sarebbe una «continuazione della guerra in condizioni per noi estremamente sfavorevoli, sul nostro stesso territorio, con la totale demoralizzazione dell’esercito e una reale minaccia di crollo del Paese».
Per quanto riguarda l’ipotesi di “congelamento” del conflitto, con una farsa di «processo negoziale, questo sarebbe proprio ciò che l’Occidente cerca di ottenere, dato che ha bisogno di una tregua strategica per cercare di cambiare l’equilibrio delle forze militari a suo favore».
Altra ipotesi è quella di portare attacchi militari sul «territorio della NATO, in risposta alla fornitura di armi a lungo raggio a Kiev: rispondere agli attacchi missilistici NATO contro la Russia, con attacchi al territorio ucraino, non è che un invito all’Occidente a ulteriori consegne di armi».
Tuttavia, questa sarebbe una «chiara minaccia di guerra mondiale. È corretto considerarla, così come la possibilità di utilizzare armi nucleari, quali possibili opzioni, ma di riserva, nello spirito di quanto detto dal vice segretario del Consiglio di sicurezza Dmitrij Medvedev».
Ultima ipotesi, una «offensiva strategica decisiva russa, con forze e mezzi adeguati per liberare l’intero territorio della “Russia storica” dall’attuale occupazione occidentale, con conseguente accesso alla naturale “linea rossa”: il confine della NATO».
A ben vedere, l’ultima ipotesi è quella più concretamente «attuabile, ma richiede molto: richiede la mobilitazione di tutte le forze della Russia». Che ancora non c’è stata, soprattutto sul piano psicologico e sociale.
In definitiva, se Kiev esce “scornata” da Vilnius, come era nelle previsioni; se gli “alleati” europei, come nella tradizione, vanno “allo scrittoio col cappello in mano”, come era uso per il misero mezzadro di fronte al “Signor fattore”; se Washington sembra uscire a piene mani dal vertice, è proprio dagli Stati Uniti e dalla parte repubblicana del Congresso che potrebbero venire gli inciampi ai piani della Casa Bianca per NATO e Ucraina. Ma di questo, un’altra volta.
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Eros Barone
Ammesso e non concesso che la “linea rossa” sempre più sottile che ci separa dalla trascrescenza dell’attuale conflitto bellico in un conflitto termonucleare non venga varcata prima che tale esito si verifichi, la Russia alla fine vincerà la guerra, anche se non sconfiggerà definitivamente l’Ucraina. In altre parole, non riuscendo a raggiungere tre degli obiettivi che si è posta: rovesciare il regime, smilitarizzare il paese e recidere i legami di sicurezza di Kiev con l’”Occidente collettivo”, dovrà rinunciare a conquistare tutta l’Ucraina, ‘conditio sine qua non’ per attuare quegli obiettivi. Tuttavia, si può prevedere che essa annetterà una vasta porzione del territorio ucraino, trasformando l’Ucraina nell’equivalente geopolitico e istituzionale di un’anatra zoppa. Ma questo significa che la Russia otterrà una brutta vittoria, dato che la “soluzione coreana” non sarà una soluzione, ma un focolaio permanente di guerra e un problema irrisolvibile della politica internazionale.
Nuccio Viglietti
Tutti nella Nato… nessuno più nella Nato… padre padrone no fa più paura… e figli stessi concorreranno uccidere… come in ogni buona tragedia che si rispetti!…!!…https://ilgattomattoquotidiano.wordpress.com/
Gianfranco
Non guardate solo al fronte militare tenuto “immobile” dai Russi, la vera vittoria è l’allontanamento dal dollaro di numerosi (ed importanti) paesi. Questo è il vero micidiale colpo che il mondo multipolare sta assestando all’occidente. Tutto il resto sono vittorie di Pirro.
Gianni Sartori
In attesa della conferma o meno da parte degli esperti (sempre che la cosa interessi ai media internazionali), diamo anche questa pessima notizia.
BOMBA NUCLEARE TATTICA UTILIZZATA DALLA TURCHIA CONTRO I CURDI?
Gianni Sartori
Come avevano già dichiarato in varie occasioni i responsabili del Quartier generale delle Forze di difesa del popolo (HPG) l’esercito turco avrebbe bombardato sistematicamente e ripetutamente (“centinaia, migliaia di volte”) la guerriglia curda a Zap, Avaşîn e Metina.
Con sostanze chimiche di ogni tipo e utilizzando inoltre bombe termobariche e bombe al fosforo.
Mancava solo la bomba nucleare tattica. Stando a quanto denunciava due giorni fa Murat Karayılan, i generali di Ankara avrebbero rimediato a questa dimenticanza.
In questi giorni dall’agenzia di stampa Firatnews (ANF) sono state diffuse le immagini (realizzate dalla popolazione locale) di un attacco turco contro le postazioni curde a Martyr Delîl (a ovest di Zap) risalente alle 10h12 del 13 luglio. Un attacco che – stando all’agenzia – si sarebbe contraddistinto anche per l’impiego di una bomba nucleare tattica. L’onda espansiva dell’esplosione si è poi propagata in un’area molto ampia.
Pensiamo a cosa sarebbe accaduto se fosse stata avanzata anche solo l’ipotesi di un effettivo utilizzo da parte di Mosca in Ucraina di un ordigno di tal genere. L’intervento diretto della NATO (di cui, ricordo la Turchia, fa parte) come minimo.
Gianni Sartori