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Ecuador. Stato di emergenza dopo l’omicidio di un candidato

Nella serata del 9 agosto, al termine di un comizio nel cuore di Quito, un commando di sicari ha aperto il fuoco uccidendo Fernando Villavicencio, uno degli otto candidati alle prossime elezioni politiche ecuadoriane.

Villavicencio era molto vicino al presidente uscente Lasso, tanto da aver candidato nella propria squadra il suo ex-ministro dell’interno Carrillo. Un personaggio che era stato a capo della polizia durante le proteste popolari contro le misure di austerity imposte dal Fmi nel 2019, e che si distinse per il pugno repressivo che causò sei morti e migliaia di arresti.

Noto giornalista che aveva condotto varie inchieste soprattutto sui casi di irregolarità e corruzione tra imprese elettriche e lo Stato, era poi passato – come deputato indipendente – a sostenere il governo Lasso, tanto da difenderlo apertamente durante l’ultimo impeachment, occasione della sua caduta.

Le sue inchieste erano state rivolte soprattutto contro membri del governo ma in particolare contro l’ex presidente progressista Correa, diventando per un periodo il suo antagonista principale nel dibattito pubblico del paese.

In seguito aveva costruito la propria figura come quella di un instancabile persecutore della corruzione e dell’anticorreismo, spesso sovrapponendo pubblicamente le due cose, tanto da fornire poi le basi per la sentenza in contumacia che condanna l’ex presidente progressista al carcere e tutt’oggi lo costringe come rifugiato politico in Belgio.

L’antagonismo tra i due era tanto riconosciuto che ora alcuni puntano il dito contro Correa per questa morte, anche se in realtà l’omicidio è stato pubblicamente rivendicato dall’organizzazione criminale ‘Los Lobos’, collegata al cartello della droga di Jalisco, in Messico.

Il “correismo”, oltretutto, arrivava a questa scadenza forte di uno dei successi più ampi della storia recente nelle elezioni regionali e come primo partito favorito con la prima candidata donna del paese, Luisa González.

A vedere i sondaggi, Villavicencio non arrivava neanche in terza posizione, lontano quindi da qualsiasi ipotesi di ballottaggio. Lo stesso aveva denunciato pubblicamente negli scorsi giorni minacce da parte di un gruppo criminale ecuadoriano legato al cartello messicano Sinaloa.

Quello che risulta evidente però è che l’ondata di violenza spazza via dal dibattito elettorale ogni altra tematica, favorendo quei candidati, come Jan Topic, che fondano la propria campagna elettorale sullo stesso tipo di figura pubblica: ex mercenario e imprenditore dell’industria della sicurezza, promette di “ristabilire l’ordine” attraverso il pugno duro, seguendo le orme della “dottrina Bukele” in Salvador.

Dal dibattito elettorale si eclissa anche il quesito referendario riguardo la possibilità o meno di bloccare l’estrazione di petrolio da uno dei settori del parco naturale amazzonico del Yasuní. Quesito che riapre il dibattito su estrattivismo e matrice produttiva del paese, base del divorzio di una parte del mondo ambientalista con il governo di Correa nel 2014.

Un pesante salto di qualità in un paese che sembra entrato in una spirale di violenza senza fine e che lo Stato, diretto dal ex banchiere Lasso, non sembra in grado di arginare in nessun modo.

Non è il primo assassinio politico nel paese. Solo tre settimane fa era stato ucciso in modo simile il sindaco della città portuale di Manta, solo pochi giorni dopo l’omicidio di un altro candidato al Parlamento. Nelle scorse settimane lo stesso comitato elettorale nazionale aveva denunciato minacce ai propri membri.

Il presidente uscente ha dichiarato lo stato di emergenza per sessanta giorni. Il diciassettesimo durante il suo mandato di un solo anno e mezzo e che solo nelle ultime settimane era stata dichiarata già due volte: una per le carceri, sfuggite completamente di mano  ed entrate sotto il controllo di cartelli del crimine organizzato (in due anni ci sono stati quasi cinquecento morti tra i detenuti), e una per le tre province costiere in cui l’ondata di violenza è più intensa.

Intanto lo Stato ecuadoriano sembra prepararsi ad una guerra più che al presidio del proprio territorio e alle indagini per sgominare il crimine organizzato.

Si susseguono acquisti di migliaia di nuove munizioni e sistemi d’arma, come gli ultimi mezzi blindati Cobra, comprati dalla Turchia.

In seguito all’attentato, quattro candidati hanno sospeso la campagna elettorale, mentre iniziano a manifestarsi inviti all'”unità nazionale” contro la criminalità organizzata, andando oltre le divisioni politiche.

Una campagna elettorale che fino ad oggi si era contraddistinta, come da quindici anni a questa parte, per essere caratterizzata dalla forza progressista Revolución Ciudadana, data come favorita al primo turno, e da un ampio fronte di vari candidati anticorreristi che nel ballottaggio puntano a sommare i voti contrari all’ex-presidente.

Un gioco però che, dopo la disastrosa gestione dello stato da parte di Lasso, sembrava poco vincente.

Quel che resta certo è la difficile situazione del paese, trasformatosi in poco tempo da uno dei più sicuri, grazie al governo di Correa, a uno dei più violenti della regione, in cui i governi neoliberisti succedutesi dopo il 2017 hanno riportato indietro di anni tutte le statistiche sociali del paese.

In uno scenario continentale che sembra essere tornato ad avanzare, costruendo il proprio futuro grazie ai governi progressisti del continente, tornati nuovamente in maggioranza e con agende comuni all’interno di un mondo ormai multipolare, sarà la prima Cumbre amazzonica lanciata da Lula e Petro per fine mese.

L’Ecuador sembra in un empasse di difficile risoluzione. Le elezioni del prossimo 20 di agosto risulteranno dirimenti per il paese e per sostenere o meno il cammino che la regione sta intraprendendo nuovamente.

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