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Un clima antipopolare si fa largo in Argentina. Una testimonianza

È l’alba di una notte elettorale breve: già dalla tarda serata del giorno prima è stato chiaro che il vincitore delle PASO (le Primarie Aperte, Simultanee e Obbligatorie argentine) non è la destra tradizionale di Juntos por el Cambio ma un nuovo schieramento di estrema destra antisistema, La Libertad Avanza, guidato dal leader e autocrate Javier Milei.

Una mattina fosca per chi vede addensarsi l’ombra di un liberalismo selvaggio che ricorda non solo l’esperienza devastante del Brasile bolsonariano, ma anche alcune delle pagine più oscure della storia argentina, dalla dittatura al menemismo.

Ma non è una bella mattina nemmeno per Gerardo Morales, segretario della Union Civica Radical, il più antico partito della destra argentina e una delle due anime della coalizione sconfitta Juntos por el Cambio.

Morales è una figura di primo piano della politica nazionale, oltre che il caudillo indiscusso della provincia di Jujuy, che governa dal 2015 e dove per la prima volta si è visto scivolare tra le dita la supremazia alle urne.

Sarà perché da qualche mese Morales è l’oggetto di una furibonda contestazione, da quando è stata promulgata una nuova costituzione provinciale che consolida il controllo del caudillo sul suo feudo e preoccupa prima di tutto le comunità indigene, che vedono minacciate le proprie autonomie territoriali.

Per rendersi conto di quanto sia stretto il controllo di Morales sulla sua provincia, basti pensare che vi ha introdotto una giustizia parallela che si sovrappone a quella nazionale e ha già processato vari dei suoi oppositori politici, e che ha accorpato la gestione finanziaria dei fondi destinati alla regione in un fondo unico amministrato nientemeno che dal fratello.

Ma questa volta le comunità indigene sono decise a non piegarsi. Dopo settimane di duri scontri nella capitale provinciale, gli oppositori di Morales hanno deciso una serie di blocchi stradali che hanno paralizzato per quasi due mesi le principali arterie di Jujuy.

La protesta sembra aver minato non solo la solidità del potere del governatore, ma anche la sua posizione di fronte alla parte più oltranzista del suo elettorato, che lo ha abbandonato alle elezioni.

Forse proprio per questo, alle prime luci del giorno, la polizia attacca in forze uno dei picchietti che interrompono il traffico all’altezza di Purmamarca. Sono centinaia, tra agenti della polizia provinciale e infanteria.

Sfollano brutalmente i manifestanti, che sono riuniti in assemblea, strattonano le anziane delle comunità che rifiutano di andarsene, sparano proiettili di gomma e arrestano due rappresentanti della protesta.

È solo l’ultimo di una lunga serie di abusi da parte della polizia, che da mesi a questa parte vessa gli oppositori di Morales con arresti e pesanti sanzioni amministrative.

Che cosa c’è in gioco? Soltanto il controllo di una provincia che ormai assomiglia a una dittatura dentro lo Stato nazionale?

Basta leggere gli slogan dei manifestanti per rendersi conto che c’è qualcosa di più: “L’acqua è vita“, “No al litio, sì all’acqua“, “Litio oggi, fame domani“.

Ebbene sì, tra le poste in gioco della nuova costituzione di Morales ci sono alcuni tra i più importanti giacimenti di litio del mondo, che una classe politica collusa con gli interessi delle grandi multinazionali sembra ansiosa di svendere in barba al rispetto dei territori, che rischiano di trasformarsi in deserti nel giro i poco tempo, e senza vantaggi economici sostanziali per le popolazioni.

Ancora una volta, dietro il caudillo di turno, sono i poteri neocolonialisti ed estrattivisti a dettare legge.

Di seguito, una testimonianza raccolta da Purmamarca.

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