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La Francia sulla graticola, tra ritiro dei soldati e interventismo militare in Africa

L’ipotesi di un ritiro dei circa 1.500 militari francesi ancora in Niger sembra diventare sempre più probabile.

In una intervista rilasciata nel fine settimana al quotidiano Le Monde dalla ministra degli Esteri francese, Catherine Colonna, ha evocato l’impossibilità per Parigi di mantenere – nelle condizioni attuali – quello che definisce il “supporto militare al Niger in termini di lotta al terrorismo e di addestramento dei militari locali. Queste truppe sono lì su richiesta delle autorità (democraticamente elette) del Niger, per sostenerle nella lotta contro i gruppi terroristici armati e per svolgere attività di addestramento.

Oggi questa missione non può più essere garantita poiché non abbiamo più, di fatto, operazioni condotte congiuntamente con le forze armate nigerine”, ha dichiarato la ministra Colonna al quotidiano francese.

Negli ultimi tre anni le nuove giunte militari salite al potere in Guinea, Mali e Burkina Faso hanno costretto la Francia ad operare una significativa riduzione della sua presenza militare nel Sahel e a ritirare completamente gli effettivi dell’operazione Barkhane e della missione Takuba da Bamako e Ouagadougou, oltre che a ridurre significativamente quelli presenti a Conakry.

I soldati francesi sono già stati costretti, a seguito di golpe militari, a lasciare il Mali (agosto 2022) e il Burkina Faso (febbraio 2023). La presenza in Niger è ora per la Francia di ancor più cruciale rilevanza strategica per la proiezione nell’area del Sahel”, scrive Affari Internazionali.

Lo scontro è reso palese anche dalle ripetute e partecipate proteste con cui centinaia di sostenitori del golpe hanno prima assaltato l’ambasciata francese, quindi chiesto a gran voce lo smantellamento delle basi francesi (e statunitensi) presenti nel Paese per porre fine a quella che viene considerata come un’ingerenza nei fatti interni nigerini.

L’agenzia Nova riporta che in Guinea, in Mali e in Burkina Faso,  da tempo è scattata anche l’interdizione delle attività delle Ong francesi ed internazionali nelle aree ritenute “operative” dal punto di vista militare nel contrasto al terrorismo.

Questo scenario ha spinto molti osservatori a parlare di un tramonto definitivo della cosiddetta “Francafrique”, oggi reso ancora più evidente con gli ultimi sviluppi in Niger. Ma al riguardo, la ministra Colonna ha tenuto a precisare che a suo avviso “la Francafrique è morta da molto tempo”. “Non è la Francia che fa e disfà le elezioni, sceglie i presidenti africani o conduce colpi di Stato”, ha detto la ministra (smentita però da quanto accaduto nel 2011 in Costa D’Avorio e quest’anno in Senegal, ndr).

In merito alla presenza in alcuni paesi africani del gruppo di contractors della compagnia russa Wagner, la ministra Colonna ha definito la sua azione “di un’inefficacia totale nella lotta al terrorismo” e si è detta certa che la morte del fondatore, Evgenij Prigozhin, abbia provocato uno “shock considerevole” sulle sue attività.

Ha ammesso però che “è ancora presto” per sapere quali saranno le conseguenze della sua scomparsa in vista di un’eventuale riorganizzazione del gruppo.

In Niger la Francia si è rifiutata di ritirare il suo ambasciatore come richiesto lo scorso 25 agosto dalla nuova giunta al potere. Sul ritiro dell’ambasciatore Itté, la ministra degli Esteri francese ha ribadito la posizione inflessibile già assunta dal presidente Emmanuel Macron.

È il nostro rappresentante presso le legittime autorità del Niger, accreditate come tali, e non dobbiamo obbedire alle ingiunzioni di un ministro che non ha legittimità, né per i Paesi della subregione, né per l’Unione africana, né per per le Nazioni Unite, né per la stessa Francia. Questo spiega il mantenimento del nostro ambasciatore”, ha dichiarato ancora Colonna, garantendo che Parigi si sta “assicurando che possa affrontare in sicurezza la pressione dei golpisti”.

La ministra Colonna non si è invece espressa esplicitamente sull’opzione di un intervento militare in Niger, evocato dalla Comunità economica dei Paesi dell’Africa sub-sahariana (Cedeao).

Sulla questione dell’intervento militare la Francia – che la ritiene un’opzione possibile in caso di fallimento diplomatico – è rimasta isolata anche in Europa, non avendo ottenuto il sostegno sperato al vertice dei ministri degli Esteri dell’Unione europea, tenuta il 31 agosto a Toledo.

I ministri dei 27 paesi Ue sono più orientati a predisporre un pacchetto di sanzioni mirate, mentre ha acquisito rilievo la proposta avanzata dal governo dell’Algeria – apertamente contrario all’intervento militare –  per un periodo di transizione di sei mesi guidato da un leader civile.

Ma l’isolamento della Francia in Europa e lo stop all’intervento militare in Niger sono fattori decisamente pesanti per le ambizioni e gli interessi strategici francesi in Africa. Al momento Parigi non sembra disporre di un “Piano B”, il che rende l’opzione dell’intervento militare molto rischiosa ma anche una pericolosa “ultima spiaggia”.

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