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Stand-up Strike! Storico sciopero dei lavoratori dell’auto negli USA

«Troppo è troppo. É il momento di decidere in che tipo di mondo vogliamo vivere.

Ed è il momento per decidere cosa siamo disposti a fare per arrivarci»

Shawn Fain, Presidente della UAW

Alla mezzanotte di giovedì 14 settembre è “scaduto” il contratto che il sindaco statunitense dei lavoratori dell’automotiveUnited Auto Workers International (UAW) – aveva firmato con le tre maggiori aziende automobilistiche statunitensi, le cosiddette Big 3: Ford, General Motors e Stellantis (che raggruppa oggi anche marchi storici come Jeep e Chrysler).

Al tavolo negoziale tra le parti, nonostante i parziali avanzamenti, non è stato raggiunto un accordo per un rinnovo contrattuale che accogliesse le richieste del sindacato a cui aderiscono 146 mila lavoratori del settore.

Come annunciato da tempo, è così iniziato lo sciopero che – con una strategia in crescendo – riguarderà per ora 4 stabilimenti, per poi allargarsi ad altri siti, senza che questi vengano annunciati prima alla controparte padronale.

É la prima volta nella storia che si sciopera simultaneamente negli stabilimenti di tutte e tre le case automobilistiche.

Gli analisti dell’Anderson Economic Group hanno avvertito che uno sciopero di 10 giorni potrebbe ridurre il Pil statunitense di 5,6 miliardi di dollari, impattando particolarmente sull’economia del Michigan.

Per ora, in quello che è stato ribattezzato “stand-up strike” – con un rimando alla storica ondata di sit-down strike (l’occupazione della fabbriche) a Flint nel 1936-37, che costrinse il padronato a riconoscere il sindacato – sciopereranno i lavoratori e le lavoratrici della Stellantis Toledo Assemby Complex, in Ohio, il centro di assemblaggio della GM a Wentzville vicino a St.Louis, e la sezione di assemblaggio e di verniciatura della Ford del Michigan, ad ovest di Detroit.

Questi siti assemblano SUV e camion “ad alto valore aggiunto” come la Jeep Wrangler, la Chevy Colorado e la Ford Bronco.

Dai filmati postati dalla sezione locale del sindacato a Toledo – UAW Local 12 – si vedono i picchetti fuori dai tornelli con i lavoratori che escono seguendo lo slogan “No Justice, No Jeeps!

La escalation strategy di questa azione sindacale è a metà tra lo sciopero a “scacchiera” nei siti di produzione, assemblaggio e distribuzione di componenti delle Big 3 sparsi su tutto il territorio nazionale – con il cuore produttivo prevalentemente ma non esclusivamente nel Mid-West – e lo sciopero improvviso “a gatto selvaggio”.

Come sintetizza una articolo pubblicato su Labor Notes da Luis Feliz Leon e Jane Slaughter: «se non vengono incontro alle richieste dei lavoratori, aumenterà il disagio, ma le aziende non riusciranno a prevedere dove».

Inoltre i lavoratori degli stabilimenti che non sciopereranno, non avendo un contratto collettivo che li copre, non sono costretti agli straordinari, abbondantemente usati dalle aziende per non ampliare l’organico in questi anni di mega-profitti, se non con lavoratori part time.

Gli strikers riceveranno 500 dollari a settimana dal fondo di sciopero, con una compensazione innalzata lo scorso anno dai precedenti 275, oltre al pagamento della quota dell’assicurazione sanitaria.

Il fondo di sciopero dispone di 825 milioni di dollari.

In pratica se tutti i lavoratori del sindacato scioperassero contemporaneamente, ipotesi non esclusa dall’attuale dirigenza sindacale, potrebbero essere pagati 500 dollari la settimana per tre mesi, riporta The American Prospect in un articolo di Jarod Facundo e Lee Harris che cita le parole del Presidente della UAW Shawn Fain: «Se dobbiamo fermarci tutti, lo faremo (…) ogni ipotesi è sul tavolo».

Gli scioperanti godono di un notevole consenso tra la popolazione nord-americana (il 75%, secondo un recente sondaggio) e dell’appoggio esplicito della sinistra del Partito Democratico, nonché delle organizzazioni della sinistra di classe statunitense.

Potranno inoltre contare sulla solidarietà attiva dei Teamsters, che non forzeranno i picchetti di sciopero, bloccando così la logistica dell’automotive nei siti interessati dall’azione sindacale della UAW.

É uno sciopero storico, ed un punto di svolta per tutto il movimento operaio nord-americano.

Il senso generale della battaglia dei lavoratori del settore automobilistico è stato espresso in un live Facebook del Presidente della UAW, Shawn Fain: «è una battaglia della classe operaia contro i ricchi, tra chi ha e chi no, la classe dei miliardari contro tutti gli altri».

Shawn ha poi aggiunto: «negli ultimi 40 anni, i miliardari si sono presi tutto lasciando tutti gli altri azzuffarsi per le briciole (…) Non siamo noi il problema. L’avarizia dei padroni è il problema».

I profitti sono aumentati a dismisura, il 65% negli ultimi 4 anni, con un guadagno di circa 250 miliardi negli ultimi 10 anni, mentre i salari reali nel settore sono calati di poco meno di un 1/3 dal 2003.

Lo scrive Justin Fox su Bloomberg – non esattamente una testata bolscevica – in una dettagliata analisi dal titolo: “I lavoratori del settore automobilistico hanno una buona ragione per chiedere un aumento sostanzioso”. Fox usa espressamente l’espressione Big Raise.

La battaglia dei lavoratori dell’automotive è per così dire duplice.

Da una parte punta ad un recupero delle garanzie complessive e degli standard di vita che la categoria aveva conquistato e mantenuto a lungo fino alla crisi dei “sub-prime” nel 2008 – al netto della pesante ristrutturazione del settore –  e dall’altra vuole contrastare i possibili effetti collaterali – sul piano occupazionale e delle garanzie sindacali – della transizione all’”auto elettrica”.

I padroni dell’auto, in fase negoziale, hanno prima minacciato una maggiore esternalizzazione oltreoceano, come strumento di ricatto per fare accettare le proprie proposte al sindacato, ma ora minacciano la serrata.

La gestione dei processi di trasformazione del settore, con garanzie per i lavoratori degli stabilimenti che dovranno chiudere e per i nuovi stabilimenti di batterie – anche se in joint venture con aziende diverse dalle BIG 3 – sono al centro delle richieste, assieme alla riduzione di orario a parità di salario (32 ore la settimana), l’innalzamento dei salari ed il ripristino della “scala mobile” (COLA), l’acquisizione di garanzie sanitarie e pensionistiche per i nuovi assunti, e l’assunzione in pianta stabile dei lavoratori a tempo determinato.

Le rivendicazioni sindacali puntano a mettere fine al sistema di frammentazione della classe operaia del settore automotive secondo il principio “per lo stesso lavoro, uguale salario”, livellando verso l’alto le garanzie complessive di tutti i lavoratori ed eliminando il two-tiers system.

Con una espressione un po’ retrò potremmo dire: “alla catena siam tutti uguali”.

Il settore automotive statunitense è capital-intensive, cioè con una alta percentuale di capitale fisso (macchinari, robot, ecc), dove il costo del lavoro che oramai incide solo per il 4/5%.

I prezzi delle auto sono comunque aumentati di circa 1/3 negli ultimi 4 anni, ma a solo beneficio del business, a scapito di lavoratori e consumatori. Tant’è che le fasce più vulnerabili dei lavoratori del settore, non possono più permettersi di comprare un’auto!

I lavoratori della UAW, come in precedenza quelli della UPS o del settore dello spettacolo – e l’elenco potrebbe continuare (logistica, ristorazione, assistenza infermieristica, istruzione) – stanno imponendo un nuovo immaginario in cui l’azione collettiva organizzata del sindacato torna ad essere lo strumento più utile per migliorare la propria condizione.

Lo sciopero militante, minuziosamente preparato con una strategia comunicativa in grado di coniugare la propria condizione particolare a quella più generale, è diventato perciò il mezzo più idoneo in questa nuova stagione della lotta di classe negli USA.

Come diceva rispetto al proprio sindacato Walter Reuther – forse il più conosciuto dirigente sindacale della UAW e tutt’altro che un “radicale” – la Union è ora una avanguardia del movimento dei lavoratori.

Lo era stata – negli Anni ’30 come negli Anni ’60 – e lo sta ridiventando. Le parole di Shawn, prima dell’inizio dello sciopero, parlano alla working class nord-americana e non solo.

«Sopravvivere tra una paga ed un altra, arrabattandoci per riuscirci? É l’inferno. Scegliere tra il curarsi o pagare l’affitto è l’Inferno. Lavorare sette giorni la settimana per 12 ore al giorno è l’Inferno. Vedere lo stabilimento dove lavori chiuso e la propria famiglia dispersa per tutto il paese è l’Inferno. Essere costretto ad andare a lavorare durante la pandemia e non sapere se ti ammalerai e morirai, o contagerai la tua famiglia, è l’Inferno».

Un inferno che i lavoratori della UAW non sono più disposti a tollerare.

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3 Commenti


  • Mauro

    Qui da noi invece si aprono tavoli di concertazione…si,pe magna’insieme…maledetti…


  • Maurizio

    Bella Mauro!


  • Giovanni

    Sindacalismo ed etica sociale, 2 valori che i sindacati concertatori nostrani non sanno neanche cosa significhi,tanto son presi da poltrone in partecipate o da patetiche schermaglie anti- governative, tristi e logori scimmiottamenti di un tempo che fu..

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