Il nuovo governo polacco, da poco insediato dopo la vittoria elettorale per il rinnovo del Sejm, da parte della coalizione guidata da Piattaforma civica dell’ex premier ed ex presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, sta muovendo i primi passi “liberal-europeisti”, dopo la lunga parentesi reazionario-oscurantista del governo di Diritto e Giustizia (PiS). Ma di questo più avanti.
Su richiesta del quotidiano Rzeczpospolita, l’istituto demoscopico polacco IBRiS ha condotto un sondaggio su “Cosa farebbero i polacchi se la Russia attaccasse la Polonia?”.
Pare che il 37,4% degli intervistati abbia dichiarato sic et simpliciter che in caso di invasione russa fuggirebbero dal paese. Farebbero la stessa cosa l’11,9% degli intervistati, portando però con sé anche la propria famiglia. Un altro 25,5% proverebbe a sopportare i tempi calamitosi in qualche posto sicuro della Polonia: sui monti della Slesia, nelle paludi dei laghi Mazury, o nella parte polacca della Belovežskaja Pušhcha.
Sembra che solo il 15,7% abbia manifestato l’intenzione di arruolarsi volontario nell’esercito polacco. Nessuna reazione particolare da parte del 22% degli intervistati, mentre l’11,6% afferma di non sapere come reagirebbe in caso di attacco russo. Le percentuali sono quelle ufficiali.
Secondo il sondaggio, quel 15,7% di volontari sarebbe costituito da elettori dell’ex partito di governo PiS (23%), maschi (31%), giovani di 18-29 anni (37%); di essi, solo il 28% abita nelle grandi città.
Ci si potrebbe chiedere il perché di un tale sondaggio, nel momento in cui la “carta ucraina” sta per essere tolta dal tavolo verde e a Washington si studiano altre varianti di “difesa del valori democratici”.
La “minaccia russa”, suggerisce RT, costituisce non da oggi la «pietra angolare del nazionalismo polacco» e il suo spauracchio continuerà a essere agitato da ogni politico, di qualsiasi orientamento politico.
Tant’è che se il governo sanfedista dell’ex Primo ministro Mateusz Morawiecki e di Jaroslaw Kaczynski non ha mai evitato di nascondere la propria russofobia, oggi, tanto per dirne una, Ministro degli esteri del nuovo governo “europeista” guidato da Donald Tusk, è “l’americano” Rodoslaw Sikorski (ha ricoperto la carica anche nel precedente governo Tusk, dal 2007 al 2014), quello, tanto per intendersi, del «Thank you USA» per l’attentato al North Stream, coniuge della famigerata “storica” yankee del “holodomor” Anne Applebaum, votato da sempre ai più ciechi orientamenti atlantici, ossequioso a ogni “raccomandazione” di Washington.
E i suoi servigi giungono a proposito. Il vice Segretario di stato per gli affari europei James O’Brien, in un’intervista alla polacca Rzeczpospolita, ha ribadito un concetto in circolazione da tempo e cioè che gli USA vedono nella Polonia il futuro leader dell’Unione Europea.
Questo perché, da un lato, Varsavia destina alle spese militari più del doppio di quel 2% del PIL imposto dalla NATO e, dall’altro, perché non ha alcuna intenzione di cessare le proprie “rivendicazioni” nei confronti dei vicini orientali e occidentali: Russia e Germania.
A parere del politologo russo Dmitrij Žuravlëv, che ne scrive su Svobodnaja Pressa, gli USA puntano sulla secolare aspirazione polacca al primato europeo, non fidandosi delle mire tedesche e francesi all’indipendenza da Washington, che si riaffacciano ogni volta che a Berlino o a Parigi compare un leader che ragiona «con la testa invece che col sedere».
Tanto più che lo sviluppo economico polacco passa per una produzione militare che non interferisce affatto con la concorrenza yankee: il riarmo prevede, oltre la produzione nazionale, massicci acquisti di carri armati, sistemi razzo, elicotteri, da USA, Corea del Sud, Gran Bretagna, Norvegia, ecc.
Dunque, Washington vede in Varsavia un alleato prezioso, potente e energico e quindi, dice ancora Žuravlëv, non c’è proprio nulla di strano nelle dichiarazioni di O’Brien: egli ha «onestamente ammesso che la “sua” Europa è una unione non economica, ma militare. Coloro che si muovono lungo questa direttrice sono dei bravi ragazzi, mentre gli altri sono dei bastardi».
Vale a dire che, in questa prospettiva, l’economia agisce in senso negativo: «bravi ragazzi, che fabbricate carri armati, affossando la vostra economia e, in più, altrettanti carri armati li comprate da noi».
Questo, per quanta riguarda le direttrici “esterne” di movimento. All’interno, si diceva, i primi passi del nuovo governo sono perfettamente all’insegna dei “fondamenti liberal-europeisti”, come d’altronde siamo abituati a subire anche a latitudini più meridionali.
A partire dalla sera del 19 dicembre, il governo Tusk ha dato il via al pieno accaparramento dei vertici dei principali media pubblici – radio, agenzia PAP, gruppo di canali TVP – oltre al Consiglio nazionale di giustizia, che nomina tutti i giudici polacchi.
Il PiS ha immediatamente parlato di «colpo di stato ibrido», dato che, in base alla legislazione polacca, ogni avvicendamento alla direzione di Radio, TVP e PAP può essere deciso soltanto dal Consiglio nazionale dei media, i cui membri erano stati nominati dal precedente Sejm e rimangono in carica fino al 2027, indipendentemente da cambi di governo.
Il pretesto con cui si sarebbe dato il via a tale “golpe” è che i media polacchi avrebbero perso ogni credibilità, venendo meno a «missione e ruolo, fissati per legge».
Il nuovo Sejm chiede che «tutti gli organi del potere statale adottino immediatamente misure per il ristabilimento dell’ordine costituzionale, nel senso dell’accesso dei cittadini a un’informazione veritiera nel lavoro dei media pubblici, come pure sul piano dell’indipendenza, obiettività e pluralismo», ecc.
Di fatto, già nelle giornate del 20 e 21 dicembre, si è verificato un continuo slittamento o anche annullamento di programmi o interruzione del segnale sui vari canali social di TVP (TVP.info, You Tube, ecc.) e sembra che, sul piano tecnico, diversi operatori di TVP abbiano attivamente collaborato al colpo di mano.
Nonostante ciò, anche un canale come OKO.press, pienamente in linea col nuovo governo europeista, ha dovuto ammettere che si sia trattato dello «stesso atto illegale, identico a quello compiuto dal PiS nel 2015-2016» per accaparrarsi il pieno controllo mediatico.
«Non ho mai avuto parole gentili sulla TVP sotto il governo PiS» dice il giornalista Robert Mazurek; «si era toccato il fondo, la melma e anche le alghe morivano di vergogna. Ma il nuovo governo ha di fatto abolito il Sejm. Se ogni suo atto, una legge o la costituzione, può essere invalidato da un decreto ordinario, allora a cosa serve il Parlamento; basta un colonnello».
È il caso di ricordare, nota con sarcasmo Oleg Khavic su Ukraina.Ru, che in otto anni di opposizione, e soprattutto durante la campagna elettorale dello scorso autunno, Donald Tusk e i suoi hanno continuamente accusato il governo PiS di «trasformare la Polonia nella Russia totalitaria».
Ora le parti si sono rovesciate e la medesima accusa è rivolta dal PiS a Piattaforma civica: «sinora in Europa c’erano solo due regimi, il cui standard era il divieto di trasmissione imposto ai canali non favorevoli al governo. Erano Russia e Bielorussia. Oggi il regime Tusk ha unito la Polonia a quella vergognosa compagnia».
Davvero, difficile dubitare che la «pietra angolare del nazionalismo polacco» sia la russofobia: che al potere a Varsavia ci siano i sanfedisti della reazione più oscurantista, oppure i più fermi “difensori delle libertà europeiste”, a minare la “democrazia” a stelle e strisce polacca è comunque Mosca.
Da Washington è un continuo battere pacche sulle spalle a quei «bravi ragazzi».
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