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Francia: Il “riarmamento agricolo” e la lotta di classe nelle campagne

Il movimento degli agricoltori in Francia è ad un punto di svolta. Il 1 febbraio, gli annunci del governo del primo ministro Gabriel Attal, hanno inpratica soddisfatto le due associazioni di categoria di agricoltori ed allevatori più vicini all’agro-business (FNSEA e JA) e alle sue richieste di “deregolamentazione” di tutela ambientale.

É stata la Confédération Paysanne stessa a denunciarlo, insieme ad importanti confederazioni sindacali generali per mano dei propri dirigenti (CGT, Modef, Solidaires e FSU), alle varie associazioni e movimenti che si occupano della difesa dell’ambiente, nonché delle forze politiche progressiste raggruppate dalla NUPES.

La FNSEA e i Jeunes Agriculteurs, onnipresenti negli spazi dei media-mainstream, hanno invitato a levare i blocchi sulle autostrade e ad un sostanziale ‘ritorno alla calma’ dopo gli ennesimi annunci del governo che – oltre a non affrontare la questione di un giusto prezzo per le derrate agricole, e a dimenticare i vari accordi di “libero scambio” che mettono in ginocchio gli agricoltori francesi – sta facendo carta straccia di quelle già deficitarie tutele verso la transizione del settore in una “agro-economia” che riduca il drammatico inquinamento e la penuria di risorse per la collettività.

Come ha detto un agricoltore, portavoce locale della CP in una bella inchiesta di Le Monde sul settore: «hanno sacrificato il bio per dei motivi ideologici anti-ecologisti», di fatto sposando le teorie dell’estrema destra che straparla di una sorta di “ecologia punitiva”.

La Confédération Paysanne prosegue così la mobilitazione, avendo come asse centrale il giusto prezzo pagato agli agricoltori, norme vincolanti a livello europeo per il mercato agricolo, la possibilità di una transizione ecologica del settore, puntando il dito contro la grossa distribuzione.

Proprio contro questo “soggetto forte” ha bloccato diversi punti della logistica dei prodotti agricoli, contestando anche i vari accordi di libero-scambio e le deroghe che stanno facendo letteralmente scomparire quella parte rilevante di agricoltori che non hanno fatto del “gigantismo” agricolo produttivista ed ecocida il loro credo.

Diverse piattaforme dei giganti della grande distribuzione, come Leclerc e Carrefour, sono stati bloccati, così come la maggiore piattaforma logistica a Saint-Quentin Fallavier nell’Isère.

Diamo qualche dato per agevolare la comprensione.

In Francia esistono poco meno di 400mila aziende agricole (389.000 per la precisione), molto differenti al proprio interno.

Una parte degli agricoltori – sia chi ha proseguito l’attività familiare svolta da generazioni, sia coloro che l’hanno scelto come nuova attività lavorativa – ha fatto una scelta “in controtendenza” rispetto al gigantismo agricolo difeso dai vari governi che hanno guidato verso una “produzione intensiva”fatta di prestiti bancari per “investimenti nella meccanizzazione”, saldandosi quindi con la grande distribuzione piuttosto che creare o partecipare ad una filiera differente, con la vendita diretta e/o di prossimità.

É da notare in questo contesto che è stata stimolata, attraverso una precisa politica fiscale, la trasformazione dei salariati agricoli in presunti “micro-imprenditori” a cui le aziende agricole e gli allevamenti, che hanno un forte tasso di “stagionalità” nei lavori, fanno sempre più ricorso.

Il 56% delle poco meno 400 mila aziende agricole, tendenzialmente a “conduzione familiare”, ha fatto ricorso alle cosiddette imprese “de travaux agricole”, cioè ad imprenditori di sé stessi (partite Iva, insomma).

Quello zoccolo duro che non può essere considerato parte del grande agro-business ha deciso di fare una attività scarsamente remunerativa e che richiede una grosso numero di ore lavorate per non finire dentro una spirale che vede suicidarsi due contadini al giorno in Francia; qui il tasso di povertà è pari al 17%, il doppio della media nazionale.

Come ha detto un agricoltore nella già citata inchiesta di Le Monde: «Noi siamo sotto costante pressione dei costi e delle norme, ma non vogliamo lasciarci rinchiudere in un modello che uccide gli agricoltori poco a poco».

É una scelta di contro-tendenza rispetto a quella avviata da tempo in Francia, dove negli ultimi 50 anni le terre coltivate sono quadruplicate, mentre il numero degli addetti si è ridotto circa di quattro volte, e le “terre umide” si sono dimezzate a tutto beneficio dell’agrobusiness.

Un modello di agricoltura che ha drammaticamente mostrato i suoi effetti devastanti a causa dell’inquinamento provocato dall’impiego di prodotti chimici: la maggior causa di morte tra gli agricoltori è il cancro, 1/3 dell’acqua che esce dai rubinetti nell’esagono ha valori oltre la norma per quanto riguarda i metabolites dei pesticidi, mentre negli ultimi 40 anni l’80% della biomassa degli insetti è scomparso, insieme al 60% di quello degli uccelli.

Finanza, multinazionali dell’agro-business e grande distribuzione sono sono i veri vettori della “crisi agricola” che il neo-liberismo vorrebbe risolvere trasformando i contadini in “agrimanagers” ed i salariati agricoli in finti ‘imprenditori di se stessi’, sacrificando così una parte importante del settore.

Negli ultimi anni i “giganti” della grande distribuzione francese (Leclerc, Carrefour e System U) hanno “esternalizzato” in grandi centrali d’acquisito e di gestione dei servizi la propria attività, portando la sede legale fuori dalla Francia, e creando – insieme ad altri ‘pezzi da novanta’ della grande distribuzione europea – alcune aziende incaricate del rapporto con i grandi fornitori, di fatto in grado di bypassare la Lois EGalim che tutelava gli agricoltori permettendo loro di avere un “giusto prezzo” per i propri prodotti.

É in corso un gigantesco processo di concentrazione del settore a livello dell’Unione Europea anche per ciò che riguarda le centrali d’acquisto: Eurlec Trading – che mette insieme Leclerc, la tedesca Rewe e  l’olandese Ahold Delhaize, con sede a Bruxelles -, Eureca, cui partecipa Carrefour (con sede a Madrid, che cura il rapporto con i fornitori di 6 paesi europei,ì tra cui l’Italia), ed Everest che insieme a System U comprende la tedesca Edeka e l’olandese Picnic.

Lo stesso avviene per i servizi, dove la Epic (con sede a Ginevra, comprendente fra l’altro Esselunga), annovera due altri colossi del settore in Portogallo e Svezia, e gestisce un giro d’affari di 140 milioni d euro.

Come abbiamo già ricordato l’attuale governo francese ha scelto di prendersela con i già deficitari in termini di “regolamentazione” ecologica.

Ha accantonato il progetto della “Ecophyto 2030” – in vigore dal 2008 – che era stato pensato per implementare la riduzione dei pesticidi del 50% da qui al 2030; vuole rivedere le “zone di non trattamento” per i prodotti fitosanitari vicino alle abitazioni; mettere sotto “tutela politica” l’organismo indipendente che si occupava della Sicurezza Ambientale e della Salute (ANSES), limitando la sua possibilità di agire in maniera indipendente, come è stato fatto con la proibizione del “S-Métochlore”.

Non da ultimo ha legittimato gli attacchi e le contestazioni rispetto all’Ufficio Francese della Biodiversità (OFB), una sorta di “polizia rurale” con 3.000 addetti, di cui 1.800 ispettori, con il compito di ispezionare le circa 400 mila aziende agricole e di allevamento.

Il grande “riarmo agricolo” annunciato da Attal, nel linguaggio bellico con cui l’establishment politico francese sta affrontando qualsiasi crisi, è un regalo all’agro-business ed all’estrema destra.

Non affronta il tema della spaventosa concentrazione della ricchezza che affama una parte importante del settore agricolo, contribuendo all’impoverimento delle campagne e, cosa non secondaria – vista la speculazione sui prezzi applicata dalla grande distribuzione – alla crisi alimentare che colpisce le porzioni più vulnerabili delle classi subalterne urbane.

La battaglia della Confédération Paysanne, cui si è affiancata una parte importante del mondo politico e sociale, riguarda la possibilità di coniugare le esigenze di una parte della categoria con la transizione ecologica “popolare” ed ai bisogni di una parte rilevante della popolazione; di fatto contro le narrazioni (e le pratiche) tossiche dell’agro-business e dell’estrema destra.

É chiaro che la risoluzione della crisi agricola che questo movimento ha messo in luce non può che passare per una ri-valorizzazione del lavoro agricolo e per una transizione ecologica che permetta di avere cibo di qualità a prezzi accessibili per le classi popolari, e non solo delle classi medio-alte; destrutturando la corsa alla concentrazione della ricchezza di un oligopolio di grandi distributori e fornitori che dettano le loro regole alla politica.

Come ha ricordato una presa di posizione comune delle tre organizzazioni sindacali (CP, CGT, Solidaires, FSU): «opporre il sociale all’ambientale è l’impasse sul quale prosperano l’estrema destra e le politiche liberali», assolutamente assecondata dall’attuale esecutivo e dalle organizzazioni legate all’agribusinness.

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