Sulla scacchiera infiammata del Medio Oriente prosegue il gioco di mosse obbligate che avvicina e allontana repentinamente i rischi di escalation di un conflitto di più ampia portata.
Israele ha sul tavolo diverse opzioni dopo all’attacco sferrato dall’Iran nella notte tra sabato e domenica, ma cercherà probabilmente di sceglierne una che scoraggi un’eventuale contro-risposta da parte di Teheran. Di questo si dice convinto l’analista Lion Udler, esperto di sicurezza di origini israeliane ed ex comandante in una unità speciale di antiterrorismo delle Forze di difesa israeliane (Idf). In un’intervista rilasciata ad “Agenzia Nova”, Udler spiega che la volontà dello Stato ebraico di rispondere all’Iran è fuor di dubbio.
Il punto, dunque, non è “se” Israele reagirà (il gabinetto di guerra ha già preso una decisione in tal senso), ma quando e, soprattutto, come. Avendo ritrovato un ampio appoggio diplomatico dopo l’attacco iraniano, Udler è convinto che il primo ministro Benjamin Netanyahu possa permettersi di “aspettare qualche giorno”. Anche perché, nel frattempo, gli Stati Uniti hanno fatto sapere che intendono ora accelerare l’approvazione di un pacchetto di aiuti militari che prevede lo stanziamento di circa 14 miliardi di dollari per Israele ma che da mesi è in stallo al Congresso perchè la Casa Bianca vorrebbe sbloccare, contestualmente, anche i fondi per gli aiuti militari a Ucraina e Taiwan. Questo sostegno internazionale, sostiene l’analista, consente ai vertici dello Stato ebraico di prendere in considerazione diversi scenari militari.
Tra questi l’uso di missili balistici intercontinentali, che hanno una gittata fino a 15.500 chilometri oppure i Jericho-3, sistemi missilistici a raggio intermedio in grado di colpire obiettivi fino a 4.400 chilometri. Un’altra opzione a disposizione è quella dell’attacco aereo, che Israele potrebbe condurre con caccia F-15, F-16 ed F-35, ma anche con droni di sua fabbricazione. Tutto dipenderà, in ogni caso, dal tipo di obiettivo.
Secondo Udler, un’opzione molto “strategica” è rappresentata dall’impianto, situato a Isfahan, nel quale si producono i famosi droni Shahed-136, gli stessi che l’Iran fornisce alla Russia e che da quest’ultima vengono utilizzati per colpire obiettivi in Ucraina. Se distruggesse tale fabbrica, riflette l’analista, Israele farebbe cosa gradita agli Stati Uniti e ai Paesi europei che appoggiano Kiev contro l’invasione russa. La sua azione, inoltre, sarebbe “bilanciata” e potrebbe scongiurare il rischio di una contro-risposta da parte di Teheran.
Netanyahu avrebbe voluto attaccare già nel fine settimana, e potrebbe essere stato indotto ad aspettare dalle pressioni del presidente statunitense Joe Biden. Il capo della Casa Bianca ritiene però anche che aver intercettato il 99 per cento dei droni e dei missili partiti dall’Iran sia già una vittoria per Israele. È improbabile, secondo Udler, che Netanyahu sia d’accordo.
Gli Stati Uniti ritengono che la risposta di Israele all’attacco dell’Iran di sarà probabilmente limitata e potrebbe concentrarsi sul colpire obiettivi chiave al di fuori dell’Iran, hanno detto quattro funzionari statunitensi alla NBC. Invece di colpire direttamente l’Iran in risposta – cosa che gli alleati di Israele hanno avvertito corre il rischio di far precipitare la regione in una guerra totale – i funzionari statunitensi dicono alla NBC che Israele potrebbe colpire gli alleati dell’Iran, come le sue milizie in Siria o Hezbollah in Libano.
Secondo John Kirby, portavoce per la sicurezza nazionale alla Casa Bianca, il presidente degli Stati Uniti non vede alcun motivo per aggravare la situazione dopo l’attacco dell’Iran. Al contrario, “il presidente non vuole una guerra più ampia nella regione”, ha detto Kirby all’emittente televisiva CBS. “Tutto quello che ha fatto dal 7 ottobre ha lo scopo di impedirlo. E, naturalmente, non vogliamo una guerra con l’Iran”. Allo stesso tempo, il portavoce ha chiarito che gli Stati Uniti continueranno a stare al fianco di Israele in caso di attacco da parte dell’Iran o di altri. “Aiuteremo assolutamente i nostri amici a difendersi”.
L’agenzia iraniana Irna, cita un articolo del giornale israeliano Yedioth Ahronoth secondo cui l’intelligence israeliana non si aspettava un attacco diretto da parte dell’Iran in risposta al raid contro il consolato iraniano a Damasco ma solo attacchi da parte dei suoi alleati regionali come Hezbollah e Ansarallah (Yemen).
La newsletter Affari Internazionali sottolinea che quanto avvenuto sabato notte rivela che la reale linea divisoria in Medio Oriente non sia quella fra arabi e israeliani – come è stato fino agli anni ’80 del Novecento – ma quella fra Israele e i paesi arabi da una parte (con l’eccezione della Siria) e l’Iran all’altra. Ma la cosa più importante è che l’attacco ha spostato il focus internazionale da Gaza, su cui Israele è sulla difensiva, all’Iran, rispetto al quale Israele ha facilmente recuperato il sostegno degli americani e degli europei.
Tuttavia ci sono alcuni elementi che fanno pensare che l’Iran potrebbe aver guadagnato qualcosa.
“Innanzitutto, ha mostrato una certa capacità militare” scrive Affari Internazionali. “È del tutto plausibile che il tasso di intercetti sia inferiore al 99% vantato dagli israeliani”. Un attacco in futuro condotto non a scopo politico ma militare avrebbe con ogni probabilità un impatto superiore a quello ‘telegrafato’ della notte del 13-14 aprile.
“In secondo luogo, la reputazione dell’Iran nell’opinione pubblica regionale si è probabilmente rafforzata perché ha avuto l’audacia di attaccare Israele nonostante il rischio di una pesantissima contro-rappresaglia da parte israeliana e americana”.
Infine, scrive la newsletter dell’Istituto Affari Internazionali – il think thank legato agli ambienti euroatlantici – “l’attacco ha messo una volta di più in risalto l’ipocrisia occidentale, che ha prontamente condannato (giustamente!) l’Iran, ma non ha mai ammonito Israele per avere innescato la spirale escalatoria. Di fatto prima della rappresaglia Stati Uniti ed Europa hanno esortato l’Iran a non agire, senza però fare altrettanto con Israele”.
Secondo gli analisti di Affari Internazionali l’attacco iraniano ha palesato agli occhi del Sud globale e di Russia e Cina la codardia occidentale: “Stati Uniti, Francia e Regno Unito non hanno esitato a utilizzare le loro forze per difendere lo spazio aereo e il territorio di Israele da una rappresaglia che il Paese stesso ha di fatto provocato. Eppure, si guardano bene dal prendere misure per chiudere lo spazio aereo dell’Ucraina, un Paese innocente aggredito da una potenza imperialista con propositi di conquista – e che peraltro utilizza lo stesso tipo di drone”.
Per un’altra analista dello IAI , in Medio Oriente il ruolo delle grandi potenze è cambiato. “La competizione tra Iran e Israele avviene in un contesto dove non vi è una potenza globale a fissare i limiti di questo scontro – gli Stati Uniti dimostrano una diminuita capacità di influenza su Israele – né una potenza regionale capace di controbilanciare e mediare tra questi due attori. L’Arabia Saudita ci ha provato, ma senza successo, sancendo un accordo con Teheran e alludendo, nei giorni prima del 7 ottobre, alla volontà di normalizzazione con Israele”.
Provando a riassumere la situazione di Zugzwang in Medio Oriente:
a) Israele è obbligata a muovere. Aspettiamoci quanto prima dei raid militari israeliani contro l’Iran e/o i suoi alleati dell’Asse della Resistenza, probabilmente in Libano;
b) Una risposta “proporzionata” israeliana gli consentirà di ricevere gli aiuti militari ed economici dagli Stati Uniti e riporterà le interlocuzioni tra Tel Aviv e alcuni paesi arabi ad un clima simile a quello prima del 7 ottobre. Le alleanze in Medio Oriente continuano ad essere a “geometria variabile”. Solo delle forti e “ingovernabili” mobilitazioni popolari nei vari paesi possono influenzarne la direzione e il segno;
c) Netanyahu resta ancora in sella ma non si intravede comunque una exit strategy dal genocidio avviato contro i palestinesi a Gaza nè nella soluzione dello scambio di prigionieri tra Israele e palestinesi.
Conclusione. Nessuno abbassi la guardia o la soglia di attenzione sul futuro assetto della Palestina. La contraddizione principale per tutto il Medio Oriente rimangono il ruolo dello Stato di Israele nella regione e la irrisolta questione palestinese.
- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO
Ultima modifica: stampa
brem
zugszwang
Francesco
Grazie per la segnalazione!
Brem
zugZwang… sorry