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Xi Jinping in Europa, tra diplomazia e commercio

Dopo cinque anni, il presidente della Cina Xi Jinping è tornato in Europa per tre tappe decisamente significative – Francia, Serbia e Ungheria – tutti paesi che con Pechino hanno interesse a dialogare, sia sul piano della diplomazia internazionale, sia su quello strettamente commerciale.

Sui media occidentali è stato ribadito a spron battuto che la missione cinese aveva lo scopo di “dividere la UE”, giocando su paesi che hanno interessi a esprimere una posizione non allineata con Bruxelles. È una narrazione che fa comodo a dipingere la Cina come il nemico, ma non risponde alla realtà.

Di sicuro i luoghi scelti per tornare in Europa palesano il tentativo di Pechino di allontanare Bruxelles dalla deriva bellicista della NATO e dall’inasprimento ulteriore della rivalità con la Cina. Ma, oltre al fatto che questo è un atto di responsabilità per la pace internazionale, l’utilità si può trovare anche nel campo occidentale.

Per ristabilire il senso di questo viaggio, bisogna innanzitutto ricordare che appena due settimane fa il segretario di Stato Usa, Anthony Blinken, era a Pechino e ha incontrato Xi Jinping. È l’ultimo di una serie di incontri e telefonate tra le prime due potenze economiche mondiali che risponde a una strategia di distensione che va avanti da almeno un anno.

Ciò non ha fermato le sanzioni ad alcune compagnie cinesi accusate di sostenere lo sforzo bellico russo. E anche se Washington vorrebbe scavare un solco più grande tra la UE e la Cina, anche nelle capitali europee il sostegno all’Ucraina rimane un punto fermo, come ricordato da Macron.

Con il presidente francese Xi ha avuto quello che è stato probabilmente il confronto più importante. Ma a ribadire come il sensazionalismo dei media nostrani non debba trarci in inganno, l’incontro non è stato a due, ma a tre: c’era anche la presidente della Commissione UE Von der Leyen.

Poco tempo fa Scholz si è recato in Cina e ha sostenuto gli interessi dell’industria tedesca, che non ha possibilità di disaccoppiarsi dall’economia del Dragone da un giorno all’altro. Anche se ciò può aver creato malumori in alcuni ambienti comunitari (quelli più filo-atlantici), ciò è ancora in linea col tentativo UE di assumere maggiore autonomia strategica.

Macron, che sta cercando di recuperare consensi in vista delle europee, accoglie Xi Jinping per mostrarsi come un attore di primo piano a livello internazionale. Ma lo fa comunque con accanto la Von der Leyen, a difesa del progetto imperialistico europeo.

E alla fine, sulla “guerra mondiale a pezzi” che osserviamo dall’est Europa al Medio Oriente, non si sono osservate grandi novità. Gli interlocutori hanno ribadito la necessità di soluzioni diplomatiche, ciascuno con le proprie sfumature già ampiamente esposte in tutte le sedi che contano.

A dire il vero Xi Jinping ha concesso alcune novità: ha parlato di fermare la violenza “terroristica” e del rilascio di “ostaggi” – non di “civili detenuti”. Il rappresentante cinese alla Corte Internazionale di Giustizia aveva sostenuto il diritto all’autodeterminazione dei palestinesi contro la colonizzazione, che non deve essere considerato come terrorismo.

Anche qui si nota la geometria variabile delle dichiarazioni, l’ultima più adatta al contesto europeo e funzionale alla convergenza diplomatica. Cautela che, anche in questo caso, non è nuova all’atteggiamento cinese, ma bisognerà vedere se ciò si tradurrà in qualcosa di concreto.

Macron ha comunque portato a casa anche il sostegno alla cessazione delle ostilità durante le Olimpiadi di Parigi, dal 26 luglio all’11 agosto. Una carta peculiare da giocare sui tavoli internazionali, ma unica sostanziale aggiunta, oltre alla contrarietà all’attacco a Rafah, rispetto alle posizioni ripetute da mesi dai vari attori coinvolti.

Di certo, invece, il piano economico risulta più interessante. Francia e Cina hanno firmato 18 documenti di cooperazione bilaterale in settori quali lo sviluppo verde, l’aviazione, l’agroalimentare, il commercio e gli scambi interpersonali.

Parigi spera di esportare più prodotti agricoli, e Pechino spera che con essi arrivino anche quelli hi-tech, con evidente riferimento alle sanzioni statunitensi. Ma allo stesso tempo sembra che già da questo mese possano arrivare anche i dazi europei sulle automobili elettriche cinesi.

Le Monde ha da poco riferito che i porti di Anversa e Zeebrugge sono inondati di vetture elettriche made in China, con importanti ripercussioni sui prezzi di mercato. Xi Jinping stesso ha affermato che il “cosiddetto ‘problema della sovracapacità cinese’ non esiste” per i profitti europei e per le condizioni della domanda globale.

Alla fine, questi sono stati i nodi anche delle altre due tappe. In Serbia il segretario del più grande partito comunista al mondo è arrivato il giorno del 25esimo anniversario del bombardamento NATO dell’ambasciata cinese di Belgrado, mandando un evidente segnale sulla minaccia alla pace rappresentata dagli euroatlantici.

Ma ad ogni modo, la Serbia rimane candidata all’ingresso nella UE, nonostante i suoi rapporti con Mosca. E la Cina è il suo secondo partner commerciale (dopo la UE, appunto), col presidente Vučić che ha chiuso con la delegazione cinese altri 30 accordi commerciali.

Anche in Ungheria Xi Jinping ha sicuramente strizzato l’occhio a chi, seppur in maniera strumentale, non è completamente allineato con lo scontro a tutto campo con Putin. Ma anche a Budapest si è parlato di investimenti e collaborazioni: 16 nuovi accordi firmati.

Con l’occasione è stato anche annunciato un “Partenariato strategico globale per tutte le stagioni nella nuova era“, una formula che per ora era stata usata da Pechino solo per il Pakistan. E Orban ha affermato che il suo paese “non si identifica con la retorica della ‘sovracapacità’ o del ‘de-risking'”, oltre a sostenere l’iniziativa di pace cinese per l’Ucraina.

In Ungheria la casa automobilistica cinese BYD sta completando una sua catena di montaggio, mentre CATL costruisce un impianto per produrre batterie capaci di far marciare un’auto per 1.000 km. Altri fondi si prevede arriveranno per l’unico paese UE rimasto nella Belt and Road Initiative, dopo il ritiro dell’Italia.

Quello a cui assistiamo è una partita a scacchi. In questa fase di precipitazione internazionale, con interessi economici incrociati, i protagonisti della politica globale si muovono con cautela, posizionando i pezzi e tentando di ottenere o mantenere posizioni di vantaggio.

Non sarà un viaggio di Xi Jinping che cambierà la storia, per quanto allarmismo vogliano far passare i nostri giornali. Di certo, inserirlo nella cornice dell’evidente crisi economica e di egemonia dell’Occidente, con la sua conseguente deriva bellicista, ci può aiutare a comprendere la dinamica storica in cui siamo immersi.

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