Il boicottaggio accademico è uno degli strumenti della campagna BDS (Boicottaggio Di-investimento e Sanzioni) che l’attuale movimento studentesco a livello globale ha adottato per de-connettere il sistema di istruzione e di ricerca universitario occidentale dalla filiera bellica israeliana.
Le università israeliane sono un segmento strategico nel complesso militare-industriale sionista che rende possibile il genocidio a Gaza e la colonizzazione in Cisgiordania.
Rompere tale “complicità” è uno strumento efficace per aumentare l’isolamento israeliano e fare pressione su quei governi, come il nostro, allineati con Israele.
Abbiamo puntualmente documentato lo sviluppo di questo movimento anche in Italia che ha ottenuto vittorie importanti, mostrando anche le strette relazioni che i nostri atenei intrattengono con chi rende possibile la costruzione della macchina della morte israeliana.
Qui traduciamo una inchiesta del corrispondente a Gerusalemme del quotidiano francese Le Monde Samuel Forey che ha il pregio tra l’altro di mostrare il preoccupato punto di vista degli accademici israeliani su questo fenomeno ed in generale ha il merito nel fare emergere i suoi effetti concreti.
Prendiamo il caso iberico, dove i rettori hanno preso la posizione più netta ed estesa nel sistema accademico occidentale.
“Le università israeliane potrebbero forse fare a meno della cooperazione con le loro controparti spagnole, dati i loro stretti legami con le istituzioni americane, britanniche e tedesche. Ma Spagna e Israele sono integrati nei più importanti programmi europei di ricerca e innovazione, come Horizon 2020 e Horizon Europe. Lo Stato ebraico partecipa a queste piattaforme dal 1996 e ha ricevuto 360 milioni di euro in più rispetto al suo contributo per Horizon 2020 nel periodo 2014-2020. Ora ha aderito al nuovo programma, Horizon Europe, che dovrebbe distribuire circa 95 miliardi di euro sotto forma di sovvenzioni tra il 2021 e il 2027”.
Bisogna ricordare che Horizon Europe è uno dei programmi “chiave” – come recita il sito ufficiale dell’Unione Europea – “per la ricerca e l’innovazione” con un budget di 9 miliardi e e 5 milioni di euro.
Nel corso della collaborazione accademica in ambito UE con Israele iniziata nel 1996, sono stati più di 5 mila i progetti di ricerca portati avanti congiuntamente.
Il 6 dicembre del 2021 è stato sottoscritto l’accordo per Horizon Europe.
Un altro dato che emerge dalla lunga e densa inchiesta di Forey è il clima da caccia alle streghe che gli stessi studenti israeliani promuovono nei confronti degli stessi professori non allineati con l’attuale esecutivo di guerra.
“Quando il 22 maggio 1.400 accademici israeliani hanno pubblicato una petizione per chiedere la fine della guerra e la restituzione degli ostaggi, il sindacato nazionale degli studenti israeliani ha immediatamente reagito. Ha proposto una legge che obbliga le università a licenziare tutti gli accademici che si esprimono contro “l’esistenza di Israele come Stato ebraico e democratico”, compresi i professori ordinari. Le istituzioni che non si adeguano perderebbero i finanziamenti pubblici. La proposta di legge dovrebbe ricevere la maggioranza dei voti alla Knesset. Non è ancora stata presentata”.
Buona lettura
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In Israele, la minaccia crescente del boicottaggio delle università
Samuel Forey – “Le Monde”
Gli istituti di istruzione superiore occidentali stanno iniziando a sospendere le relazioni con le loro controparti nello Stato ebraico, con la motivazione che esse contribuiscono al sistema di occupazione e colonizzazione della Palestina.
Il 17 maggio, in risposta ai continui massacri di civili nella Striscia di Gaza, il Consiglio di amministrazione della Conferenza dei rettori delle università spagnole ha rilasciato una dichiarazione in cui si impegna a “rivedere e, se necessario, sospendere gli accordi di collaborazione con le università e i centri di ricerca israeliani che non hanno espresso un fermo impegno per la pace e il rispetto del diritto internazionale umanitario”. L’organismo spagnolo riunisce cinquanta università pubbliche e ventisei private.
A Gerusalemme, Tamir Sheafer, rettore dell’Università Ebraica, è preoccupato: “Le minacce di boicottaggio erano latenti dal 7 ottobre 2023. Ma nelle ultime due settimane sono diventate uno tsunami. Dalle lettere e dalle informazioni che riceviamo, non riesco a contare il numero di rapporti accademici che sono stati sospesi o addirittura interrotti“.
Si tratta di un duro colpo per il settore universitario israeliano, considerato uno dei fiori all’occhiello dello Stato ebraico. Gli istituti di istruzione superiore del Paese sono classificati tra i migliori al mondo, sia nelle “scienze dure” che in quelle umane e sociali. Essi contribuiscono a rendere Israele una delle economie più dinamiche del mondo.
Programmi fragili
Le università israeliane potrebbero forse fare a meno della cooperazione con le loro controparti spagnole, dati i loro stretti legami con le istituzioni americane, britanniche e tedesche. Ma Spagna e Israele sono integrati nei più importanti programmi europei di ricerca e innovazione, come Horizon 2020 e Horizon Europe. Lo Stato ebraico partecipa a queste piattaforme dal 1996 e ha ricevuto 360 milioni di euro in più rispetto al suo contributo per Horizon 2020 nel periodo 2014-2020. Ora ha aderito al nuovo programma, Horizon Europe, che dovrebbe distribuire circa 95 miliardi di euro sotto forma di sovvenzioni tra il 2021 e il 2027.
Il 17 maggio, l’Università di Granada ha annunciato la sospensione delle relazioni con le sue controparti israeliane, sia a livello bilaterale che nell’ambito di questi programmi europei. L’Università di Barcellona, da parte sua, ha chiesto che alle istituzioni israeliane venga impedito di partecipare a questi progetti. Anche altre istituzioni europee, come la Norvegia, hanno dichiarato di voler interrompere la loro collaborazione con Israele. Sebbene la stragrande maggioranza del mondo accademico europeo non abbia annunciato un boicottaggio, queste iniziative, anche se isolate, rischiano di minare questi programmi, così come lo Spazio europeo della ricerca, una sorta di mercato scientifico comune su scala continentale.
Il Forum dei Presidenti delle Università israeliane ha reagito il 21 maggio con una dichiarazione ferma e preoccupata. Il documento ricorda l’impegno di queste istituzioni nella lotta contro il progetto di riforma giudiziaria lanciato dal governo di Benyamin Netanyahu e sottolinea che, secondo l’Academic Freedom Index, il livello di libertà accademica in Israele è considerato uno dei più alti al mondo.
Ricerca per l’industria militare
Resta il fatto che le università israeliane sono accusate di contribuire all’occupazione e alla colonizzazione della Palestina. Maya Wind, un’antropologa israeliana dell’università canadese British Columbia, che ha scritto un’opera di riferimento sulla partecipazione accademica al “progetto coloniale israeliano”, Towers of Ivory and Steel (non tradotto in italiano, NdC), ha scritto su Jacobin che “Rafael e le Industrie Aerospaziali Israeliane, due dei maggiori produttori di armi di Israele, si sono sviluppate grazie all’infrastruttura messa in piedi dall’Istituto Weizmann e dal Technion”. Il Technion, il più antico istituto di istruzione superiore israeliano, è considerato uno dei principali centri di ricerca al mondo sull’intelligenza artificiale, che viene utilizzata dall’esercito per produrre banchi di bersagli in serie.
“Naturalmente nelle università si sviluppano idee di ogni tipo e alcune vengono utilizzate dall’esercito. Ma la scienza è scienza. Noi non facciamo politica. Abbiamo un impegno molto chiaro e forte nei confronti della nostra libertà accademica. Un boicottaggio danneggerebbe Israele, ma danneggerebbe anche la scienza nel suo complesso e i valori che condividiamo. Fare pressione sulle università non farà pressione sul mondo politico“, afferma Arie Zaban, presidente dell’Università Bar-Ilan, considerata piuttosto conservatrice, e direttore del Forum dei presidenti universitari di Israele.
In Europa, la British Society for Middle Eastern Studies (BriSMES), una delle più grandi associazioni accademiche per gli studi mediorientali, ha adottato una risoluzione nel 2019 per sostenere la richiesta di boicottaggio delle istituzioni accademiche israeliane.
L’avvocato israeliano Neve Gordon, vicepresidente del BriSMES, che insegna diritto internazionale alla Queen Mary University di Londra, giustifica l’iniziativa: “Le discipline insegnate nelle università, come l’arabo e il farsi, sono utilizzate per scopi di intelligence. In archeologia, i ricercatori si concentrano sulla ricerca di tracce dell’Israele biblico, ignorando secoli di presenza musulmana. Gli esperti legali giustificano il bombardamento di edifici, appartamenti, ospedali, scuole e università palestinesi. C’è un intero apparato che svolge un ruolo importante nel sostenere la colonizzazione, mentre le scienze dure svolgono ricerche per l’industria militare“.
Bastioni dei valori democratici
Queste argomentazioni hanno il pregio di irritare Tamir Shaefer. “Boicottare l’accademia è sbagliato e ingiusto“, dice. “Le università sono indipendenti dal governo. Siamo isole di buon senso, baluardi dei valori democratici. Dei 24.000 studenti della Hebrew University, il 16% è arabo, la metà dei quali proviene da Gerusalemme Est. Abbiamo programmi di preparazione gratuiti per loro. Palestinesi ed ebrei possono interagire in questo campus. Vivono insieme nei dormitori. E anche mentre fuori infuriava la guerra, il campus era tranquillo“.
Neve Gordon tiene a precisare che il boicottaggio universitario è uno strumento al servizio di una causa, non un fine in sé: “Dobbiamo usarlo per far sì che Israele cambi le sue politiche abusive nei confronti dei palestinesi. Una volta che questo sarà terminato, anche il boicottaggio avrà fine”.
La sospensione delle relazioni universitarie con Israele è un’idea vecchia. Risale al lancio della campagna palestinese per il boicottaggio accademico e culturale nel 2004. Ha aperto la strada alla campagna Boicottaggio, disinvestimento e sanzioni dell’anno successivo.
Negli Stati Uniti, la questione è emersa a seguito della guerra tra Israele e Hamas nell’estate del 2014. “È stato un punto di rottura, nel mondo accademico americano, anche se il processo è stato graduale”, spiega Matthieu Rey, direttore degli studi contemporanei dell’Institut français du Proche-Orient. “Quell’anno, l’Associazione per gli studi sul Medio Oriente, che conta 3.500 membri, ha approvato una risoluzione contro l’attacco agli accademici che sostengono il boicottaggio accademico. E nel 2022 ha approvato la richiesta di boicottaggio contro Israele. Con le attuali manifestazioni nei campus degli Stati Uniti, è la prima volta che la Palestina entra a far parte della storia americana“, analizza. “Oggi esistono diversi scenari di boicottaggio, tra coloro che si battono per rompere con le istituzioni e altri che si battono solo con gli individui. In Sudafrica, gli attivisti anti-apartheid delle principali università liberali hanno chiesto un boicottaggio totale“.
Negli Stati Uniti, la Sonoma State University in California è la prima – e per ora l’unica – università ad aver adottato questo tipo di sanzione contro Israele. Il presidente della Sonoma è stato immediatamente licenziato dal consiglio di amministrazione.
Luoghi di produzione critica
Il politologo israeliano Denis Charbit, docente alla Open University di Israele, si rammarica della mancanza di dibattito: “Tra i pro e i contro, dovremmo accettare una posizione intermedia: caso per caso. Posso capire se vengono messi in discussione progetti di ricerca franco-israeliani con applicazioni tecnologiche dirette alle armi. Ma perché dichiarare un boicottaggio generale delle istituzioni accademiche che sono luoghi di produzione critica su Israele o sul sionismo? Nessuno contesta l’impatto dei nuovi storici sulla sensibilizzazione alla Nakba Il boicottaggio selettivo è percepibile da parte israeliana e sarebbe un’occasione di dibattito sui legami tra scienze pure e scienze applicate…“.
Se il sistema universitario israeliano può aver contribuito alla costruzione ideologica del sionismo, ha anche contribuito a decostruirlo, formando alcuni dei principali ricercatori di studi postcoloniali. È alla Hebrew University che Yotam Rotfeld, studente di legge, ha iniziato a vedere i palestinesi in modo diverso: “Guardate le nostre vite: a 18 anni ci si arruola nell’esercito. Io ero un cecchino nei paracadutisti. Ho fatto cose terribili. Poi si viaggia. Poi si studia, finalmente. Avevo bisogno di capire. E l’università mi ha dato gli strumenti per capire. Il boicottaggio è uno strumento legittimo. Ma, per me, dovrebbe essere evitato perché non porta i risultati attesi, cioè la fine dell’occupazione e dell’apartheid“.
L’Università Ebraica, arroccata su uno sperone roccioso che domina Gerusalemme, il Monte Scopus, sembra lontana da questi pensieri. In questo campus in stile americano, vasto e sicuro, costellato di spazi verdi, i ritratti degli ostaggi detenuti da Hamas sono ovunque. I parenti del personale e degli studenti sono stati uccisi nell’attacco del 7 ottobre 2023 e a Gaza nella guerra che ne è seguita.
Preso in una morsa
L’università è stata coinvolta in una violenta controversia riguardante uno dei suoi professori di fama mondiale, Nadera Shalhoub-Kevorkian. Palestinese con cittadinanza israeliana, originaria di Haifa, questa avvocatessa femminista concentra le sue ricerche sui traumi, i crimini di Stato e gli studi sui genocidi, ed era considerata un modello di successo in Israele. Nei giorni successivi all’attacco di Hamas, ha firmato una petizione che denunciava un “genocidio israeliano sostenuto dall’Occidente a Gaza” e sosteneva che Israele stava usando “i corpi delle donne come armi politiche”.
Le sanzioni imposte alla ricercatrice, che è stata duramente aggredita dai suoi superiori e poi arrestata dalla polizia, hanno danneggiato la reputazione dell’università, nota per custodire gelosamente la libertà accademica.
Tamir Sheafer si difende: “La signora Shalhoub-Kevorkian è stata sospesa solo per tre giorni. Ha chiarito la sua posizione ed è stata reintegrata. Poi è stata arrestata dalla polizia perché viviamo sotto un governo di estrema destra! Ma il danno era fatto. Se l’università non avesse suscitato un tale clamore, la polizia non sarebbe stata allertata. Con un simile comportamento, non dovremmo stupirci di essere boicottati“, commenta un membro dell’università che chiede l’anonimato.
Anche il mondo accademico israeliano è stretto tra le pressioni internazionali e il governo ultranazionalista di Benyamin Netanyahu, che permette di esprimere le opinioni più radicali. Quando il 22 maggio 1.400 accademici israeliani hanno pubblicato una petizione per chiedere la fine della guerra e la restituzione degli ostaggi, il sindacato nazionale degli studenti israeliani ha immediatamente reagito. Ha proposto una legge che obbliga le università a licenziare tutti gli accademici che si esprimono contro “l’esistenza di Israele come Stato ebraico e democratico”, compresi i professori ordinari. Le istituzioni che non si adeguano perderebbero i finanziamenti pubblici. La proposta di legge dovrebbe ricevere la maggioranza dei voti alla Knesset. Non è ancora stata presentata.
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