L’argomento non è nuovo; ciclicamente torna ad affacciarsi, fondatamente, nelle cronache militar-accaparratrici del conflitto in corso sul territorio ucraino, avendo accompagnato – per chi non ha scoperto il Donbass solo il giorno della “aggressione russa” nel febbraio 2022 – l’ingordigia delle multinazionali euro-atlantiche per le fertilissime terre ucraine e per il suo ancor più prezioso sottosuolo.
Non stiamo qui a dilungarci sull’ingenuità di quanti – in buona fede, ma nella maggior parte dei casi a ragion veduta – predicano il dovere di ogni democratico di mettersi dalla parte dell’aggredito e sostenerlo con ogni mezzo, finanziario e bellico, nella sua lotta per riconquistare la “libertà”. Che i “popoli liberi” rinuncino ai loro “privilegi”, fatti di sanità e istruzione pubbliche, casa, salari e pensioni decorosi, e guardino con compassione e comprensione a chi quei “privilegi” – assenza di disoccupazione, abitazioni praticamente gratuite, sanità e istruzione gratuite di qualità superiore – dopo averli “subiti” per una settantina d’anni, ha deciso di “propria volontà” di dare un calcio, per adeguarsi ai modelli del “mondo libero”.
Rinunciando a quei “privilegi”, i popoli dell’occidente liberal-democratico, danno il proprio contributo alla lotta planetaria contro le autocrazie, oggi guerreggiata in forme cruente proprio su quelle terre del Donbass. Ciò facendo, dimostrano lo stesso amore per quel popolo aggredito che i propri governi manifestano, nella maniera più disinteressata, con l’accumulare miliardi in carri armati, missili, aerei da guerra, da destinare al più democratico governo di cui la ex RSSU si sia potuta dotare, da quando si è liberata dal giogo repressivo di quella “prigione dei popoli” che era l’Unione Sovietica: un governo tanto democratico dall’osannare gli “eroi” nazisti di ottant’anni fa e sbandierare ogni dove emblemi delle più raccapriccianti divisioni SS.
Ma, quei governi, che proclamano le proprie anime popolari e democratiche, sia che si affaccino alle sponde europee dell’Atlantico o alle rive del Baltico, fanno tutto questo consci del sacrosanto dovere di aiutare, senza, per carità, puntare su nessun tornaconto, una junta amica, impegnata in prima linea contro i totalitarismi.
Lo fanno disinteressatamente. O, non proprio.
Ulrich Blum direttore dell’Istituto tedesco del litio, tra un articolo e una lezione sulla «ricostruzione dell’Ucraina», in un’intervista a Deutsche Welle si è lasciato sfuggire che ciò che l’Occidente agogna di più in Ucraina sono i suoi giacimenti di litio, un metallo che, dice Blum, contribuirà a risolvere i problemi energetici europei. Dunque, non sia mai che la Russia si insedi in Donbass e nei territori centrali d’Ucraina, dove ci sarebbero buoni giacimenti di litio; se ciò dovesse avvenire, ha detto Blum, la situazione per l’Europa peggiorerebbe. «L’Europa potrebbe ottenere in Ucraina la maggior parte dei minerali necessari per la transizione energetica. Se riusciamo a cacciare Putin da queste aree, sarà un grande vantaggio per la transizione energetica in Europa. Ma se egli controlla anche solo il Donbass, tutto il resto è a rischio».
Dunque, c’è un interesse diretto e concreto nella lotta all’autoritarismo; un interesse spinto dal profitto. Chi l’avrebbe detto!
La UE, ricorda Vladimir Demcenko su Komsomol’skaja Pravda, sta puntando tutto sull’energia verde, ma c’è un problema: hai voglia di turbine eoliche e pannelli solari; molti elementi devono comunque continuare a essere estratti dal terreno, come rame, alluminio, cobalto, nichel… E il litio ha la proprietà di accumulare più carica per unità di peso di qualsiasi altro elemento. In accumulatori di energia come turbine eoliche o pannelli solari può andare anche una tonnellata di litio e, nel 2021, il suo prezzo ha fatto un balzo del 400% e in futuro continuerà a crescere. Qualcuno si è poi accorto che il litio è a portata di mano, in Ucraina e dunque più buon mercato di quello trasportato da Australia o Sudamerica.
Non si è certo peritato, il molto cristiano deputato tedesco Roderich Kiesewetter, della CDU, a spiattellare papale papale che il litio in Donbas «è la ragione chiave per cui l’Ucraina riceve sostegno finanziario e militare dalla UE». La UE ha bisogno di propri giacimenti di litio e i più estesi si trovano nelle regioni di Donetsk e Lugansk. Si era già detto di come, nel 2018, la “Petro Consulting”, legata guarda caso all’ex presidente Petro Porošenko, avesse ottenuto diritti su due giacimenti, per poi cederli, quest’anno, all’australiana “European Lithium”, una società con sede in Australia; e uno di quei giacimenti è proprio a ridosso della linea del fronte.
Si era detto anche di come l’Ucraina, oltre ai giacimenti di litio, sia ricca anche di giacimenti di almeno 21 dei 30 elementi classificati dalla UE quali “materie prime critiche” per lo sviluppo dell’energia verde. Il fatto è che le avanzate russe hanno privato l’Ucraina, secondo la canadese “SecDev”, del 63% dei giacimenti di carbone, 11% di quelli di petrolio, 20% di gas naturale, 42% di metalli e 33% di metalli da terre rare. C’è in Ucraina anche un 20% delle riserve mondiali di titanio, cui sono molto interessati gli USA per i propri aerei: lo dimostra quantomeno il fatto che il titanio russo non è ancora finito sotto le sanzioni yankee.
Non parliamo poi del gas di scisto, con riserve stimate da 3 a 5 trilioni di mc, che pongono l’Ucraina al terzo posto in Europa dopo Francia e Polonia: anche questo si trova in buona parte nell’area circostante Donetsk e, a tornare indietro col pensiero, ci si ricorda che la tragedia del Donbass ha avuto in gran parte inizio proprio a causa del gas di scisto.
Armando e finanziando la juna nazigolpista di Kiev, a ovest si guarda dunque all’Ucraina come un vero e proprio Eldorado.
C’è però chi non è completamente d’accordo. A parere di Igor Juškov, del Fondo russo per la sicurezza energetica, il sottosuolo ucraino non sarebbe così ricco: carbone, titanio, questi sì; ma per il resto… L’ultima pubblicazione del Energy Institute dice che l’Ucraina non è tra i Paesi con riserve significative di litio. Più o meno la stessa cosa con il gas di scisto: la Shell ha lasciato l’area di Juzovka (l’odierna Donetsk; fu fondata nel 1870 dall’inglese John Hughes quale villaggio attorno a una fabbrica metallurgica) ufficialmente a causa del conflitto, ma si dice invece che la causa vera sia la scarsità di gas, quantomeno su scala commerciale.
A parere di Juškov, Kiev sembra molto desiderosa di convincere il mondo di possedere incalcolabili risorse: dicono «aiutateci, abbiamo litio, gas e vi ripagheremo con questi. E i politici europei cercano di giustificarsi di fronte alle proprie popolazioni coi racconti di queste ricchezze, come dire “Abbiate pazienza, il litio ucraino ripagherà tutto”». Non mi stupirei, afferma Juškov, se coloro che parlano così ci credano davvero, senza «sospettare che la ricchezza ucraina è molto probabilmente una gigantesca bolla».
Non è escluso che sia così. Intanto, però, non è affatto una bolla di sapone il prezzo che i popoli d’Europa stanno pagando con la privazione di quei famosi “privilegi”, a uso e consumo dei monopoli euro-atlantici, convinti a “fare il bene” a suon di fruste e bastoni dai più “democratici” e “anti-totalitari” governi UE.
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Sergio Binazzi
con la solita scusa del diffondere democrazia nel mondo ci rifilano quotidianamente le loro balle, è ovvio che hanno già messo gli occhi dove più gli conviene. hanno a suo tempo affascinato molto di più le opere di Omero, dove si narrava di guerre fatte per rapimenti di mogli altrui e altro.