L’opposizione venezuelana può fare tutto il rumore che vuole in termini di terrorismo mediatico, ma sa che non sarà sufficiente per cercare – ancora una volta in 35 anni – di mettere in ginocchio il chavismo.
Si capisce che, oltre a contare sull’appoggio internazionale delle forze di coalizione della destra e dell’imperialismo in ogni occasione, l’errore di calcolo si manifesta sempre nel fatto che il fattore principale per garantire il successo della battaglia elettorale viene meno: non hanno l’appoggio del popolo.
Questo accade perché gli uomini e le donne del Venezuela hanno già vissuto e sofferto per decenni ciò che hanno significato questi innumerevoli decenni di governo dei “delegati” delle quattro o cinque famiglie che si considerano i padroni del Paese.
Famiglie che sono state dietro la dittatura di Pérez Jiménez, che sono state dietro il “patto di Punto Fijo”, che hanno abortito nel sangue e nel fuoco le varie esperienze di guerriglia o le rivolte popolari, anche quelle di un pugno di militari patriottici che hanno preceduto quelli che sono arrivati dopo con Hugo Chávez.
Quelle quattro o cinque famiglie che hanno contribuito a trasformare un membro dell’Internazionale Socialista, come Carlos Andrés Pérez, nel genocida del Caracazo.
Tutto questo accadde fino a quando un tenente colonnello, amico del popolo, lanciò un grido nel febbraio del 1992 e, pur non potendo invertire la tragedia vissuta dai più umili, lanciò la frase che avrebbe fatto la storia e aperto le porte a una lunga successione di trionfi che sarebbero arrivati, non più con la forza delle armi ma per via elettorale, dalla fine del 1998 a oggi.
Proprio così, le quattro o cinque famiglie abituate a sentirsi padrone di tutto hanno sofferto sulla propria pelle il flagello dell’uragano popolare che si è scatenato con Chávez, e quando l’impero ha portato alla sua morte in circostanze molto strane, che per molti sanno ancora di omicidio, la continuità rivoluzionaria è continuata nelle mani dell’erede del Comandante, Nicolás Maduro. Un nome mai scelto meglio per continuare a costruire la Rivoluzione contro ogni previsione.
Così, per tre decenni e mezzo, il Paese ha costruito un processo che, come quello di Cuba, è diventato un punto di riferimento di cosa significhi sommare la realtà dei fatti e non le vuote promesse, brandire la giustizia sociale come bandiera dell’inclusione della maggioranza, praticare il socialismo, togliendolo dallo scaffale degli slogan con i fatti e non con le parole.
Insomma, governare per, da e con il popolo, mentre in altri Paesi si sono succeduti governi progressisti inefficaci e insoddisfacenti, o peggio, esperienze letali di destra che nel tempo si sono trasformate in una variante estrema della perversione, come nel caso del Perù, dell’Argentina, del Paraguay, e la lista continua.
Ora, tra poche ore, il Venezuela tornerà a contemplare la battaglia tra il più nefasto involuzionismo e la ribellione anticapitalista e antimperialista del popolo coraggioso disposto a rieleggere Maduro. Mentre all’estero la campagna è feroce per fare del leader di una democrazia partecipativa di successo un “dittatore”, la beata verità è l’unica realtà, e viceversa.
Vediamo allora perché Nicolás Maduro vincerà il 28 luglio: tra le tante cose, perché la Rivoluzione ha già costruito 5 milioni di case, perché a differenza del passato, i venezuelani producono attualmente il 97% degli alimenti che consumano, perché in mezzo a un tremendo blocco e a più di 900 sanzioni imposte dagli ultimi governi statunitensi, la produzione è cresciuta del 5,2%, perché sono state recuperate più di 20.000 scuole, 8 milioni di studenti si sono iscritti e 200.000 nuovi insegnanti sono entrati nel sistema educativo.
Non solo, ma grazie al programma “Yo si puedo”, il Venezuela è una nazione libera dall’analfabetismo, sono state costruite più università e scuole tecniche e si sono laureati 4,8 milioni di studenti.
Per quanto riguarda la salute, ogni anno vengono effettuate 100 milioni di visite mediche e, con il lancio della “Missione Sorriso”, 1,5 milioni di persone si sono fatte curare i denti.
Per non parlare del successo di una delle grandi scommesse di Chávez che Maduro ha saputo onorare: “las Comunas”, dove grazie a una combinazione di volontà politica e coscienza di classe, sono stati realizzati 150.000 progetti comunitari, il che significa che il potere per il popolo non è una chimera ma un risultato tangibile.
Inoltre, nel bel mezzo della più brutale recessione economica dell’America Latina e dei Caraibi, il tasso di crescita del Prodotto Interno Lordo previsto per quest’anno dà il Venezuela in testa con il 4,0%, mentre gli altri non superano il 3,6% e l’Argentina registra un meno 3,1%.
Come dicono i giovani chavisti “per ogni sanzione che ci applicano, rispondiamo con una soluzione”.
Così è stato possibile concedere il 91% in più di crediti, la produzione agricola è aumentata e a poco a poco e passo dopo passo è stata superata l’iperinflazione, che nei momenti peggiori del blocco, delle guarimbas assassine e delle vessazioni imperialiste con la complicità dell’Organizzazione del Stati Americani, ha raggiunto il 150.000%.
E il Paese non è crollato come avrebbero fatto tutti gli altri, anche quelli che pretendono di essere super sviluppati.
Nemmeno la pandemia è stata in grado di sconfiggere l’organizzazione e la disciplina delle masse bolivariane che, con il loro atteggiamento, hanno infuso fiducia al resto della popolazione e tutti si sono vaccinati, senza eccezioni di sorta, un beneficio che ha raggiunto anche i figli e i nipoti di quei quattro o cinque “cognomi” predatori di cui ha parlato recentemente Maduro.
Queste e mille altre ragioni sono la verità nascosta all’estero, quella che i media egemoni, da Infobae e La Nación nell’Argentina fascistizzata e israelizzata di Milei, a El País e ABC in Spagna, o alla CNN e ai suoi satelliti distorsivi dell’informazione, tengono nascosta (e la Repubblica, aggiungiamo noi).
Ma la verità riemerge sempre anche se la si vuole far sparire per decreto, per cui vale la pena ricordare che María Corina Machado, discendente diretta di una delle potenti famiglie non ha esitato a gridare ai gerarchi statunitensi e persino allo stesso Netanyahu, il “macellaio di Gaza”, di intervenire militarmente per “cacciare il dittatore”, o che il suo attuale burattino, questo González, è lo stesso che decenni fa si unì agli squadroni della morte in El Salvador, dove militava il suo amico ambasciatore venezuelano Leopoldo Castillo, e torturò e uccise decine di militanti popolari.
Il prossimo 28 luglio il popolo venezuelano, che conosce la verità e ha buona memoria, non avrà dubbi e, indipendentemente da ciò che dicono le pedine dell’impero, dentro o fuori il Paese, voterà con gioia e speranza per Nicolás Maduro Moros, il combattente che ha avuto il coraggio e la determinazione di affrontare la sfida posta dal Comandante Eterno.
*Direttore di Resumen latinoamericano
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