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Kiev prova a fare il “cane pazzo” come Israele

Ci vuole un tecnico per smontare le chiacchiere ideologiche e la propaganda spicciola. Se il tema è la guerra, poi, solo un militare pensante può guardare freddamente quel che accade sul terreno e chiamare le cose col loro vero nome.

Da una settimana i media nazionali e continentali sono inebriati dall’”offensiva” ucraina nell’oblast russo di Kursk. Pochi chilometri di sconfinamento vengono rivenduti come un rovesciamento del fronte e dell’andamento del conflitto. Il quotidiano sfortunatamente più venduto in Italia arriva a definire la Russia “un colabrodo”.

L’ideologia annebbia e azzera la memoria. Anche l’allora Unione Sovietica, e proprio in quella zona, veniva descritta così dai comandi nazifascisti oltre 80 anni fa.

Oggi come allora – o come ai tempi di Napoleone – ci si bea del fatto incontestabile che “i confini” russi non sono un muro blindato, un groviglio di trincee e cavalli di frisia. Chiunque abbia anche solo viaggiato da quelle parti, persino in tempi recentissimi, ha visto una successione di sterminati campi di grano e/o girasoli, interrotti al massimo da una sottile fila di alberi, con poche e rare strade sterrate che si dipartono da quelle principali.

Poco più a nord i campi lasciano spazio a foreste fitte, non attraversabili a piedi e ancora meno interrotte da qualche strada. Percorribile, certo, ma è come infilarsi in un tubo…

Una qualsiasi forza armata, anche di poche unità, può insomma entrare facilmente nel territorio russo e “appropriarsi” temporaneamente di terreno pressoché spopolato, con poche guardie di confine nei pochi punti obbligati (lungo le strade asfaltate). Tranne che, ovviamente, nel Donbass e nelle altre aree dove si combatte da oltre due o dieci anni, dove campi minati e trincee si stendono per centinaia di chilometri.

Entrare in Russia via terra è sempre stato facile, uscirne vivi un tantino più difficile. Le distanze enormi e la natura sono di per sé una forma di difesa, che mettono a dura prova qualsiasi invasore, qualunque sia la dimensione dei corpi militari impiegati, costretti ad stressare una logistica creata per distanze (molto) minori.

Dunque a cosa serve questa “variazione” Ucraina con mezzi Nato? Anche il qui il “tecnico” – il generale Fabio Mini – riporta le cose nella loro dimensione reale.

Kiev si è mossa finora come “proxy” degli Stati Uniti, ma dopo due anni e mezzo di guerra le forze interne sono consunte, mentre non è certo che la prossima presidenza Usa nutra gli stessi interessi e le stesse priorità internazionali. Anche nel caso vinca la Harris è a rischio la continuità, o l’intensità, del “sostegno” statunitense.

E l’Unione Europea, pur invasata di bellicismo come mai prima, può supplire solo in parte, per problemi oggettivi come la scarsità di armamenti e munizioni, schemi produttivi arretrati e qualche grosso problema con le proprie opinioni pubbliche.

Il gioco ucraino è insomma quello di attaccare in un punto sguarnito non per “contrattare meglio” una eventuale tregua (pochi chilometri quadrati di campi non pesano nulla a confronto delle quattro regioni del Donbass…), ma per “trascinare in guerra gli alleati più riottosi evitando l’oblio”. Anche a costo di attaccare le centrali nucleari (Zaporizha insegna).

E’ un rovesciamento dello schema fin qui seguito (“proxy” che eseguono un pezzo di strategia imperialista) e il tentativo di far entrare in gioco tutta una alleanza che pensava di poter ricavare grandi guadagni con uno sforzo limitato (“guerra fino all’ultimo ucraino”) e senza un dichiarato coinvolgimento diretto.

E’ un gioco anche più pericoloso del precedente perché mette (o metterebbe) l’evoluzione del conflitto internazionale nelle mani di soggetti miopi che nutrono fondamentalmente interessi “locali”, un nazionalismo senza visione, con grande noncuranza – e qualche disprezzo – per le conseguenze globali del loro agire.

Israele è un soggetto del genere. La moltiplicazione dei “cani pazzi” non è mai una buona notizia. Anzi. La loro proliferazione è un’altra prova, largamente inattesa, di quanto la capacità egemonica dell’imperialismo statunitense sia in crisi evidente.

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Kiev vuole trascinare in guerra gli alleati più riottosi evitando l’oblio

Fabio Mini – Il Fatto Quotidiano *

Incursione, controffensiva, offensiva: le notizie dall’Ucraina ondeggiano tra questi vocaboli ingigantendo volutamente una fase dei combattimenti sul terreno che, come ogni altra azione intrapresa da Kiev in quest’ultimo anno, è invece una iniziativa eterodiretta ed eterocondotta per incastrare l’Occidente in una guerra lunga e sanguinosa.

Ovviamente gli americani si guardano bene dal definire l’attuale incursione ucraina in Russia come un’offensiva. Non lo è tecnicamente per il livello di forze impegnate e non deve esserlo per non far passare l’Ucraina da Paese invaso a invasore.

L’Europa e la Nato si sbilanciano fino a perdere l’equilibrio quando affermano che l’offensiva in territorio russo è un diritto difensivo. Il nostro ministro della difesa sembra l’unico a capire la differenza fra offesa e difesa e forse anche quella fra diritto di un popolo alla propria difesa e violazione del diritto internazionale con la guerra per procura.

Le costose incursioni e gli scarsi effetti

Gli Stati Uniti si astengono anche dall’assegnare alle operazioni in corso una valenza strategica. In effetti, come le altre pseudo-offensive, le incursioni costano parecchio a Kiev in termini di uomini e di sistemi d’arma e concludono poco in termini di vantaggi militari o politici.

Anzi peggiorano la situazione, come si vede dalle reazioni russe e come rileva il presidente Zelensky che a ogni aiuto concesso in missili, aerei, artiglierie e munizioni risponde con il solito “non è abbastanza”. Vengono anche evidenziate le vulnerabilità russe che le incursioni dimostrano e in particolare l’affanno russo nel “contenere” gli attacchi e il disagio delle proprie popolazioni di confine.

In realtà l’idea che tra Russia e Ucraina ci fosse un confine sigillato, invalicabile e inviolabile dal Baltico al Mar Nero è sempre stata una mistificazione. Tutta l’Europa è in guerra contro la Russia e lungo i confini sono sempre esistiti spazi di bassa o nulla concentrazione delle forze di difesa russe e numerose aree in cui i movimenti militari di una parte e dell’altra erano possibili lungo la viabilità minore. Anche i cosiddetti obiettivi strategici delle incursioni sono più un rischio inutile che un vantaggio.

Un sabotaggio o un’azione contro la centrale nucleare di Kursk può innescare una risposta molto seria sia che venga definita atto terroristico sia che venga considerata atto di guerra. E questo l’Ucraina lo sa.

Eppure qualcosa di diverso, anche se non nuovo, si intravede. Sul piano tattico le azioni ucraine appaiono riproporre le procedure della guerra nel deserto di Rommel (1941 – Africa settentrionale) con le quali durante ogni combattimento conquistava obiettivi in profondità ma perdeva il 90% delle proprie forze (comprese quelle italiane).

Tattica che ha funzionato per qualche mese e poi, a causa dei mancati rifornimenti di uomini e materiali e dell’intervento di massa degli anglo-americani ha condotto alla sconfitta.

Le azioni ucraine richiamano anche alla mente le operazioni che alla fine della Guerra fredda (anni 80-90) le forze statunitensi prevedevano con l’impiego di piccole unità di fanteria meccanizzata e corazzata in contesti difficili.

Nel 2003 alcuni studiosi americani (Richard Van Atta, Kent Carson e Waldo Freeman) riproposero l’idea come Small Units Precision Combat (Supc) anche a livello intercontinentale. Le Supc si avvalevano della forza combinata di controllo dello spazio, di quello aereo locale, intervento di piccole unità di fanteria anche corazzata via aerea, terrestre e/o mare, la copertura intelligence e la guerra elettronica.

Le Supc non furono mai eseguite in combattimento aperto, ma in alcuni interventi antiterrorismo. D’altra parte la stessa tecnica, senza ovviamente gli stessi mezzi, fu usata dalle organizzazioni terroristiche come nel caso di Mumbai-Lahore.

L’Ucraina si trova nella condizione di non avere sufficienti uomini e mezzi per una offensiva su larga scala, ma possiede il supporto spaziale, la copertura aerea locale, le armi e i mezzi forniti da Stati Uniti, Nato, Unione Europea e altri Paesi, contractors e pseudo-volontari pagati o forniti sempre dall’Occidente e può sfruttare i “vuoti” tra gli schieramenti evitando i “pieni” presidiati dalle forze russe.

Anche a livello strategico c’è qualcosa di diverso. L’Ucraina deve mantenere visibilità militare e politica per non essere dimenticata di fronte ad altri teatri di crisi come il Medio Oriente, l’Africa e lo stesso Sudamerica.

Deve approfittare dell’incertezza della situazione politica americana non tanto perché teme di non ricevere più gli aiuti promessi, ma per coinvolgere ancor più direttamente gli Stati Uniti e l’Unione europea nel conflitto contro la Russia.

Il coinvolgimento attuale anche tattico costringe ancor di più alla guerra. Le incursioni servono a dimostrare che la Russia si può attaccare con le armi, che le piccole tattiche possono essere amplificate con la disinformazione e, soprattutto, che Kiev non può far la guerra da sola nemmeno come proxy dell’Occidente.

Nonostante gli Stati Uniti e l’Europa siano già dentro al conflitto fino al collo, e le stesse incursioni di questi giorni lo dimostrano chiaramente, Kiev vuole l’intervento diretto di tutto l’Occidente che già alcuni Paesi hanno promesso. Dopo due anni di guerra combattuta per conto e per gli interessi occidentali, Kiev pretende che sia l’Occidente a combattere per conto dell’Ucraina.

Il conto salato presentato dai proxy

E ha qualche motivo in più visto che Israele pretende e ottiene la stessa cosa da tutto l’Occidente annebbiato dalla smania di guerra. Non è una grande novità politico-strategica perché Zelensky ha sempre dichiarato di voler far diventare l’Ucraina una “grande Israele”: ossia, armato, nucleare e bellicoso.

L’Ucraina ha sempre chiesto e ottenuto il sostegno occidentale e sempre voluto (e non del tutto ottenuto) il coinvolgimento diretto della Nato o dei suoi Paesi membri contro la Russia. È nuovo e preoccupante che, contrariamente a Israele, stia abbandonando l’idea di essere autonoma e libera di decidere del proprio destino: di essere indipendente e sovrana.

I Proxies prima o poi presentano il conto: l’Ucraina lo ha già presentato più volte ed è stata pagata; l’Occidente, nuovo proxy dell’Ucraina, ancora no e l’unica cosa che l’Ucraina ha da spendere è la sovranità.

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