Lunedì 5 agosto, il presidente Nicolás Maduro nel programma “Con Maduro +” ha fatto un gesto impressionante per rompere con il legame imperiale, ha cancellato WhatsApp dal suo telefono con le seguenti parole: “te ne sei andato, WhatsApp, se ti ho visto non me lo ricordo. Sono libero da WhatsApp, sono in pace […] WhatsApp carajo“, rompendo così con questo pezzo di imperialismo tecnologico che affligge il Venezuela.
Il motivo per disinstallare l’applicazione e invitare i venezuelani a fare lo stesso è più che logico: i leader popolari venivano attaccati attraverso l’app.
Il presidente ha dichiarato che “WhatsApp ha dato la lista di tutto il Venezuela ai narcotrafficanti colombiani, all’imperialismo tecnologico, in modo che potessero attaccare e far impazzire la famiglia venezuelana“.
Sono molti i commenti che accusano il presidente di essere un cospiratore per aver creduto possibile tutto ciò, commenti che non tengono conto del modello di business di uno dei pilastri dei “Big 3” di Meta (proprietario di Facebook, Instagram e WhatsApp).
Innanzitutto, va detto che oggi le aziende che si dedicano alla fornitura di servizi web sono tra le più grandi al mondo. Tra le aziende più grandi del mondo ci sono Google e Meta. Entrambe forniscono servizi gratuiti, il che fa sorgere spontanea la domanda: come generano i loro profitti?
Esploriamo il caso di Google. Il motore di ricerca più utilizzato al mondo è gratuito e non ha restrizioni che richiedano agli utenti di pagare per utilizzare il servizio, quindi i profitti di Alphabet – società madre di Google, di tutti i suoi servizi e di YouTube – non provengono direttamente dai pagamenti degli utenti.
Un’infografica fornita da Bakinter mostra che la maggior parte delle entrate di Google proviene dalla vendita di spazi pubblicitari. Oltre il 50% delle entrate dell’azienda è generato dalla pubblicità che appare nel motore di ricerca o nelle pagine in cui entriamo, pubblicità che può promuovere applicazioni, abbigliamento, servizi, ecc. in tutti i servizi di Google, dal motore di ricerca a Google Play o Google Maps. Il resto proviene dagli spazi pubblicitari che vende su siti web di terzi o su YouTube.
Tra l’altro, un giudice statunitense ha dichiarato a proposito di Google: “Google è un monopolio e ha agito come tale per mantenere il suo monopolio“, il che costituisce una violazione della legge statunitense.
Tuttavia, WhatsApp non ha pubblicità, quindi è un’applicazione senza scopo di lucro?
Prima di essere acquistata da Mark Zuckerberg (proprietario di Facebook, ora Meta), l’azienda registrava già dei profitti, quindi non sorprende che Facebook l’abbia comprata per 22 miliardi di dollari.
Con il suo acquisto, Zuckerberg ha fatto due promesse: non aggiungere pubblicità e non utilizzare i dati degli utenti. La seconda promessa non è stata mantenuta, come ha rivelato Matt Idema, COO di WhatsApp: “Facebook e Instagram sono le vetrine e WhatsApp è il registratore di cassa“.
Un analista tecnologico, tramite la BBC, analizza la dichiarazione di Idema, affermando che “Facebook ha effettuato l’acquisto perché sapeva che si trattava di un database enorme e che si sarebbe diffuso. Ecco perché dal 2016 WhatsApp ha iniziato a trasmettere informazioni sui suoi utenti. Questi dati, per così dire, alimentano il piano commerciale di Facebook“.
Questo trasferimento di informazioni a Facebook è spiegato da un articolo del quotidiano El Economista, secondo cui le informazioni di WhatsApp vengono utilizzate da Facebook e Instagram per sapere quale pubblicità mostrare alle persone a seconda del profilo che hanno perché, a differenza dell’app di messaggistica, queste due applicazioni contengono pubblicità.
Nell’articolo si legge che “i numeri di telefono, i tempi e gli orari di utilizzo, la geolocalizzazione dell’utente sono solo alcuni dei dati che servono a profilare un potenziale cliente“.
Questa “Big 3” di Meta – Facebook, Instagram e WhatsApp – non è solo dedita alla ricerca di informazioni per inviare pubblicità ai propri utenti. Secondo Carissa Veliz, intervistata dalla BBC, “Facebook è un avvoltoio dei dati“. In altre parole, è un’azienda che vende le storie dei suoi utenti al miglior offerente.
Forse il caso migliore per dimostrarlo è quello di Facebook-Cambridge Analytica. Quest’ultima è una società che utilizza l’analisi dei dati per sviluppare campagne per marchi o politici che vogliono “cambiare il comportamento del pubblico“.
Cambridge Analytica, all’epoca assunta da Donald Trump, ha utilizzato i dati di Facebook per fornire una “campagna personalizzata” a più di 50 milioni di utenti statunitensi del social network per le elezioni americane del 2016. Non sorprende che la campagna di Donald Trump avesse sei milioni di annunci diversi per gli utenti a cui voleva rivolgersi.
Non si tratta di un caso unico: Meta, in quanto “avvoltoio dei dati” (data volture, ndt), vende le informazioni a banche, compagnie assicurative o governi come quello statunitense. Questi dati sono così ricercati perché possono essere utilizzati per “dedurre ogni sorta di cose“; a seconda della quantità di informazioni fornite dall’utente, è possibile scoprire chi sono i suoi amici, chi è la sua famiglia o chi è il suo partner.
E non è l’unica cosa che si può dedurre attraverso i dati raccolti dai “Big 3”, ma anche aspetti come l’orientamento sessuale, le tendenze politiche, quanto si dorme, la salute, gli interessi, se si hanno debiti, qual è il potere d’acquisto, e persino le dipendenze o se si soffre di particolari malattie.
Lo scandalo del “data vulture” è scoppiato nel caso della campagna elettorale di Trump ed è poi cresciuto con le nuove condizioni d’uso di WhatsApp, introdotte nel 2021, in base alle quali gli utenti dovevano accettare che l’app di messaggistica avesse accesso ai loro dati personali, condizione d’uso che è ancora in vigore.
Ora, con tutte le informazioni che Meta gestisce, così dettagliate e specifiche per i suoi utenti, è molto simile al Grande Fratello disegnato da George Orwell in che sorvegliava la vita quotidiana di tutti i cittadini.
Una sorveglianza permanente, con la quale non solo spia i suoi utenti, ma li vende a chiunque, come ha fatto con i suoi utenti in Venezuela.
* da Centro Descolonizacion Venezuela
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