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Il monito dell’Unesco: le proteste contro l’overtourism potrebbero estendersi oltre la Spagna

La lotta all’overtourism è diventata centrale nell’affermare il diritto alla città, specialmente in quei paesi periferici della UE che hanno visto stravolte le proprie vite dal turismo di massa deregolamentato che si è affermato negli ultimi anni.

Un fenomeno che interessa da vicino il nostro paese, non solo le località rivierasche o le tradizionali ‘città d’arte’.

Uno degli epicentri di questa battaglia è stata la penisola iberica, nella quale abbiamo visto svilupparsi una combinazione di forme di lotta che mettono in luce il medesimo problema: la non sopportazione delle condizioni di esistenza in luoghi monopolizzati dall’economia turistica e l’inadeguatezza delle politiche fino ad ora attuate per contrastarlo.

L’anno prossimo, a Lisbona, potrebbe tenersi un referendum per imporre la fine della concessione degli affitti brevi, su spinta del movimento per l’abitare della capitale che ne ha fatto una delle sue maggiori battaglie.

Fino ad ora, tutte le formule trovate da chi governa le città sembrano più che altro palliativi, tesi a mitigare solo alcuni effetti del fenomeno, senza risolvere le contraddizioni che sviluppa.

Parliamo di carenza d’alloggi per le classi popolari, precarietà lavorativa, trasformazione del tessuto urbano in un grande centro commerciale per il turismo mordi-e-fuggi, ecc.

Una recente ricerca ripresa sulle pagine de Il Fatto Quotidiano in un articolo di Roberto Rotunno, “Booking & C. hanno portato ancor più precari nel turismo”, mostra come le piattaforme aumentano il mercato delle imprese, ma i costi alti del servizio spingono a ridurre quelli del lavoro.

L’inchiesta in questione, “Dipendenza dalle piattaforme digitali e precarietà: un’analisi del settore turismo e ristorazione”, è stata svolta a otto mani da V.Cirillo, M.Deidda e D.Guarasco e J.Tramontano.

In essa si stabilisce, numeri alla mano, una correlazione difficile da ignorare e per cui tra le prime vittime del capitalismo delle piattaforme è proprio la forza lavoro impiegata.

Ma la cosiddetta gig economy non ha fatto che esasperare un fenomeno già presente nel settore. In esso, nonostante la deregolamentazione del mercato del lavoro ‘legale’ e l’abbassamento degli standard contrattuali, non sono state eliminate forme di caporalato classico.

Lo ha mostrato chiaramente anche la recente inchiesta della Guardia di Finanza di Rimini, che ha scoperto una falsa agenzia di lavoro, già tra l’altro indagata in precedenza nell’operazione Free Job 1!

Un’azienda che ‘appaltava’ irregolarmente i suoi lavoratori, alcuni dei quali completamente a nero, nella riviera romagnola, come a Milano e Roma.

Una storia che unisce falsa intermediazione di manodopera ed evasione fiscale totale, e che è la rappresentazione plastica di come, all’ombra di un sistema a cui è concesso praticamente tutto, prosperi l’extra-legalità totale a danno della manodopera impiegata.

Non stupisce che la notizia non abbia avuto lo stesso trattamento della serrata dei balneari, chiamato impropriamente ‘sciopero’ da una informazione asservita ad una delle categorie peggiori di ‘prenditori’ nostrani.

Tornando al tema principale. La misura è colma tanto da preoccupare persino l’Unesco, che non sembra avere anch’essa soluzioni valide.

Abbiamo tradotto questo articolo della corrispondente a Madrid del Guardian, che mette in luce tutto questo.

Buona lettura.

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Le proteste per il turismo di massa potrebbero estendersi oltre la Spagna, dice il funzionario dell’Unesco

Ashifa Kassam (Madrid)

La situazione è “sbilanciata“: la popolazione locale non ha più un alloggio e viene frustrata dalle orde di turisti in cerca di selfie.

L’aumento del numero di visitatori, l’impennata dei prezzi degli alloggi e la crescita dei turisti che cercano i selfie hanno contribuito a creare situazioni “totalmente sbilanciate“, ha dichiarato un funzionario dell’Unesco, aggiungendo che, se non si affrontano questi problemi, l’ondata spagnola di proteste contro il turismo di massa potrebbe estendersi a tutta l’Europa.

Nelle ultime settimane decine di migliaia di manifestanti sono scesi in piazza nelle destinazioni più popolari della Spagna, chiedendo di limitare il turismo di massa e di ripensare un modello di business che, a loro dire, ha fatto lievitare i prezzi delle case e allontanato la popolazione locale dalle città.

Da Malaga a Maiorca, da Gran Canaria a Granada, gli organizzatori hanno sottolineato che le proteste non sono contro il turismo in sé, ma piuttosto una richiesta di approccio più equilibrato.

È un sentimento a cui fa eco Peter DeBrine, senior project officer dell’Unesco per il turismo sostenibile. “Quello che vediamo è che stiamo superando una soglia di tolleranza in queste destinazioni“, ha detto. “Stiamo cercando di riequilibrare la situazione. Ora è totalmente sbilanciata“.

Ha indicato una miriade di fattori per spiegare perché molti in Spagna – da sempre una delle destinazioni turistiche più popolari al mondo – stanno ora guidando il contrattacco all’industria. Tra questi, la crisi degli alloggi, definita “la goccia che fa traboccare il vaso“.

Il turismo ha esacerbato le preoccupazioni esistenti sull’accessibilità economica degli alloggi, in quanto la diffusione di alloggi a breve termine spinge i residenti locali fuori dal mercato. “Credo che questo abbia aggiunto molta ansia e frustrazione alle persone che vivono in queste destinazioni“, ha detto DeBrine.

I lavoratori di località come Ibiza si sono ritrovati con poca scelta se non quella di vivere in furgoni, roulotte e tende, mentre a Malaga una “ribellione degli adesivi” ha visto i residenti affiggere adesivi – con la scritta “Una famiglia viveva qui” o “Tornatevene a casa” – fuori dai locali turistici della città.

Mentre la Spagna passa da un anno record all’altro, il numero vertiginoso di visitatori è un altro fattore che ha contribuito alle proteste, ha detto DeBrine. “Penso che per alcune destinazioni conti anche il modo in cui i turisti si comportano“, ha detto. “Penso che anche questo si aggiunga al problema: i turisti che non rispettano le destinazioni in cui viaggiano“.

Le destinazioni spagnole hanno da tempo cercato di contrastare quelli che la popolazione locale descrive come comportamenti antisociali: introducendo codici di abbigliamento, riducendo la vendita di alcolici, e, come è accaduto di recente in una località turistica, vietando i costumi gonfiabili a forma di pene e le bambole sessuali.

L’Unesco promuove da tempo i viaggi, sottolineando la loro singolare capacità di promuovere l’apprezzamento del patrimonio culturale in tutto il mondo. Ma in un’epoca di social media, questo ideale è diventato apparentemente più difficile da vendere, ha detto DeBrine.

Voglio dire, ci siamo anche evoluti in quello che io chiamo un turismo motivato dai selfie“, ha detto. “Vogliono solo scattare una foto di qualcosa senza capire cosa sia e cosa significhi per il nostro passato e il nostro futuro“.

La frustrazione nei confronti delle crescenti orde di amanti dei selfie si è manifestata a giugno a Maiorca, dove centinaia di persone hanno inscenato una protesta in una pittoresca baia per lamentarsi del sovraffollamento e del degrado ambientale causato dai molti Instagrammer e influencer che si affollano sul posto per catturare l’immagine perfetta.

Settimane dopo, tuttavia, le proteste in Spagna hanno preso una piega amara dopo che un gruppo di manifestanti muniti di pistole ad acqua ha spruzzato acqua sui turisti. Altri portavano cartelli con scritto “Turisti tornate a casa” e “Non siete i benvenuti”.

DeBrine ha descritto le azioni come “estreme e non necessarie“, ma le ha viste come frutto della frustrazione: “E probabilmente non spariranno finché non ci sarà una qualche risposta“.

È necessario un cambiamento di paradigma, ha detto, in cui i responsabili delle decisioni inizino a chiedersi come migliorare le cose per i residenti. “È un po’ un cliché, ma io dico sempre che i luoghi migliori in cui vivere sono anche i luoghi migliori da visitare“.

Si tratta di un cambiamento già visibile in molti luoghi, ha detto, indicando la spinta della Danimarca a incoraggiare comportamenti sostenibili e rispettosi del clima e la tassa d’ingresso di Venezia. A Barcellona, il sindaco ha recentemente promesso di limitare gli affitti di appartamenti ai turisti entro il 2028, mentre Maiorca e Dubrovnik hanno preso provvedimenti per limitare gli arrivi delle navi da crociera.

Non tutte queste soluzioni funzioneranno necessariamente, ha detto DeBrine, indicando come esempio i precedenti tentativi di disperdere i turisti all’interno delle destinazioni hotspot.

La strategia ha portato a conseguenze indesiderate, in quanto alcuni abitanti del luogo hanno iniziato a lamentarsi del rumore e della pressione sulle infrastrutture locali, mentre altri si sono visti espellere dalle zone in cui le abitazioni venivano sempre più spesso convertite in affitti a breve termine. “All’improvviso ci sono persone dappertutto in una destinazione e anche questo è un po’ un problema“.

Ma queste carenze sono preferibili all’alternativa in cui le autorità locali si rifiutano di riconoscere il problema, rischiando di diffondere le proteste contro il turismo al di fuori della Spagna, ha detto DeBrine.

Abbiamo una piccola finestra per iniziare a fare dei cambiamenti e provare cose diverse“, ha detto. “L’obiettivo è diventare più sostenibili, quindi come ci arriviamo?

*Corrispondente da Madrid per The Guardian

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