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Ancora negata la libertà a Maysoon Majidi

Il sogno di Maysoon Majidi di essere libera è stato solo un miraggio. Donna kurda, regista ed intellettuale in campo politico, culturale, sociale, sostenitrice dei diritti umani e attivista per i diritti delle donne, ha compiuto recentemente 28 anni, in carcere in Italia, iniziando a combattere in Iran ancora prima della morte della ragazza kurda Jina (Mahsha) Amini, uccisa dal regime teocratico islamico e occupante del Kurdistan di Rojhalat, a causa di una ciocca di capelli fuggita fuori dal foulard.

La sua morte è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Uomini e donne di tutti i popoli in Iran sono scesi nelle piazze protestando non solo contro l’obbligatorietà del foulard, ma soprattutto contro l’ingiustizia, la negazione dei diritti e le uccisioni che subiscono da anni le minoranze. Le strade e le piazze in Iran sono diventate un campo soprattutto di combattenti.

La morte di Jina (Mahsa) Amini ha fatto arrivare il motto originario delle donne kurde, “JIN JIyan Azadi”, nelle piazze dell’Iran ed è grazie a questa rivoluzione che tale motto è arrivato anche nelle piazze del mondo ed è stato gridato in tutte le lingue, però ignorando la fonte dello slogan.

Come molti attivisti iraniani, Maysoon Majidi si è inizialmente rifugiata a Basciur nella Regione del Kurdistan iracheno, a causa delle pressioni del regime dell’Ayatollah e delle minacce di morte per il suo attivismo.

In Kurdistan ha continuato ad occuparsi della difesa dei diritti umani e dei rifugiati con l’organizzazione Hana, con la quale Majidi ha lavorato come regista,realizzando diversi filmati e documentari proprio sulla rivoluzione e sulle proteste nelle piazze dell’Iran, sempre costretta per motivi di sicurezza a usare un nome di fantasia, per non essere individuata dalle istituzioni iraniane.

Maysoon Majidi dopo la scoperta della sua vera identità e del luogo di attività in Kurdistan, ha chiesto inutilmente di essere ascoltata ed aiutata dall’ ONU nella sede di Sulymania, per chiedere asilo e di essere portata in un paese libero dove vivere in sicurezza.

In seguito al persistere delle minacce del regime islamico iraniano, ha dovuto lasciare la Regione del Kurdistan insieme al fratello; con l’aiuto economico ed un prestito del padre e dei parenti si è diretta verso l’Europa, attraversando la terra dei fuochi, la Turchia, un altro paese governato da un dittatore nemico dei kurdi.

Maysoon è scappata con la speranza di trovare pace e libertà in Europa e in un paese che proclama la democrazia, l’Italia, la cui sua Costituzione è fondata sui diritti della persona, l’uguaglianza e la giustizia.

Invece Maysson viene arrestata della polizia italiana e ingiustamente incarcerata con l’accusa di traffico di esseri umani, aiutando il capitano di una nave che trasportava richiedenti asilo. Palesemente una donna come Maysoon, attivista per la difesa dei diritti, trovandosi accanto a persone affamate, affaticate, bisognose di tutto, ha continuato a fare ciò che sempre l’ha caratterizzata, cioè ad aiutare, a non rimanere indifferente, iniziando a dare acqua e cibo alle persone a bordo della nave.

Questo non significa per certo che sia una trafficante o complice degli scafisti. Ciò che ha aggravato la situazione di Maysoon è stata proprio l’assenza di un sistema che funzioni e di interpreti o mediatori linguistici culturali in riferimento alle persone a bordo della nave.

L’interprete coinvolta era di lingua araba anziché di lingua kurda o persiana; la persona che è stata intervistata anche dal servizio delle Iene ha affermato che Mason Majidi non è un contrabbandiere o uno scafista, e che il documento che lei aveva firmato era scritto in arabo, quindi non poteva essere a conoscenza del suo contenuto, firmato solo per paura di essere deportata o imprigionata.

Nonostante le prove della sua innocenza, il sistema giudiziario continua a trattenerla in carcere e a non concedere nemmeno gli arresti domiciliari fino alla fine del procedimento, ignorando lo stato di salute fisico e psicologico di Maysoon.

Maysoon è fuggita dalla brutale oppressione della Repubblica islamica, ora sta affrontando un’altra forma di crudeltà in Italia. Questa ingiustizia è un duro colpo ai principi dei diritti umani e della democrazia.

 * UDIK Unione Donne Italiane e Kurde – O.DV.

https://udikitalia.wordpress.com/

E-Mail: udik.unionedonne@gmail.com

Pec. udik.unionedonne@pec.it

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1 Commento


  • Andrea Vannini

    perlomeno “riceviamo e pubblichiamo” sarebbe doveroso.

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