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Il rafforzamento della presenza militare italiana in Medio Oriente

Mentre Draghi delinea gli indirizzi dell’ulteriore salto di qualità dell’Unione Europea nella trasformazione di un soggetto continentale proiettato verso la guerra, anche l’Italia continua a svolgere il proprio compito in questo quadro.

Per Roma, l’orizzonte prediletto è quello del Mediterraneo allargato, vale a dire il mare su cui si affaccia il paese fino al Mar Rosso e il Golfo Persico.

La scorsa settimana il capo di Stato Maggiore della Difesa, Giuseppe Cavo Dragone, ha concluso un viaggio molto importante in Medio Oriente, passando per il Libano, Israele e la Giordania.

Proprio in quest’ultimo paese ha concluso un accordo con il suo omologo locale, il generale Al-Hnaity, per il possibile posizionamento nel Paese di un hub delle forze speciali italiane.

Lo scopo dichiarato nella nota resa pubblica dallo Stato Maggiore è quello di “sostenere logisticamente e operativamente i vari sforzi di settore nella Regione“.

Ad Amman, capitale giordana, si trova il King Abdullah II Special Operations Training Center (KASOTC), uno dei centri per operazioni speciali, antiterrorismo e guerra urbana più importanti al mondo.

In passato soldati italiani hanno partecipato alle esercitazioni del KASOTC, ed è chiaro che questa struttura sarà centrale nel dispiegamento delle forze speciali nella zona, con uno sguardo rivolto ai punti di crisi dell’area.

Con la Gordiania, l’Italia ha un legame militare che si è andato via via stringendo. Nel 2015 è stato firmato un vero e proprio accordo di cooperazione nel settore della Difesa, ma il confronto bilaterale si è instaurato da oltre un ventennio.

A fine gennaio si era svolta la ventiduesima riunione in questo ambito, e il fulcro della discussione erano state ovviamente le situazioni a Gaza e nel Mar Rosso. In quell’occasione si era già dato risalto alla centralità delle forze speciali, preconizzando l’accordo appena concluso.

Al contempo, era stata espressa la volontà di approfondire ulteriormente il coordinamento operativo tra le due Difese, sia sul piano qualitativo sia su quello quantitativo, mentre venivano definite 30 nuove attività per l’anno attualmente in corso.

Il giorno dopo l’incontro con Al-Hnaity, ovvero il 4 settembre, Cavo Dragone ha avuto un colloquio con il generale Halevi, capo di Stato Maggiore delle forze armate israeliane, prima di recarsi in Libano.

Lì, nel sud del paese, ha sede la base di Shama, dove si trova il Comando italiano del settore Ovest della missione Unifil, cioè i caschi blu delle Nazioni Unite.

Nel settore vi sono impegnati 1.200 soldati italiani, e vi sono presenti anche circa 3 mila civili provenienti dal nostro paese, per i quali Roma era pronta all’evacuazione già a fine luglio.

La missione internazionale ha lo scopo di far rispettare la risoluzione del Consiglio di Sicurezza ONU 1701, che impone una fascia tra Libano e Israele in cui solo i caschi blu e le forze armate libanesi regolari possono operare.

Da qualche mese, il ministro Crosetto sta chiedendo alle Nazioni Unite di cambiare le regole di ingaggio e ridefinire una strategia per quella fascia, dove ha denunciato che la risoluzione è stata spesso disattesa.

Cavo Dragone ha incontrato anche alcuni comandanti dell’Unifil, in un dialogo in cui questi temi saranno stati certamente accennati, per poi dirigersi verso Beirut.

Raggiunta la città, il capo di Stato Maggiore ha avuto un colloquio col Generale Aoun, Comandante delle Forze libanesi. Con lui è stato confermato il percorso avviato con il Comitato Tecnico Militare per il Libano (MTC4L).

In questo caso, si tratta di un’iniziativa internazionale guidata dall’Italia per il sostegno, l’addestramento e il potenziamento delle Forze Armate libanesi. Le sue attività sono appena state inaugurate, insieme a un hub logistico in fase di completamento, che verrà utilizzato dagli istruttori militari italiani.

Il quadro fornito dalla visita di Cavo Dragone parla di un paese che rafforza la sua presenza militare all’estero, inserendosi con un peso crescente in uno dei settori strategici della competizione globale. Mentre dalle forze parlamentari non si sente una voce che si sollevi contro questa ennesima riprova della deriva bellicista.

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