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Turchia–Curdi: l’espansionismo sionista fa ripartire il dialogo?

Possibile ennesima giravolta da parte di Erdogan. I vertici politici turchi, compreso il Presidente, stanno lanciando da giorni segnali di volontà politica di riaprire il dialogo con la sinistra filo – PKK.

Si ricorda che nel 2015, i colloqui di pace fra le parti portarono ad un passo da uno storico accordo fra lo stato ed il PKK, sintetizzato in un documento in 10 punti che avrebbe dovuto portare a rimuovere le restrizioni politico – culturali nei confronti della minoranza curda in cambio dello smantellamento dell’arsenale del PKK su ordine di Abdullah Ocalan, Il quale avrebbe dovuto essere liberato ed avere successivamente un ruolo politico. Allo stesso tempo, era aperto il dialogo con l’ala siriana del PKK, il PYD e, quindi, il Rojava, che all’epoca marciava assieme ad Ankara (oltre che assieme agli USA e ai paesi del golfo) nell’obiettivo di far cadere manu militari lo stato centrale baathista.

Successivamente, con gli USA che puntarono forte sulle milizie curde nella loro “coalizione anti-Isis”, Erdogan, forse temendo che questa alleanza militare ingombrante avrebbe portato alle condizioni per la rivendicazione di uno stato curdo indipendente transfrontaliero, cambiò totalmente politica: si alleò con l’estrema destra del Movimento Nazionalista ed inaugurò un’epoca di repressione interna ed operazioni militari contro il Rojava in Siria.

È stato proprio il capo del Movimento Nazionalista Devlet Behceli, nei giorni scorsi a dare un segnale di discontinuità con un gesto altamente simbolico e shockante, ovvero una stretta di mano in Parlamento a Tuncer Bakırhan, dirigente del Partito per l’Uguaglianza dei Popoli e la Democrazia (DEM), ennesima incarnazione della sinistra filo-curda, ai cui membri, fino al giorno prima, i nazionalisti rifiutavano di sedere accanto nell’emiciclo parlamentare in quanto considerati terroristi.

Secondo la ben informata giornalista Amberin Zaman, su Al Monitor (https://www.al-monitor.com/originals/2024/10/turkey-mulls-peace-talks-kurds-amid-fears-israeli-strike-iran), la volontà di riaprire il dialogo è reale e sarebbe motivata dal timore che la Turchia venga coinvolta nel turbinio degli sconvolgimenti geopolitici derivanti dall’espansionismo sionista e dal clima di guerra totale regionale che esso ha scatenato. La possibilità di una guerra totale a seguito dell’attesa risposta militare di Tel Aviv sul territorio iraniano, in sostanza, starebbe consigliando di agire preventivamente per eliminare i conflitti e serrare i ranghi all’interno del paese.

Nello stesso articolo, l’autrice afferma di aver parlato con tre fonti “con una conoscenza approfondita del dossier curdo del governo”, che hanno preteso l’anonimato, secondo le quali Ocalan sarebbe stato coinvolto direttamente in tentativi preliminari di riaprire il dialogo e avrebbe avuto una telefonata piuttosto tesa con la leadership del PKK nelle montagne del Qandil, in Iraq, avente come tema la possibilità di cominciare a discutere la deposizione delle armi.

Inoltre, sul tavolo del Governo di Ankara sarebbero arrivati report secondo i quali, in Iran, le Guardie Rivoluzionarie spingerebbero affinché Teheran, a sua volta, trovi un accordo con PJAK, espressione locale del PKK, che, per altro, recentemente ha allargato i propri ranghi grazie al movimento di protesta a seguito della morte di Mahsa Amimi. Ciò allo scopo di evitare saldature indesiderate fra nemico sionista e fronte interno.

Il 12 ottobre, Erdogan, parlando del gesto di Behceli, è stato inauditamente esplicito, arrivando addirittura ad alludere ad una riforma costituzionale “inclusiva e libertaria”, in maniera tale da ricalcare le rivendicazioni della sinistra filo-curda: “Troviamo l’atteggiamento del signor Bahçeli positivo e significativo per la lotta del nostro Paese per la democrazia. Ci auguriamo che il numero di coloro che intraprendono queste azioni aumenti in futuro. Con l’aumentare del numero di coloro che intraprendono queste azioni, ci auguriamo di poter espandere la base del consenso sociale sulla nuova costituzione. In una geografia regionale segnata da organizzazioni terroristiche, in un periodo di tensioni in Iraq, guerra civile in Siria e brutalità di Israele, è importante stabilire la pace in patria. Siamo sempre pronti a risolvere i problemi con metodi non terroristici. Perché facciamo politica per rafforzare la pace e l’unità del nostro Paese e per fornire alla nostra nazione i servizi di qualità che merita. Questo è anche il motivo per cui chiediamo una nuova costituzione. Abbiamo bisogno di creare una costituzione inclusiva, equa, civile e libertaria” (https://www.duvarenglish.com/erdogan-points-to-new-constitution-for-possible-new-peace-process-with-kurds-news-65090).

Qualche giorno prima, lo stesso Erdogan aveva già chiarito che l’espansionismo sionista richieda una svolta nel trattare i conflitti interni: “Che sia ben chiaro: oggi la riconciliazione deve prevalere sul conflitto per fronteggiare l’aggressione israeliana. L’amministrazione israeliana, dopo la Palestina e il Libano, punterà i suoi occhi sui territori della nostra nazione” (https://www.dailysabah.com/politics/news-analysis/erdogans-ally-bahcelis-handshake-normalization-or-strategy).

Da parte curda, la prudenza, ovviamente, regna sovrana. Il timore è che semplicemente il Presidente cerchi ‘appoggio del partito DEM per modificare la costituzione in maniera tale da farsi eleggere oltre il limite dei mandati (anche se fino ad ora ha negato di volersi ricandidare nel 2028), oppure che sia disposto ad offrire, in cambio della fine del conflitto, la libertà di Ocalan e null’altro, come sempre fa alla vigilia delle azioni militari di più ampia portata.

Ad esempio, il veterano curdo Ahmet Türk ha affermato che, sebbene ci siano stati recenti gesti da parte del governo turco, rimane incerto se essi si tradurranno in cambiamenti sostanziali. “Non lo sappiamo. Il tempo lo dirà”, ha dichiarato, esortando poi a riconoscere il Rojava: ”Riconoscere l’autonomia del Rojava e promuovere il dialogo porterebbe ad una maggiore sicurezza per entrambe le parti” (https://medyanews.net/potential-peace-talks-in-turkey-leading-kurdish-politician-urges-caution/).

Ancora più scettico è Mustafa Karasu, membro del KCK, organizzazione “ombrello” che raccoglie tutte le sigle afferenti al PKK nella regione: “L’alleanza fascista AKP-MHP ha teso una trappola al Partito DEM e allo spazio politico democratico. Faranno delle chiamate al dialogo; imporranno cose che il Partito DEM non può accettare. E quando il Partito DEM e le forze democratiche non faranno ciò che ordinano, aumenteranno ancora di più i loro attacchi dicendo: “Abbiamo dialogato con il Partito DEM; abbiamo aperto uno spazio; abbiamo offerto delle opportunità; abbiamo dato loro la possibilità di fare politica, ma non hanno risposto positivamente”. Questo sembra essere il gioco che hanno messo in atto” (https://anfenglish.com/features/karasu-bahceli-s-handshake-with-the-dem-party-is-a-new-game-75821).

Ovviamente è impossibile trarre conclusioni rispetto al reale intento, da parte di Ankara, di riaprire il dialogo con la sinistra filo-curda, oltre che con il governo di Damasco, con cui, nei mesi scorsi, pure ha annunciato di voler cercare una pacificazione definitiva, invitando Assad in Turchia.

Gli ostacoli sono molteplici, a partire dalla repressione che continua nel Kurdistan turco, dall’isolamento di Ocalan non ancora alleviato e dalla presenza militare turca, sia nel nord-est che nel nord-ovest della Siria, a sostegno di truppe salafite (sostenute militarmente anche da Tel Aviv e da Kiev) di cui difficilmente Ankara si può disfare senza problemi interni ed esterni. Tali milizie hanno già dato vita a proteste a Idlib e a minacce nel momento in cui Erdogan ha annunciato di voler incontrare Assad. Anche la presenza USA nel Rojava potrebbe nuovamente rivelarsi un intralcio rispetto ai processi riconciliatori in Siria ed in Turchia, se Washington dovesse rendersi conto che essi avvengono contro i suoi interessi e quelli sionisti.

Proprio l’espansionismo sionista, comunque, può rivelarsi detonatore di processi politici virtuosi nella regione fino a qualche mese fa impensabili, anche alla luce dell’inerzia dei paesi arabi sunniti.

I quali, a furia di non fare nulla e di attendere che gli USA frenino i deliri sionisti, sono entrati nelle mire espansioniste del “Grande Israele compreso fra Mediterraneo, Nilo ed Eufrate”, quindi esteso a territori di Giordania, Libano, Siria, Iraq, Egitto, Turchia e Arabia Saudita, che alcuni ministri afferenti al sionismo religioso intendono esplicitamente perseguire. Al momento sembra, appunto, un delirio. Ma se non si fa nulla non è detto che lo rimanga per sempre.

Si spera che qualcuno, ad Ankara e nelle altre capitali del vicino Oriente, lo abbia capito.

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2 Commenti


  • Andrea vannini

    le giravolte non sono certo una esclusiva di erdogan. comunque la si pensi di lui, é esplicitamente anti-sionista (cioè antifascista) e schierato con la causa palestinese. Quanto alla “sinistra” filo-curda, non una parola contro i fascisti israeliani e chi li sostiene (gli imperialisti usa), nessuna solidarietà con i palestinesi. sarà per le complicità e il mercenariato curdo pro Israele e usa? comunque, una soluzione pacifica della questione curda con i legittimi governi siriano, iraniano e turco é più che auspicabile. serve una giravolta anche curda che non sarà gradita dall’ imperialismo.


    • Redazione Contropiano

      In un contesto – quello mediorientale – in cui il “triplo gioco” è il minimo della pena, e dunque le “giravolte” sono all’ordine del giorno, provare ad applicare un rigido schema “geopolitico” sagomato secondo le proprie opinioni è il modo più sicuro di essere colti sempre di sorpresa. Molto meglio “l’analisi concreta della situazione concreta”, così ci si risparmia di considerare Erdogan “antifascista”…

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