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La Turchia bombarda Shengal, il distretto degli ezidi

Giorni fa era stata annunciata la possibilità di apertura di un dialogo tra il governo turco e il leader curdo del PKK (Partito dei lavoratori del Kurdistan), Abdullah Ocalan, che da venticinque anni è sepolto nell’isolamento dell’isola carcere di massima sicurezza di Imrali. Recentemente suo nipote Omer Ocalan, deputato del DEM (Partito della democrazia e dell’uguaglianza), ha potuto visitarlo dopo quasi quattro anni in cui a chiunque è stato impedito non solo di accedere a Imrali, ma anche di parlare con il leader curdo. Neppure i suoi avvocati hanno potuto conferire con il loro cliente per tutto questo tempo.

Il 23 ottobre, giorno dopo l’annuncio, è arrivata la notizia di un attacco in Turchia all’industria TUSAS, che produce armamenti militari, dove hanno perso la vita cinque persone e ne sono state ferite ventidue. L’attentato è stato rivendicato dal PKK e questo è servito al governo turco di Erdogan per lanciare diverse operazioni militari, che hanno colpito il Rojava, in Siria, e il distretto di Shengal, in Iraq. Entrambe queste zone sono costantemente prese di mira da Ankara che considera le esperienze in corso del confederalismo democratico, paradigma politico di cui Ocalan è l’ideatore, una minaccia alla sua sicurezza nazionale e territoriale, nonostante il PKK abbia abbandonato da più di vent’anni il progetto politico di costruzione di uno stato curdo indipendente.  

Perché bombardare il Rojava e Shengal? Queste due regioni sono considerate dalla Turchia dei presidi del PKK e quindi entrano nella lista nera dei nemici da colpire militarmente. La pratica del confederalismo democratico, con la costruzione di amministrazioni autonome, inquieta la Turchia che è già costretta a fare i conti al suo interno con i sostenitori di questo paradigma e con le amministrazioni a guida curda che lo stanno adottando, che il governo reprime duramente.

Tuttavia, nel distretto di Shengal la popolazione che ha deciso di appoggiare l’Amministrazione Autonoma si dichiara indipendente dal PKK, nonostante il forte riconoscimento nei suoi confronti per averla protetta e salvata dagli jihadisti dell’Isis durante l’attacco genocida del 2014. 

Sebbene non vi sia la presenza del PKK nella zona, ritiratosi nel 2018, la Turchia accusa le unità di resistenza ezide, YBS e YJS, di essere affiliate al suo nemico e le considera obiettivi militari. 

La popolazione ezida è ancora provata dall’occupazione dell’Isis durata dal 2014 al 2017, la quale ha generato un esodo di circa il 70% della sua gente, abusi perpetrati dagli jihadisti e dai loro sostenitori sulle donne rapite e sui bambini, trasformati in soldati del Califfato, tanti lutti, una emigrazione imponente, la permanenza di decine di migliaia di famiglie nei campi profughi con poche prospettive di una vita dignitosa, la carenza di servizi e infrastrutture a Shengal, dove circa un terzo degli sfollati ha fatto ritorno. I bombardamenti turchi peggiorano lo scenario. 

L’obiettivo della Turchia è rendere Shengal un luogo non sicuro per gli ezidi, scoraggiando quelli che ancora si trovano nei campi profughi a non rientrare. 

Diversi stati occidentali hanno riconosciuto il genocidio del 2014 (Germania, USA, Regno Unito, Olanda, Belgio, Australia, Canada e anche il Parlamento Europeo), considerandolo un atto dovuto davanti alla violenza di un nemico comune che minacciava i valori occidentali e le sue società con attentati che hanno fatto molte vittime e feriti. Nonostante questo, il popolo ezida è lasciato da solo davanti a giganti come la Turchia. Quando la comunità internazionale ha deciso di intervenire l’ha fatto patrocinando politiche preconfezionate, che hanno escluso dal tavolo delle negoziazioni gli attori principali, ossia i rappresentanti delle comunità ezide. Questo è quanto ha fatto la missione dell’ONU in Iraq, l’UNAMI, che nell’ottobre del 2020 ha supervisionato un accordo tra Baghdad e Erbil senza interessarsi di cosa pensassero i destinatari di quella trattativa, cioè gli ezidi, i quali non sono mai stati interpellati, in nessuna fase e a nessun livello.

Dopo aver colpito la Siria giovedì scorso, causando 27 morti tra i civili, la Turchia si è poi diretta il giorno dopo sul distretto di Shengal. Le notizie del risultato degli attacchi che sono arrivate dalla zona sono: 16 attacchi con aerei militari, 4 attacchi con droni, 6 luoghi militari colpiti, 2 case distrutte, danneggiamento di due dei luoghi sacri ezidi, il tempio di Per Hasan Maman e quello di Chelmera, entrambi sul Monte Shengal, 2 macchine della municipalità distrutte, 2 serbatoi d’acqua della municipalità distrutti, 1 camion distrutto e soprattutto 8 persone uccise, di cui due civili, una donna e un bambino, a cui si aggiungono 6 feriti nelle YBS.

Gli eroi curdi del Rojava, così erano definiti durante la loro straordinaria lotta contro l’Isis, di cui è impossibile dimenticare il ruolo delle donne curde organizzate nelle YPJ, le quali con il loro coraggio hanno fatto battere molti cuori tra chi si riconosceva in quella lotta di liberazione, e gli ezidi, il popolo da salvare dal barbaro nemico jihadista, oggi vengono entrambi attaccati da un paese della Nato nella sostanziale indifferenza degli alleati. Quando torneranno ad essere utili è molto probabile che qualche paese ricomincerà a pensare a loro.

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1 Commento


  • Andrea vannini

    emblematica l’ ultima frase. Gli utili idioti che piagnucolano. perché Carla gagliardini non lo dice che gli “innominati” sono usa e Israele?

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