In un’Europa alle prese con le incognite economiche, politiche e militari che si preannunciano con la presidenza Trump, a partire dal pantano ucraino, sembra proprio che il tema “Kiev” sia stato al centro dell’incontro, lunedì scorso a Parigi, tra il presidente francese Emmanuel Macron e il premier britannico Keir Starmer.
Detto senza mezzi termini dalla direttrice del Royal United Institute for Defence Studies, Karin von Hippel, con l’elezione di Trump «Gli Stati Uniti non saranno più un partner affidabile per nessun Paese europeo, compreso il Regno Unito, quindi è importante costruire ponti e pianificare il più possibile gli scenari, anche decidendo dove fare pressione sugli americani in caso di disaccordo».
Mettendo in circolazione le più svariate versioni del “piano di pace” Trump-Vance (per dire: The Telegraph scrive che Trump prevederebbe di dislocare truppe britanniche nella prevista “zona smilitarizzata” di 1.200 km), diversi media occidentali – legati a questa o quella compagine politico-affaristica – cercano di alimentare una situazione per cui, osserva Stanislav Stremidlovskij su IARex.ru, verrà riservato all’Ucraina lo stesso trattamento toccato alla Germania guglielmina dopo l’armistizio di Compiègne del 1918 (l’incontro Starmer-Macron si è svolto proprio nell’anniversario del 11 novembre): ne faranno un mostro revanscista cui, però, a differenza della Germania, non concederanno venti anni di tempo prima che diventi nuovamente un veicolo di attacco da volgere a est.
Il nocciolo del dibattito in corso verte sul dilemma se gli americani resteranno o meno in Europa. Presumendo che non lo faranno, Macron propone a Londra di sacrificare le “relazioni trans-atlantiche” a favore di quelle continentali, col primo ministro polacco Donald Tusk che parla di alleanza con Francia, Gran Bretagna, Paesi nordici e Repubbliche baltiche per definire una nuova architettura di sicurezza europea e, in particolare, per continuare a sostenere il regime di Kiev nel suo confronto con la Russia, ma senza Washington.
Questo da un lato. Dall’altro, si vocifera di una possibile “sorprendente alleanza” tra Trump, primo ministro ungherese Viktor Orban e Papa Francesco che, si dice, «potrebbe significare la fine delle speranze di un ulteriore sostegno all’Ucraina nella sua lotta contro la Russia».
A questo riguardo, l’ambasciatore ungherese presso la Santa Sede, Eduard Habsburg, ha dichiarato alla britannica The Independent che esiste la possibilità che il pontefice «sostenga un accordo di pace a cui si oppongono tutti gli altri alleati occidentali della NATO».
Habsburg ha ricordato che «negli ultimi anni l’Ungheria ha condotto una battaglia solitaria per il cessate il fuoco immediato e la pace in Ucraina, con Papa Francesco come unico alleato». Ora, a Budapest e Vaticano «si affiancherà un nuovo alleato: Donald Trump», ha detto l’ambasciatore con un ottimismo probabilmente esagerato.
Sta di fatto che l’attuale leadership della Commissione europea e della UE, osserva Stremidlovskij, sta giocando per la squadra della cosiddetta “autonomia strategica” – le ultime decisioni in merito ai fondi che Bruxelles intende destinare alla guerra, sono lì a dimostralo – e accusa Orban di «sfiducia nella UE ed entusiasmo per la Russia».
La potenziale entrata in gioco degli USA sulle posizioni di Budapest non farà che accrescere la divisione e la polarizzazione interna in Europa, come starebbero a dimostrare le iniziative di Parigi, Londra e Varsavia. Molto dipenderà dalla Germania che, però, al momento è alle prese con seri problemi interni, nonostante quei guerrafondai dei Verdi non lascino dubbi su quali posizioni occupare.
Ma pare che alla nuova “Compiègne” si sia parlato anche d’altro, più “operativamente” legato al conflitto in Ucraina.
I Paesi della NATO intendono minare il sistema di sicurezza paneuropeo, ha dichiarato alle Izvestija il rappresentante permanente russo presso l’OSCE Aleksandr Lukaševic. Ciò si esprime soprattutto nella sfrenata espansione dell’infrastruttura militare e nella liquidazione del regime di controllo degli armamenti.
Da parte sua, Vladimir Zelenskij ha ripetutamente chiesto all’Occidente di autorizzare attacchi con armi a lungo raggio sul territorio russo e vari media ipotizzano che proprio quest’ultimo punto possa essere stato al centro dell’incontro Macron-Starmer.
Alla vigilia dell’incontro, The Daily Telegraph scriveva che i due intendevano affrontare la questione su come sia possibile convincere Joe Biden ad autorizzare tali attacchi con i missili Storm Shadow: «Siamo molto interessati a sfruttare fattivamente il tempo fino al 20 gennaio e non lasciare tutto in pausa fino alla prossima amministrazione», era scritto, citando ambienti governativi britannici.
Il tema era stato discusso lo scorso 11 settembre, nel corso della visita a Kiev del Segretario di stato Anthony Blinken e del Ministro degli esteri britannico David Lammy, e tutto lasciava pensare che l’autorizzazione sarebbe arrivata. Ma tutto era rimasto in sospeso e anche Zelenskij, durante la visita in USA a fine settembre, aveva sollevato la questione, ma senza successo. Pur se, in realtà, i colpi portati da Kiev contro la Crimea costituiscono già attacchi a lungo raggio: ma qui la questione è sofisticamente aggirata, considerando la penisola “territorio ucraino”.
Nel campo atlantico ci sono sostenitori della linea dura, che potrebbero complicare i potenziali negoziati tra Mosca e Washington, dice alle Izvestia il politologo serbo-francese Nikola Mirkovic: «Vogliono continuare questa guerra contro la Russia e vogliono quindi trarre quanto più vantaggio possibile dagli ultimi mesi di presidenza di Joe Biden».
Al momento, comunque, il quesito è se Washington intenda andare o meno a una escalation e non si può escludere, dichiara sempre alle Izvestija il politologo Aleksej Fenenko, che la Casa Bianca autorizzi «un singolo attacco, per verificare la reazione russa e, eventualmente, effettuarne un secondo, in uno scenario di escalation strisciante».
Ma in sostanza il complesso della questione, a oggi, verte sull’enigma se Donald Trump si riveli davvero un “pacificatore” del conflitto in Ucraina, o se invece, molto più semplicemente, si limiterà a tirarne fuori gli USA, e come. Anche perché, stando alla CNN, nelle alte sfere militari yankee si intende «resistere agli ordini» che Trump avrebbe intenzione di impartire, una volta insediato, di «dispiegare le truppe per operazioni di polizia sul territorio USA», per aggirare in tal modo, col semplice ignorare il tema ucraino, l’accusa mossagli durante il primo mandato, di essere un “agente del Cremlino”.
Tutto questo non significa, afferma Boris Džerelievskij, del Servizio analitico del Donbass, che Trump starà al gioco di Zelenskij, il quale crede che il neoeletto presidente si vedrà costretto ad attuare i desideri di Kiev, dopo che Mosca avrà rifiutato le iniziative di “pace” di Washington. Anche perché, di fatto, Trump non ha finora avanzato alcun concreto “piano di pace”, all’infuori di diverse varianti di congelamento delle ostilità sulla linea del fronte, con l’intenzione più che altro di sondare il terreno per possibili colloqui di pace e vedere l’ipotetica reazione delle parti, in primo luogo di Mosca.
Ma, in concreto, ciò che sinora è stato proposto da Trump, non è altro che ciò su cui Mosca potrebbe contare in caso di sconfitta, con in più la richiesta di ridurre la cooperazione russa con Cina, Iran e RPDC.
Però, difficilmente Trump potrebbe proporre condizioni di pace accettabili Mosca, perché questo «equivarrebbe al suo suicidio, non necessariamente solo politico». Tra l’altro, secondo The Wall Street Journal, pare che Trump, nei colloqui con alcuni leader UE, non abbia preso alcun serio impegno sull’Ucraina, non abbia parlato di alcuno dei suoi piani, ma si sia limitato a chiedere come i suoi interlocutori intendano risolvere il problema.
In soldoni: Washington se ne va e l’Ucraina tocca alla UE. Del resto, come rivela il Financial Times, i vampiri guerrafondai di Bruxelles già dirottano altre centinaia di miliardi per la guerra.
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