Il terzo anniversario di guerra in Ucraina – 22 febbraio – rischia di essere l’ultimo per l’attore prestato alla presidenza del Paese che doveva risolvere il problema Russia per conto della Nato.
Le sorti del conflitto sul campo sono ormai segnate, ammettono anche i più falsari tra gli osservatori e gli “inviati” (i nomi sono sempre gli stessi, compresa Cecilia Sala). Dunque in ogni caso è ora di abbozzare concretamente una via d’uscita meno costosa possibile. Ovviamente il “costo” cambia parecchio, a seconda degli interessati.
Per il popolo ucraino è salatissimo. Centinaia di migliaia, forse un milione di morti in battaglia, più qualche migliaio di civili per effetto dei missili o dei droni abbattuti e andati fuori bersaglio (se fossero stati volontariamente indirizzati sui civili, come a Gaza, le proporzioni delle perdite rispetto ai militari sarebbero opposte).
In più un paese industrialmente distrutto, la produzione agricola crollata, debito allucinante con gli “alleati” che pretendono ora pezzi sostanziali per il saldo (Trump ieri ha spiegato di voler negoziare un “accordo” con l’Ucraina affinché Kiev offra una “garanzia” sulle sue “terre rare” minerarie, in cambio degli aiuti).
L’unico errore non ancora commesso dalla junta nazigolpista di Kiev è stato quello di cedere alla richiesta del “democratico Biden”, di mobilitare anche la generazione tra i 18 e i 25 anni, mandandola a morte. Ma solo perché erano comunque troppo pochi, per effetto di quella drastica riduzione della natalità che colpisce ormai quasi tutti i paesi dell’Occidente (ed anche la Russia, la Cina, ecc), e dunque insufficienti a cambiare il timing del disastro.
Sui media occidentali appaiono sempre più spesso analisi disperate, ed anche critiche aperte alla gestione della junta, anche se non manca mai l’entusiastica rivendicazione dei piccoli colpi ad effetto portati direttamente sul suolo russo, come l’attentato contro Armen Sarkisian, a Mosca. Robetta buona per il morale (se sono stati davvero i servizi di Kiev), ma che non sfiora neanche il bilancio di guerra.
La nuova amministrazione Usa sta istruendo la pratica, spiegano direttamente dall’intelligence russa. E questo sta portando anche i più dementi servitorelli europei – baltici e polacchi, in primo luogo – a prendere almeno atto della realtà: la guerra non andrà avanti, perché gli Usa hanno altri obiettivi.
Un comunicato ufficiale – per nulla “segreto”, insomma – del Servizio di Intelligence Estero russo (SVR) descrive un abbozzo di piano da parte dei membri della NATO per screditare Zelensky, come primo passo di una campagna finalizzata a rimuoverlo e sostituirlo con qualcuno più incline a negoziare una pace incondizionata. E sarà anche impossibile descrivee questa ondata di “indiscrezioni” come “propaganda putiniana”, perché arriverà nelle redazioni dai consolidati “canali ufficiali”
L’attore è stato infatti per tre anni innalzato al ruolo di eroe senza macchia e senza paura, portandolo a parlare in tutte le sedi e a tutti gli orari, su tutti i media dell’universo euro-atlantico. Dargli il benservito è sicuramente possibile, ma o lo si elimina nel solito modo brutale di sempre, o si costruiscono le condizioni per rendere la sua fuoriuscita “una giusta conclusione”.
La considerazione di partenza è oggettiva: “La leadership della NATO [Washington, non certo il facente funzione di segretario generale, Mark Rutte, ndr] considera necessario, a tutti i costi, preservare ciò che resta dell’Ucraina come avamposto anti-russo. Si ipotizza di ‘congelare’ il conflitto portando le parti belligeranti al dialogo per l’inizio di una risoluzione. Allo stesso tempo, Washington e Bruxelles concordano sul fatto che il principale ostacolo all’attuazione di tale scenario sia Volodymyr Zelensky, che nei circoli occidentali viene ormai definito come ‘materiale esaurito’.” Quando si dice l’ingratitudine…
Meglio mezza Ucraina a disposizione che niente, insomma, con qualche ipocrita lacrima pronta per quando toccherà fare il funerale alle “sacrosante richieste per una pace giusta che riporti ai confini del 2014”.
Il piano per rendere prima di tutto Zelenskij indifendibile sembra già molto articolato. Il punto di svolta decisivo è comunque far celebrare le elezioni (il mandato dell’attore è scaduto nel maggio scorso, ma naturalmente “non si poteva votare perché c’era la guerra”). Adesso questo ostacolo sembra rimosso. La guerra c’è sempre, è anche persa, probabilmente – dice il capo dei servizi segreti di Kiev, il capo-killer Kyrilo Budanov – «se non ci saranno negoziati seri prima dell’estate, potrebbero iniziare processi molto pericolosi per l’esistenza stessa dell’Ucraina».
Ma votare “si deve” per avere un altro fantoccio pronto ad eseguire gli ordini Usa, senza però il peso di quanto promesso e richiesto ad un popolo distrutto. Un fantoccio abbastanza nuovo, insomma, da poter apparire un “salvatore” e cui non si possano addebitare tutti i disastri.
C’è anche fretta, perché sul campo l’esercito russo avanza ormai al ritmo di 10 km al giorno in varie zone del fronte, e per quanto l’Ucraina sia un paese molto esteso è matematico che in 4-5 mesi la porzione residua da difendere al tavolo delle trattative sarebbe molto piccola. E forse addirittura priva del “bottino” che fa gola a Washington.
I vertici della Nato, spiega ancora il comunicato russo, “stanno preparando un’operazione su larga scala per screditare Zelensky. Si prevede, in particolare, di rendere pubbliche informazioni sull’appropriazione, da parte del ‘presidente’ e dei membri del suo entourage, di oltre 1,5 miliardi di dollari destinati all’acquisto di munizioni. Inoltre, si prevede di rivelare il sistema con cui Zelensky e il suo entourage hanno sottratto all’estero gli stipendi di 130.000 soldati ucraini morti, che ufficialmente risultano ancora vivi e in servizio al fronte. Saranno inoltre divulgati i fatti che coinvolgono il ‘Comandante Supremo dell’Ucraina’ nella vendita di grandi quantità di equipaggiamento militare occidentale, ricevuto gratuitamente da Kiev, a vari gruppi in Africa”.
Dettagli precisi e anche scabrosi, come si vede, che in una paese dove si muore facilmente possono costare più di qualche vita…
Una volta partita una campagna stampa internazionale su questa falsariga, insomma, Zelenskij sarebbe addirittura obbligato a ringraziare chi gli offrirà la possibilità di raggiungere senza problemi una residenza tranquilla in Occidente (si parla da anni di una villa di sua proprietà a Forte dei Marmi…).
L’inviato speciale di Trump per l’Ucraina e la Russia, Keith Kellogg, è atteso a Kiev l’11 febbraio per un incontro a porte chiuse con Zelenskij. Non sembra impossibile che voglia prospettargli un mezzo ultimatum per far svolgere le “elezioni” entro l’autunno e poi salutare tutti, lasciando ad un nuovo “governo di salvezza nazionale” i ìl compito di sedersi al tavolo della “pace”.
Dopo la visita in Ucraina, Kellogg si recherà in Europa per colloqui e poi parteciperà alla Conferenza sulla Sicurezza di Monaco, per “socializzare” con gli “alleati” quanto va maturando a Washington.
Da sottolineare come questa “fretta” statunitense sia figlia della situazione militare sul campo. Alcuni analisti – occidentali questa volta, non russi – ipotizzano che a questa velocità i carri armati russi entreranno sia a Kiev che a Leopoli nel 2026. Meglio evitarlo, ok?
Una seconda sottolineatura riguarda la strategia di Trump sull’Ucraina, che a molti appare ancora molto improvvisata, come dimostra l’incertezza sulla fornitura di armi. È difficile credere che Trump possa improvvisamente riaprire i “rubinetti” degli aiuti militari se Putin dovesse rifiutare una prima offerta di pace, perché ciò implicherebbe non solo enormi spese per gli Stati Uniti (mentre Musk prende possesso del sistema dei pagamenti del Tesoro per tagliare tutto ciò che appare “inutile”), ma anche una massa di rifornimenti militari che fin qui è stato impossibile da garantire con continuità.
Il problema ucraino si avvia dunque a diventare un problema quasi soltanto europeo. Non solo o non tanto per le risorse già bruciate nella guerra – che certamente non rientreranno mai – né soltanto per le spese della “ricostruzione” (meno grande sarà l’Ucraina post-bellica, meno ci sarà da investire; anzi, bisogna vedere se conviene, a seconda delle risorse che resteranno disponibili).
Ci sarà da gestire il nomadismo interno all’Europa di un popolo gettato nella fornace della guerra con grandi promesse occidentali e poi, come sempre, mollato quando l’obiettivo si rivela irrangiungibile. Senza più un Paese, uno Stato affidabile, una casa e un futuro.
Non sarà divertente. Non bisognerà fare sconti a chi, tra i “nostri governi” (Draghi e Meloni, quindi l’intero arco parlamentare attuale), ci avrà portato a quel punto.
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